Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 759 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 759 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME nato a Crotone il 3.6.1982, NOMECOGNOME nato a Caserta il 7.4.1988, NOME NOME, nato a Crotone i! 25.9.1987, COGNOME NOME, nato a Crotone il 7.11.1988, COGNOME NOME, nato a Isola di Capo Rizzuto il 21.3.1983, NOME COGNOME, nato a Crotone il 22.7.1988, NOMECOGNOME nato a Caserta il 14.2.1991, contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro del 7/6/2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi;
udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME e di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 19.7.2019 il GUP del Tribunale di Catanzaro, procedendo nelle forme del rito abbreviato nei confronti di una molteplicità oi imputati e di imputazioni, per quel che interessa in questa sede aveva riconosciuto: NOME COGNOME responsabile dei reati ascrittigli ai capi 1), 6), 17), 18), 19) e 21) e, con il vincolo della continuazione e la riduzione per il rito, l’aveva condannato alla pena complessiva di anni 9 e mesi 10 di reclusione con le pene accessorie conseguenti; NOME COGNOME responsabile dei reati ascrittigli ai capi 1), 14), 15 e 16) e, con il vincolo della continuazione e la riduzione per il rito, l’aveva condannato alla pena complessiva di anni 9 e mesi 2 di reclusione con le pene accessorie conseguenti; NOME COGNOME responsabile dei reati ascrittigli ai capi 1), 2), 3), 3-bis), 4), 5), 6), 8), 12), 17) 19) e 22) e, con il vincolo della continuazione e la riduzione per il rito, l’aveva condannato alla pena complessiva di anni 18 e mesi 18 di reclusione con le pene accessorie conseguenti; NOME COGNOME responsabile dei reati ascrittigli ai capi 1), 2), 3) e 3-bis) e, con il vincolo della continuazione e la riduzione per il rito, l’aveva condannato alla pena complessiva di anni 9 di reclusione con le pene accessorie conseguenti; NOME COGNOME responsabile dei reati ascrittigli ai capi 1), 8), 10), 11) e 12) e, con i vincolo della continuazione e la riduzione per il rito, l’aveva condannato alla pena complessiva di anni 9 e mesi 6 di reclusione con le pene accessorie conseguenti; NOME COGNOME responsabile dei reati ascrittigli ai capi 1), 2), 3), 3-bis), 5), 6), 9), 12) e 17) e, con il vincolo della continuazione e la riduzione per il rito, l’aveva condannato alla pena complessiva di armi 10 e mesi 8 di reclusione con le pene accessorie conseguenti; NOME COGNOME responsabile dei reati ascrittigli ai capi 1), 4) e 5) e, con il vincolo della continuazione e la riduzione per il rito, l’avev condannato alla pena complessiva di anni 8 e mesi 10 di reclusione con le pene accessorie conseguenti; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
la Corte d’appello di Catanzaro, adita, tra gli altri, dagli odierni ricorrenti, aveva: riqualificato la condotta di cui al capo 17) ascritta a NOME COGNOME cui aveva riconosciuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate sul delitto di cui all’art. 74 DPR 309 del 1990 e rideterminato la pena in anni 7 e mesi 6 di reclusione; riqualificati i fatti di cui ai capi 14) e 15) de imputazioni ascritte a NOME COGNOME, cui aveva riconosciuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate su delitti di cui all’art. 74 DPR 309 del 1990, e rideterminato la pena in anni 7 di reclusione; dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al delitto di cui al capo 3-bis) perché prescritto, riqualificato il fatto di cui al capo 17) e, ritenute le attenuanti generiche equivalenti a quelle contestate sul 1), rideterminato la pena in anni 15 di reclusione; dichiarato non doversi procedere nei confronti ci NOME COGNOME in relazione al delitto di cui al capo 3-bis) perché prescritto e, ritenute le attenuanti generiche equivalenti a quelle contestate sul 1), rideterminato la pena in anni 7 di reclusione; assolto NOME COGNOME dal delitto di cui al capo 8) per non averlo commesso e, riqualificata la condotta di cui al capo 15), riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate sul capo 1), rideterminato la pena in anni 7 e mesi 2 di reclusione; dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al capo 3-bis) perché prescritto, riqualificato il fatto di cui ai capi 9) e 17) e, ritenute le attenuanti generiche equivalenti a quelle contestate sul 1), rideterminato la pena in anni 7 e mesi 8 di reclusione; riconosciute a NOME COGNOME le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alle aggravanti contestate sul capo 1), rideterminato la pena in anni 7 di reclusione;
contro
la suddetta sentenza tutti gli odierni ricorrenti avevano proposto ricorso per cassazione: la difesa di NOME COGNOME aveva articolato sedici motivi, integrati da ulteriori motivi aggiunti; la difesa di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME aveva proposto un ricorso unico articolato su tre motivi; la difesa di NOME COGNOME aveva proposto ricorso a sua volta articolato su sette motivi; la difesa di NOME COGNOME con il proprio ricorso, aveva articolato cinque diverse censure; la difesa di NOME COGNOME aveva infine articolato tre motivi di ricorso;
la VI Sezione di questa Corte, con sentenza del 3.3.2022, aveva: annullato senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al capo 1) per non aver commesso il fatto, rinviando ad altra Sezione della Corte d’appello di Catanzaro per la rideterminazione della pena e dichiarato il ricorso inammissibile nel resto; annullato la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al capo 1), con rinvio ad altra
Sezione della Corte d’appello di Catanzaro, e rigettato nel resto il ricorso; annullato senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME limitatamente all’aggravante di cui al comma 3 dell’art. 74 del DPR 309 del 1990, rinviando ad altra Sezione della stessa Corte d’appello di Catanzaro per la rideterminazione della pena; dichiarato inoltre inammissibili, nel resto, i ricorsi di NOME COGNOME e di NOME e rigettato nel resto i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
la Corte d’appello di Catanzaro, giudicando in sede rescissoria, ha: riconosciuto a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di cui al comma 4 dell’art. 74 del DPR 309 del 1990 ed ha perciò rideterminato la pena nei confronti di NOME COGNOME in anni 7 e mesi 6 di reclusione, nei confronti di NOME COGNOME in anni 15 di reclusione, nei confronti di NOME COGNOME in anni 7 di reclusione, nei confronti di NOME COGNOME in anni 7 e mesi 8 di reclusione, nei confronti di NOME COGNOME in anni 7 di reclusione; riconosciuto a NOME COGNOME le circostanze attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata sul capo 1), rideterminando la pena in anni 4, mesi 11 e giorni 10 di reclusione ed euro 18.000 di multa, con conseguente statuizione sulla pena accessoria; riconosciuto a NOME COGNOME le circostanze attenuanti generiche, rideterminando la pena in anni 2, mesi 9 e giorni 10 di reclusione ed euro 12.400 di multa, con conseguente statuizione sulla pena accessoria;
ricorrono nuovamente per cassazione NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo dei rispettivi difensori che deducono:
6.1 l’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME:
6.1.1 vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di trattamento sanzionatorio e di bilanciamento delle circostanze: rileva, infatti, che la Corte d’appello, nonostante la sentenza rescindente avesse comportato il venir meno di una delle aggravanti contestate sul delitto associativo, ha operato il giudizio di bilanciamento, in termini di equivalenza, tra le attenuanti generiche e l’unica residua aggravante senza pertanto procedere alla rideterminazione alcuna della pena e con un generico rinvio ai precedenti penali degli imputati, omettendo, in tal modo, di considerare in maniera specifica la situazione di ciascuno di costoro e di parametrare, per ognuno, la coerente risposta sanzionatoria; con specifico riguardo alla posizione del La COGNOME, rileva inoltre c:he
la Corte d’appello ha omesso di motivare in merito agli aumenti operati per la continuazione;
6.2 l’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME:
6.2. violazione di legge con riferimento all’art. 192, commi 1 e 2 cod. proc. pen. e vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità con riguardo alla partecipazione al sodalizio di cui al capo 1): osserva che la Corte d’appello ha confermato l’imputazione associativa dando rilievo alla disponibilità di un immobile sito in località Capo INDIRIZZO di Isola Capo Rizzuto che il ricorrente avrebbe fornito al COGNOME, suo parente, senza che fosse tuttavia emersa la prova della consapevolezza dell’utilizzo da parte del sodalizio; ribadisce, quindi, quanto già sottolineato nell’atto di appello in merito alla assenza di rapporti tra il ricorrente gli altri correi e coimputati per i reati-fine, fatto salvo quello saltuario ed episodi con il Torromino; evidenzia, invece, che proprio l’intervenuta assoluzione del Marchio dal capo 8) è circostanza rilevante ai fini della consapevolezza dell’operatività del sodalizio essendo stato escluso il suo coinvolgimento nell’episodio di cui invece rispondono altri correi quali NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in concorso con il quale, soltanto, ecili era stato condannato per i fatti di cui ai capi 10) e 11) e, per un solo episodio, Ln concorso anche con NOME COGNOME aggiungendo, a tal proposito, che la direttiva del COGNOME, particolarmente sottolineata nella sentenza impugnata, era stata impartita a quest’ultimo potendo perciò il ricorrente presumere che il COGNOME operasse nell’interesse del COGNOME, nel frattempo arrestato; aggiunge che, per contro, i giudici di merito non hanno potuto evidenziare alcun fatto concludente emblematico della sua messa a disposizione del sodalizio in relazione allo specifico periodo di riferimento mentre la figura del ricorrente si esaurisce in un lasso di tempo intercorrente tra il febbraio e l’aprile del 2014; 6.3 l’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME: Corte di Cassazione – copia non ufficiale
6.3.1 mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine al giudizio di valenza: rileva, in primo luogo, che con l’atto d’appello la difesa aveva sollecitato una rivalutazione in termini di prevalenza delle attenuanti generiche, alla luce dell’annullamento operato dalla sentenza rescindente sull’aggravante di cui al comma terzo dell’art. 74 DPR 309 del 1990; osserva che, nel primo processo di appello, la comparazione aveva riguardato le attenuanti generiche ed entrambe le aggravanti di cui ai commi 3 e 4 del citato art. 74 DPR 309 del 1990 la prima delle quali, tuttavia, era venuta meno, per cui il medesimo esito del giudizio di valenza doveva essere supportato da una motivazione adeguata che non è ravvisabile in quella resa dai giudici della fase rescissoria che hanno così disatteso
il preciso mandato conferito dalla Cassazione con la sentenza di annullamento senza rinvio;
6.4 gli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME:
6.4.1 mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine al giudizio di valenza: rileva, in primo luogo, che con l’atto d’appello la difesa aveva sollecitato una rivalutazione in termini di prevalenza delle attenuanti generiche, alla luce dell’annullamento operato dalla sentenza rescindente sull’aggravante di cui al comma terzo dell’art. 74 DPR 309 del 1990; osserva che, nel primo processo di appello, la comparazione aveva riguardato le attenuanti generiche ed entrambe le aggravanti di cui ai commi 3 e 4 del citato art. 74 DPR 309 del 1990 la prima delle quali, tuttavia, venuta meno, per cui il medesimo esito del giudizio di valenza doveva essere supportato da una motivazione adeguata, non è ravvisabile in quella resa dai giudici della fase rescissoria che, in tal modo, hanno disatteso il preciso mandato conferito dalla Cassazione con la sentenza di annullamento senza rinvio;
la Procura Generale ha trasmesso le proprie conclusioni insistendo per l’inammissibilità di tutti i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili in quanto articolati con censure manifestamente infondate o non consentite in questa sede.
L’unico motivo dei ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME è manifestamente infondato.
I predetti ricorrenti erano stati tratti a giudizio per rispondere, tra l’alt del delitto di cui all’art. 74 DPR 309 del 1990 aggravato sia ai sensi del comma 3, in considerazione del numero degli associati superiore a dieci sia, anche, ai sensi del comma 4, trattandosi di associazione armata.
La VI Sezione di questa Corte aveva annullato senza rinvio la sentenza con della Corte d’appello di Catanzaro del 20/10/2010 con riguardo, in particolare, all’aggravante del numero degli associati di cui (all’esito dell’annullamento relativo alla posizione di NOME COGNOME erano venuti meno i presupposti fattuali ed aveva rinviato ad altra Sezione della medesima Corte calabrese per la rideterminazione della pena.
Va segnalato, a tal fine, che la sentenza del 20/10/2020 aveva riconosciuto, in favore degli odierni ricorrenti, le circostanze attenuanti generiche che aveva stimato in termini di equivalenza rispetto alle due aggravanti contestate sul reato associativo.
Le difese lamentano, dunque, il difetto di motivazione che affliggerebbe la sentenza rescissoria che, pur a fronte della elisione di una delle due aggravanti, ha tuttavia confermato, per tutti, il medesimo giudizio di equivalenza già formulato dalla sentenza annullata.
È consolidata, nella giurisprudenza di questa Corte, l’affermazione secondo cui, nel giudizio di bilanciamento tra opposte circostanze, la soluzione dell’equivalenza può ritenersi congruamente motivata laddove il giudice del merito si sia limitato a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto ovvero abbia fatto riferimento anche ad uno solo dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen.; è altrettanto pacifico che, in tema di concorso di circostanze, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti sono censurabili in sede di legittimità soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell’equivalenza (cfr., Sez. 5, n. 5589 de’ 26.9.2013, Sub; Sez. 6, n. 6966 del 25.11.2009, Alesci; Sez. 1, n. 3223 de 13.1.1994, Palmisano).
Fatta questa premessa, va ricordato che le SS.UU. ebbero modo di chiarire che il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un’ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, può, senza incorrere nel divieto di “reformatio in pelus”,, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purché questo sia accompagnato da adeguata motivazione (cfr., Sez. U, n. 33752 del 18/04/2013, COGNOME, Rv. 255660 – 01).
Nell’occasione, le SS.UU. spiegarono che “la innegabile autonomia e discrezionalità del giudizio di comparazione che non sempre conduce ad attribuire un peso quantitativamente apprezzabile ad ogni elemento considerato (sicché una alterazione dei termini in comparazione non comporta necessariamente una alterazione altresì del giudizio precedentemente espresso); si pensi al caso del concorso di quattro o più aggravanti ritenute equivalenti ad una attenuante ed alla eventualità che il giudice di appello escluda una sola delle aggravanti ritenute sussistenti dal giudice di primo grado; una logica rigidamente ed esclusivamente matematica, comportante l’automatica riduzione della pena inflitta in primo grado, porterebbe a snaturare il giudizio di appello ed il potere di valutazione della gravità del fatto attribuito al relativo giudice”; fu sottolineata “la incongruenza, quindi, d
una presunzione assoluta della necessità di modifica del precedente giudizio, di fatto implicante non già una mera riduzione della pena ma una obbligatoria formulazione di un giudizio più favorevole, con conseguente irragionevole parificazione di casi eterogenei ed inaccettabile invasione del campo di valutazione discrezionale del giudice di appello”.
In conclusione, si affermò che “… ove non si riconoscesse al giudice di appello – allorquando dall’accoglimento dell’impugnazione consegua la necessità di un nuovo giudizio di comparazione – uno spazio deliberativo autonomo, si verrebbe ad attribuire la stessa efficacia demolitrice del giudizio di comparazione operato in primo grado a tutti i casi di sottrazione di una o più circostanze! aggravanti od aggiunta di una o più circostanze attenuanti, siano esse afferenti a dati marginali per qualità e quantità ovvero siano esse di estremo rilievo qualitativo o quantitativo”.
Quest’approdo è stato confermato negli anni successivi dalla giurisprudenza della Corte (cfr., per tutte, Sez. 2 , n. 33480 del 07/05/2021, COGNOME, Rv. 281917 01, in cui si è ribadito che non viola il divieto di reformatio in peius il giudice d’appello che, a seguito di gravame proposto dal solo imputato, pur escludendo la sussistenza di un’aggravante, lasci inalterata la misura della pena inflitta in primo grado, quando siffatta esclusione comporta la necessità di un rinnovato giudizio comparativo tra circostanze aggravanti ed attenuanti, nella cui formulazione il giudice di secondo grado conserva piena facoltà di conferma della precedente operazione di bilanciamento, secondo una valutazione insindacabile in cassazione ; se congruamente motivata).
Tanto premesso, osserva il collegio che la Corte territoriale, in sede di rinvio, si è uniformata ai principi sopra richiamati avendo confermato il giudizio di equivalenza tra le riconosciute circostanze attenuanti generiche e l’aggravante del carattere armato della associazione di cui al capo A) avendo tuttavia giustificato tale approdo con motivazione incensurabile in questa sede.
Per un verso, infatti, i giudici catanzaresi hanno valorizzato le caratteristiche del sodalizio e, in particolare, il “peso” attribuito all’aggravante de carattere armato dell’associazione (cfr., pagg. 5 e 6 vagliando la posizione di NOME COGNOME, pag. 7 vagliando la posizione di NOME COGNOME, pag. 8 vagliando la posizione di NOME COGNOME, pagg. 8 e 9 vagliando la posizione di NOME COGNOME, pagg. 9 e 10 vagliando la posizione di NOME COGNOME); necessariamente, attenendo alla valutazione delle caratteristiche del sodalizio, si era trattato, sotto questo profilo, di una motivazione “omogenea” per tutte le posizioni dei singoli associati.
