Il Bilanciamento tra Circostanze: Quando la Decisione del Giudice è Insindacabile
Il tema del bilanciamento tra circostanze attenuanti e aggravanti rappresenta uno dei nodi cruciali del diritto penale, in quanto incide direttamente sulla determinazione della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato i confini della discrezionalità del giudice di merito in questa delicata valutazione, chiarendo quando e come la sua decisione diventi insindacabile in sede di legittimità. La pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere il funzionamento del sistema sanzionatorio e i limiti del ricorso in Cassazione.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente, già gravato da una recidiva reiterata (una circostanza aggravante), lamentava la mancata prevalenza della circostanza attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 del codice penale, relativa all’aver cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità. La Corte d’Appello, infatti, aveva ritenuto le circostanze di segno opposto equivalenti tra loro, neutralizzandone gli effetti sulla pena finale. Secondo la difesa, questa valutazione era errata e meritava di essere riformata, sostenendo che l’attenuante dovesse prevalere sull’aggravante.
La Decisione della Corte di Cassazione sul bilanciamento tra circostanze
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno stabilito che il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee costituisce una valutazione discrezionale tipica del giudice di merito. Tale valutazione sfugge al sindacato della Cassazione a meno che non sia il risultato di un palese arbitrio o di un ragionamento manifestamente illogico. Se la decisione è supportata da una motivazione sufficiente, non può essere messa in discussione.
Le Motivazioni
La Corte ha fondato la sua decisione su un principio consolidato, richiamando una fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite (n. 10713 del 2010). Il principio cardine è che il potere discrezionale del giudice nel bilanciare le circostanze è molto ampio. Per giustificare la soluzione dell’equivalenza, non è necessaria una motivazione complessa e dettagliata. È infatti considerata sufficiente una motivazione che si limiti a ritenere l’equivalenza la scelta più idonea a garantire l’adeguatezza della pena inflitta nel caso concreto. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che le conclusioni del giudice d’appello fossero ragionate e argomentate, e quindi “incensurabili”. Contestare questa valutazione in sede di legittimità equivarrebbe a chiedere alla Cassazione una nuova e non consentita valutazione dei fatti, compito che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado.
Le Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale nella distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. La determinazione della pena, attraverso il bilanciamento tra circostanze, è un’attività che richiede una valutazione complessiva del fatto e della personalità dell’imputato, che solo il giudice di merito può compiere appieno. Le possibilità di ottenere una riforma di tale giudizio in Cassazione sono estremamente limitate e circoscritte ai soli casi di vizi logici macroscopici o di totale assenza di motivazione. Per gli operatori del diritto, ciò significa che le censure relative al bilanciamento delle circostanze devono essere argomentate in appello in modo estremamente solido, dimostrando l’irragionevolezza della scelta del primo giudice, poiché lo spazio per una rivalutazione in sede di legittimità è quasi nullo.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione del giudice sul bilanciamento tra circostanze attenuanti e aggravanti?
Sì, ma solo se la decisione del giudice di merito è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico, e non se si tratta di una valutazione discrezionale ben motivata.
Cosa si intende per motivazione sufficiente nel giudizio di equivalenza tra circostanze?
Secondo la Cassazione, è sufficiente che il giudice motivi la scelta dell’equivalenza ritenendola la soluzione più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena inflitta nel caso concreto.
In questo caso, perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché contestava una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, che la Corte di Cassazione ha ritenuto sorretta da una motivazione logica e argomentata, e quindi non sindacabile in sede di legittimità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34852 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34852 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/01/2025 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso che contesta il giudizio di comparazione fra opposte circostanze, lamentando, in particolare, la mancata applicazione con criterio di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. sulla recidiva reiterata, è manifestamente infondato, poiché, il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (cfr. Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931);
che le conclusioni ragionate e argomentate del giudice del merito sul punto (si vedano le pagg. 4-5 della sentenza impugnata) sono, pertanto, incensurabili;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 15 luglio 2025.