Bis in idem parziale: la Cassazione fa chiarezza sulla sua applicazione
Il principio del ne bis in idem, che vieta di processare qualcuno due volte per lo stesso fatto, è un caposaldo del nostro ordinamento. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante precisazione sulla sua applicazione, introducendo il concetto di bis in idem parziale in un caso di spaccio di stupefacenti protrattosi nel tempo. La decisione chiarisce come condotte illecite, seppur della stessa natura, possano essere giudicate separatamente se riferite a periodi storici distinti e basate su prove diverse.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine dal ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello. Quest’ultima, pronunciandosi in sede di rinvio, aveva confermato la sua responsabilità per episodi di cessione di stupefacenti risalenti all’anno 2003. L’imputato, tuttavia, era già stato giudicato con una sentenza definitiva per condotte analoghe, ma consumate nell’anno 2005.
La difesa sosteneva che la nuova condanna violasse il principio del ne bis in idem, poiché i fatti del 2003 e quelli del 2005 avrebbero dovuto essere considerati come un’unica continuazione dello stesso reato. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello era incorsa nello stesso errore di valutazione già censurato in un precedente giudizio di Cassazione, fondando la distinzione tra i periodi su elementi probatori insufficienti.
La Decisione della Corte e il principio del Bis in idem parziale
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un punto cruciale: il ricorso non presentava nuove argomentazioni, ma si limitava a riproporre le stesse censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, sollecitando di fatto un riesame del merito della vicenda, attività preclusa al giudice di legittimità.
Il cuore della pronuncia risiede nella validazione dell’operato della Corte d’Appello. I giudici di secondo grado avevano correttamente applicato un bis in idem parziale. Avevano infatti riconosciuto che i fatti avvenuti nel 2005 erano già coperti da giudicato, ma avevano allo stesso tempo evidenziato come le condotte del 2003 costituissero un episodio criminale distinto e autonomo, non compreso nella precedente sentenza.
Le Motivazioni della Corte
La motivazione della Corte di Cassazione è chiara e rigorosa. Si sottolinea come la decisione della Corte d’Appello fosse del tutto congrua e non manifestamente illogica. I giudici di merito avevano fondato la loro decisione su prove oggettive, in particolare su numerose conversazioni telefoniche intercorse tra ottobre e novembre 2003.
Da queste conversazioni emergeva l’esistenza di accordi specifici per la cessione di stupefacenti, sintomatici di un’attività illecita circoscritta a quel periodo e precedente ai fatti del 2005. La Corte d’Appello, con un argomento ritenuto logico e non censurabile in sede di legittimità, ha dedotto che tali episodi non potevano essere coperti dal giudicato formatosi sulla condotta del 2005. Inoltre, la Cassazione ha rimarcato come la difesa non avesse fornito alcuna interpretazione alternativa plausibile di quelle conversazioni, né in appello né nel ricorso per cassazione.
Le Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale del processo penale: il divieto di bis in idem si applica all’idem factum, ovvero allo stesso fatto storico, e non a una generica categoria di reato. Se è possibile distinguere, sulla base di elementi probatori concreti, diversi segmenti di una condotta criminale protratta nel tempo, questi possono essere oggetto di procedimenti separati.
Inoltre, la pronuncia conferma che il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. Se la motivazione del giudice d’appello è logica, coerente e basata su prove concrete, non può essere messa in discussione davanti alla Suprema Corte solo perché la difesa ne propone una lettura alternativa. La decisione consolida quindi la distinzione tra il controllo di legittimità, proprio della Cassazione, e la valutazione dei fatti, di competenza esclusiva dei giudici di merito.
Una persona può essere processata per reati del 2003 se è già stata condannata per reati simili del 2005?
Sì, è possibile se i fatti contestati nel nuovo processo sono storicamente e probatoriamente distinti da quelli già coperti dalla sentenza definitiva. Il principio del ‘bis in idem’ in questo caso si applica solo parzialmente, coprendo unicamente i fatti specifici del 2005.
Perché il ricorso alla Corte di Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse censure già respinte dalla Corte d’Appello, chiedendo un riesame delle prove. La Corte di Cassazione non può rivalutare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge, e la motivazione della corte precedente è stata giudicata logica e adeguata.
Quali prove ha usato la Corte d’Appello per distinguere i reati del 2003 da quelli del 2005?
La Corte d’Appello ha basato la sua decisione su numerose conversazioni intercettate risalenti a ottobre e novembre 2003, dalle quali emergevano accordi per cessioni di stupefacenti. Queste prove sono state considerate sufficienti a dimostrare l’esistenza di condotte illecite specifiche e distinte, precedenti a quelle del 2005 già giudicate.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21426 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21426 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BARI il 26/07/1983
avverso la sentenza del 07/05/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Premesso che con sentenza del 7/5/2024 la Corte di appello di Napoli, pronunciandosi (per la seconda volta) in sede di rinvio, dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME ed NOME COGNOME quanto alle condotte loro ascritte consumate nell’anno 2005, perché già giudicate con sentenza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Bari del 19/3/2009, riformata dalla Corte di appello di Bari il 28/4/2010, irrevocabile il 31/3/2021, rideterminando la pena nella misura del dispositivo quanto alle ulteriori condotte di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Rilevato che propone ricorso per cassazione il Francia, contestando che la nuova sentenza di appello sarebbe incorsa nel medesimo vizio motivazionale già censurato da questa Corte, negando un integrale bis in idem soltanto in forza di una isolata e “normale” conversazione.
Considerato che il ricorso è inammissibile, perché – riproponendo le medesime censure avanzate alla Corte di appello – tende ad ottenere in questa sede una nuova e non consentita lettura delle stesse emergenze istruttorie già esaminate dal Giudice di merito, sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole invero preclusa alla Corte di legittimità.
La doglianza, inoltre, trascura che il Collegio del gravame ha steso una motivazione del tutto congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente illogica; come tale, quindi, non censurabile. La sentenza, in particolare, ha evidenziato che il bis in idem poteva essere riconosciuto soltanto in modo parziale, ossia per le cessioni di stupefacente a NOME COGNOME avvenute nel 2005, non potendosi concludere nei medesimi termini quanto al periodo precedente oggetto di contestazione in questa sede (capo 123). A tale riguardo, la Corte di appello ha espressamente richiamato numerose conversazioni dell’ottobre e del novembre 2003 (pagg. 5-8), ed ha tratto da queste – con argomento in fatto non manifestamente illogico, dunque non censurabile in questa sede – l’evidenza di accordi, sintomatici di cessioni, successivi al novembre 2003 e precedenti ai fatti del 2005, poi oggetto di ulteriori condotte illecite (coperte d giudicato); ancora, la sentenza ha sottolineato che di queste conversazioni non era stata fornita dalla difesa alcuna interpretazione alternativa, quel che, peraltro, non si riscontra affatto neppure nel ricorso in esame.
Rilevato, pertanto, che la stessa impugnazione deve esser dichiarata inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 9 maggio 2025
Il Con gliere estensore
COGNOME Il President