LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Bis in idem e spaccio: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato, sottoposto a misura cautelare per spaccio, che invocava la violazione del principio del bis in idem. La Corte ha stabilito che episodi distinti di cessione e detenzione di stupefacenti, non legati da contiguità temporale, costituiscono reati separati e non un’unica condotta, confermando così la legittimità della misura cautelare.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Il bis in idem nello spaccio: quando più condotte sono reati distinti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sull’applicazione del principio del bis in idem in materia di reati legati agli stupefacenti. Il caso esaminato riguarda un individuo che, già condannato per detenzione di droga a seguito di un arresto, si è visto applicare una misura cautelare per un precedente episodio di cessione. La Suprema Corte ha stabilito che, in assenza di contiguità temporale, la detenzione e la cessione di sostanze stupefacenti costituiscono reati distinti, non assorbibili l’uno nell’altro, respingendo così il ricorso dell’indagato. Analizziamo i dettagli di questa decisione.

Il Caso: Spaccio di Stupefacenti e l’Ordinanza Cautelare

I fatti traggono origine da un’indagine per spaccio di sostanze stupefacenti. A un individuo veniva contestata la cessione di hashish e marijuana a un acquirente, avvenuta il 31 marzo 2023. Sulla base degli elementi raccolti (intercettazioni, servizi di osservazione e la perquisizione dell’acquirente), il Giudice per le Indagini Preliminari emetteva un’ordinanza di arresti domiciliari.

La difesa dell’indagato proponeva richiesta di riesame, sostenendo che l’episodio contestato dovesse considerarsi collegato a un successivo arresto, avvenuto nel luglio 2023. In quell’occasione, a seguito di una perquisizione, erano stati rinvenuti diversi tipi di stupefacenti, sostanze da taglio, bilancini e un’arma. Per tali reati, l’indagato era già stato giudicato con sentenza di applicazione della pena. Secondo la tesi difensiva, si sarebbe quindi verificata una violazione del divieto di un secondo giudizio per lo stesso fatto, il cosiddetto principio del bis in idem.

I Motivi del Ricorso e la violazione del bis in idem

Il ricorso per cassazione si fondava principalmente su due motivi:

1. Violazione del principio del bis in idem: La difesa deduceva che i gravi indizi di colpevolezza per l’episodio di cessione del marzo 2023 non potevano sussistere, data la stretta correlazione con i fatti che avevano portato all’arresto e alla successiva condanna nel luglio 2023. Si sosteneva, in pratica, che la prima condotta fosse assorbita nella seconda, già giudicata.
2. Difetto di motivazione sulle esigenze cautelari: Si contestava la valutazione del giudice circa la concretezza e l’attualità del pericolo di reiterazione del reato, ritenendo la motivazione insufficiente.

La Decisione della Cassazione: quando il bis in idem non si applica

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo entrambi i motivi infondati.

Per quanto riguarda il primo punto, la Corte ha smontato la tesi del bis in idem, sottolineando che i fatti oggetto dei due procedimenti erano palesemente diversi e, soprattutto, temporalmente distinti. La cessione di droga del 31 marzo 2023 è un fatto storico e giuridico autonomo rispetto alla detenzione accertata con la perquisizione del 14 luglio 2023. La Cassazione ha richiamato il suo consolidato orientamento, secondo cui l’assenza di contiguità temporale tra condotte di detenzione e cessione di stupefacenti impedisce che una possa essere assorbita dall’altra. Si tratta, pertanto, di due distinte violazioni della stessa norma, che danno luogo a reati separati, eventualmente legati solo dal vincolo della continuazione criminosa.

In merito al secondo motivo, la Corte ha ribadito i limiti del proprio sindacato sulle misure cautelari. Il compito della Cassazione non è quello di rivalutare nel merito gli elementi fattuali, ma solo di verificare la logicità e la coerenza della motivazione del provvedimento impugnato. Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame aveva adeguatamente motivato il pericolo di reiterazione del reato, desumendolo dalla circostanza che l’indagato fosse stabilmente inserito nel circuito dello spaccio, come dimostrato proprio dal successivo arresto di luglio, durante il quale erano state trovate ingenti quantità di droga.

Le Motivazioni

La motivazione della sentenza si basa su principi giuridici solidi. In primo luogo, la Corte distingue nettamente tra i fatti. Un episodio di cessione è un reato istantaneo che si consuma con la consegna della sostanza. La detenzione a fini di spaccio, accertata in un momento successivo, costituisce un reato diverso e autonomo. Non vi è quindi identità del fatto storico (idem factum), presupposto essenziale per l’applicazione del divieto di doppio processo. La Corte ha chiarito che queste condotte, previste come alternative dall’art. 73 d.P.R. 309/1990, danno luogo a più reati quando sono separate nel tempo.

In secondo luogo, la motivazione sul pericolo di reiterazione è stata giudicata logica e non censurabile. Il fatto che l’indagato, a distanza di pochi mesi, sia stato nuovamente trovato in possesso di stupefacenti non è stato visto come un elemento a favore della tesi dell’unicità del reato, ma, al contrario, come la prova della sua persistente pericolosità sociale e della sua piena integrazione in attività criminali. Questa circostanza, secondo la Corte, giustifica pienamente il mantenimento della misura cautelare per prevenire la commissione di ulteriori reati.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio cruciale nella lotta al traffico di stupefacenti: più condotte di spaccio, anche se ravvicinate, possono essere giudicate separatamente se non presentano una stretta contiguità temporale che le renda parte di un’unica azione criminosa. Questa decisione conferma che il principio del bis in idem non può essere utilizzato come scudo per evitare le conseguenze di una serie di illeciti distinti. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, emerge con chiarezza che la persistenza nell’attività di spaccio porta a responsabilità penali multiple, e che ogni singolo episodio può essere autonomamente perseguito e sanzionato.

Perché il principio del bis in idem non è stato applicato in questo caso?
Perché i fatti contestati erano distinti e separati nel tempo. La cessione di droga del 31 marzo 2023 è stata considerata un reato autonomo rispetto alla detenzione di stupefacenti accertata in una perquisizione il 14 luglio 2023. L’assenza di contiguità temporale tra le due condotte impedisce che una sia assorbita nell’altra.

Come ha giustificato la Corte la necessità della misura cautelare?
La Corte ha ritenuto che il pericolo di reiterazione del reato fosse grave e attuale. Questa valutazione si basava sulla circostanza che l’indagato fosse stabilmente inserito nel circuito dello spaccio, come dimostrato dal successivo e recente arresto di luglio 2023, durante il quale furono rinvenuti consistenti quantitativi di droga.

Due episodi di spaccio possono essere considerati reati diversi anche se commessi dalla stessa persona?
Sì. Secondo la giurisprudenza citata nella sentenza, le condotte di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, previste come alternative dalla stessa norma, danno luogo a più violazioni e quindi a reati distinti se non sono legate da una stretta contiguità temporale. Possono eventualmente essere considerate in continuazione tra loro, ma non come un unico reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati