Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13515 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13515 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME nato a Cosenza il 22/03/1995
avverso l’ordinanza del 30/05/2024 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza di NOME COGNOME intesa al riconoscimento del bis in idem processuale, ai sensi dell’art. 669 cod. proc. pen., o in subordine della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione:
al reato di evasione, accertato il 20 giugno 2014, in uno ai reati di resistenza a pubblico ufficiale, lesione personale e false generalità, in relazione a cui era stata emessa la sentenza del Tribunale di Napoli 21 giugno 2014, confermata in appellò e divenuta irrevocabile, con la quale l’istante era stato condannato alla pena complessiva, ex art. 81 cpv. cod. pen., di due anni di reclusione;
al reato di evasione, accertato il 28 febbraio 2014, in relazione a cui era stata emessa la sentenza del Tribunale di Napoli 13 novembre 2017, confermata in appello e divenuta irrevocabile, con la quale l’istante era stato condannato alla pena di un anno di reclusione.
Secondo il giudice dell’esecuzione le evasioni erano state commesse in tempi diversi e ciò escludeva il prospettato bis in idem, né emergevano indici esteriori significativi di una programmazione unitaria comune alle distinte condotte.
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la decisione reiettiva, con rituale ministero difensivo.
Nel motivo unico, illustrato da successiva memoria, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
La duplice condanna per evasione si riferirebbe al medesimo fatto storico, integrante reato permanente. Il ricorrente sostiene di avere usufruito di un permesso premio giornaliero, il 28 febbraio 2014, e di non avere fatto rientro in istituto all’ora stabilita. A tale originaria condotta si riferirebbe la conda indicata al punto b), che precede. NOME sarebbe stato rintracciato, il 20 giugno 2014, dalle forze dell’ordine e sarebbe stato processato e condannato per l’evasione, protrattasi sino a tale data, e per i reati concomitanti indicati al pun a).
Il medesimo fatto storico di evasione, integrante reato permanente, sarebbe stato pertanto giudicato due volte.
In subordine, andava almeno riconosciuta l’identità di disegno criminoso tra le consecutive porzioni della condotta che lo integrava.
La settima sezione penale di questa Corte, assegnataria originaria del ricorso, ha rimesso gli atti, ai sensi dell’art. 610, comma 1, cod. proc. pen., per la trattazione nelle forme ordinarie, non ravvisando ipotesi di inammissibilità.
Il ricorso è stato quindi esaminato e deciso nella camera di consiglio odierna della prima sezione penale, in vista della quale la difesa ricorrente ha depositato ulteriore memoria, eccependo la mancata comunicazione a sé della requisitoria del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’eccezione processuale è infondata.
L’odierno procedimento è regolato dall’art. 611, comma 1, cod. proc. pen., il quale prevede che, fino a quindici giorni prima della camera di consiglio della Corte di cassazione, il Procuratore generale presenti le sue richieste, e tutte le parti possano presentare motivi nuovi, memorie e, fino a cinque giorni prima, memorie di replica.
Tali atti, depositati in cancelleria in forma cartacea, sono a disposizione delle controparti che, conoscendo i termini, sono in grado di prenderne visione e di ritirarli tempestivamente, senza che il rispetto del principio del contraddittorio richieda che venga data ad esse specifica comunicazione o notificazione ad opera dell’Ufficio (v. già Sez. 5, n. 2628 del 01/12/1992, dep. 2003, COGNOME, Rv. 194321-01).
Lo stesso principio si applica in caso di trasmissione degli atti di parte per via telematica, come consentito dalla sopravvenuta e vigente normativa processuale.
Non trovano viceversa più applicazione le disposizioni derogatorie, introdotte in costanza di pandemia da SARS-00V-2 dall’art. 23, comma 8, d.l. d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. in legge 18 dicembre 2020, n. 176, che prevedevano la comunicazione alle parti della requisitoria trasmessa dal Procuratore generale alla cancelleria della Corte e che riguardavano, peraltro, i soli procedimenti trattati in via cartolare, che si sarebbero dovuti altrimenti celebrare in udienza pubblica o ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen. (diversi, quindi, dal procedimento odierno).
2. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
L’evasione è un reato permanente, il cui momento consumativo coincide con l’allontanamento dal luogo di detenzione (o con il mancato rientro in esso nel termine di legge, in caso di uscita autorizzata in permesso premio), mentre lo ì,,,,
stato di consumazione perdura fin quando non viene meno la condizione di evaso (da ultimo, Sez. 6, n. 38864 del 13/10/2021, COGNOME, Rv. 281995-01).
Ciò posto, il ricorrente pone in corretta evidenza la circostanza che entrambe le sentenze passate in giudicate hanno pronunciato sulla medesima condotta di evasione, la cui consumazione ebbe inizio con il mancato rientro nel termine dal permesso premio e si protrasse, ininterrottamente, sino all’arresto di NOME eseguito il 20 giugno 2014.
La sentenza sub punto 1) della narrativa ha giudicato sull’evasione con riferimento all’intero periodo di permanenza, mentre la successiva sentenza sub punto 2) ha ulteriormente giudicato sul medesimo reato, limitatamente alla frazione iniziale della condotta permanente.
Da ciò deriva che il medesimo fatto di evasione è stato giudicato due volte, in relazione al segmento comune alle due condanne, coincidente con la menzionata frazione iniziale di” condotta.
Il fatto oggetto della sentenza sub punto 2) è, in effetti, interamente contenuto in quello già precedentemente giudicato.
Si è così verificata un’ipotesi di bis in idem parziale, che non si sottrae all’applicazione dell’art. 669 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 5835 del 24/10/2023, dep. 2024, Puntillo).
Essendovi rapporto di continenza tra le regiudicate, riferite ad un reato permanente accertato in stadi diversi di consumazione, occorreva dare esecuzione alla sentenza che pronunciava sull’intero periodo di permanenza, e revocare l’altra dalla più contenuta portata.
Occorreva cioè adottare, a posteriori, il rimedio che si sarebbe impiegato ove i giudizi fossero stati celebrati in concomitanza, dando luogo a conflitto positivo di competenza, determinato dalla continenza di regiudicande. In tal caso, sussistendo l’identità ontologica del fatto, che avesse dato luogo in distinte sedi, rispettivamente per la sua totalità e per parte soltanto di esso, ad altrettanti procedimenti, sarebbe stata operata la concentrazione dei due procedimenti davanti al giudice investito della causa di maggiore ampiezza, e sarebbe stato arrestato il giudizio ulteriore (Sez. 1, n. 21883 del 16/04/2021, Tribunale di Teramo, Rv. 281563-01; Sez. 1, n. 1512 del 11/12/2007, dep. 2008, confl. comp. in proc. COGNOME, Rv. 238815-01; Sez. 1, n. 47453 del 07/12/2007, confl. comp. in proc. COGNOME, Rv. 238131-01).
L’art. 669 cod. proc. pen. è, del resto, norma che mira a risolvere i problemi nascenti dalla coesistenza di giudicati, in presenza di una loro patologica (anche solo parziale) duplicazione; sotto questo profilo, essa costituisce – al pari de i
disposizioni sui conflitti positivi di competenza e dell’art. 649 cod. proc. pen. espressione del generale principio del ne bis in idem, teso a scongiurare che, per lo stesso fatto di reato, o per suoi segmenti coincidenti, si svolgano più procedimenti e/o si emettano, o siano mantenute in vita, plurime decisioni (Sez. 1, n. 27834 del 01/03/2013, COGNOME, Rv. 255701-01; Sez. 6, n. 1892 del 18/11/2004, dep. 2005, Fontana, Rv. 230760-01; Sez. 6, n. 512 del 11/02/1999, COGNOME, Rv. 212864-01).
L’ordinanza impugnata non ha fatto buon governo degli enunciati principi di diritto in ordine all’applicazione dell’art. 669 cod. proc. pen.
Essa – assorbita ogni questione ulteriore – deve essere pertanto annullata con rinvio, perché il giudice dell’esecuzione proceda a rinnovata valutazione che vi si conformi.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli.
Così deciso il 23/01/2025