Per altro verso, però, la Corte ha affiancato a quella sul sodalizio la considerazione della personalità criminaie di ciascuno degli odierni ricorrenti per i quali, infatti, ha, sia pure in maniera sintetica, esplicitato le ragioni di natu individuale che hanno inciso sul risultato finale di conferma del giudizio di valenza tra circostanze di opposto segno: ha perciò richiamato la “biografia penale” di NOME COGNOME… gravato da diversi precedenti, e della capacità a delinquere dello stesso, desumibile dal ruolo svolto nell’associazione e dai reati fine ascrittigli” (cfr., pag. 7 della sentenza) e che, infatti, è stato riconosciuto responsabile di quattro episodi di detenzione di sostanza stupefacente finalizzata alla cessione a terzi; il ruolo svolto nel sodalizio da NOME COGNOME (cfr., ivi, pag. 8) che è stato condannato, in altro procedimento, anche per una condotta di coltivazione di marijuana di cui al capo 13); la “biografia penale” di NOME COGNOME, giudicato responsabile di tre episodi di detenzione finalizzata alla cessione di sostanza stupefacente oltre che della condotta cj cui al capo 13) “… per la quale è stato giudicato separatamente in quanto tratto in arresto in flagranza”; e, ancora, la “biografia penale” di NOME COGNOME (cfr., ivi, pagg. 9-10), pluripregiudicato anche per rapina e riconosciuto responsabile di otto episodi di detenzione finalizzata alla cessione a terzi; la “biografia penale” di NOME COGNOME (cfr., ivi, pagg. pluripregiudicato e giudicato colpevole, in questo processo, per quindici violazioni dell’art. 73 del DPR 309 del 1990.
Il secondo rilievo formulato dalla difesa di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
La Corte d’appello (cfr., pag. 10 della sc.ntenza impugnata) ha esaminato la posizione del La COGNOME nei cui confronti ha rideterminato la pena in considerazione dell’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata quanto al delitto di cui al capo 1) della rubrica; a tal fine ha stabilito – nel minimo edittal la pena per il delitto ritenuto più grave individuato in quello di cui al capo 16), su cui ha operato la massima diminuzione consentita per effetto delle riconosciute attenuanti generiche e su cui ha applicato due aumenti distinti per i reati di cui ai capi 14) e 15) nella misura, davvero minimale, di mesi 1 di reclusione ed euro 300 di multa.
E’ allora appena il caso di ribadire il principio secondo il quale nel caso in cui venga irrogata una pena di gran lunga più vicina al minimo che al massimo edittale, il mero richiamo ai “criteri di cui all’art. 133 cod. pen.” realizza u motivazione sufficiente per dar conto dell’adeguatezza della pena all’entità del fatto; invero, l’obbligo della motivazione, in ordine alla congruità della pena inflitta tanto più si attenua quanto più la pena, in concreto irrogata, si avvicina al minimo edittale (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 1, n. 6677 del 05/05/1995, COGNOME,
Rv.201537; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288, in cui la Corte ha peraltro precisato che la media edittale deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano I minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo); principi non dissimili sono stati affermate dalle SS.UU. nella sentenza “COGNOME“, con riguardo agli aumenti stabiliti per la continuazione, quanto ai reati “satellite”, attraverso il richiamo e l’esplicita condivisione delle affermazioni rese da Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., non nnassimata sul punto, in cui la Corte aveva spiegato che «se per i reati satellite è irrogata una pena notevolmente inferiore al minimo edittale della fattispecie legale di reato, l’obbligo di motivazione si riduce, mentre, qualora la pena coincida con il minimo edittale della fattispecie legale di reato o addirittura lo superi, l’obbligo motivazionale si fa più stringente ed il giudice deve dare conto specificamente del criterio adottato, tanto più quando abbia determinato la pena base per il reato ritenuto più grave applicando il minimo edittale e/o quando abbia applicato una misura di pena in aumento sproporzionata, pur in presenza delle medesime fattispecie dì reato».
Il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
La sentenza rescindente aveva evidenziato che la difesa del Marchio aveva eccepito “… il difetto assoluto di motivazione quanto ai rilievi addotti in appello diretti a contestare la ritenuta partecipazione del ricorrente all’associazione di cui al capo 1), unicamente fondata dal GUP sull’avvenuta concessione in affitto al Torromino dell’immobile sito in località INDIRIZZO” spiegando che “… che con il gravame di merito si era rimarcata l’assenza di elementi diretti a delineare il contributo offerto al consorzio; l’indifferenza al fine della locazione; l’assenza di altri contatti con i presunti sodali e la mancanza di prova rispetto al fatto che nel citato immobile veniva custodita la sostanza del gruppo. Tutti elementi integralmente trascurati dalla sentenza”.
La VI Sezione aveva giudicato fondato il motivo di ricorso constatando che “… sul punto la decisione impugnata è integralmente silente, non risultando affrontate le diverse censure, dotate di puntuale specificità, sollevate con l’appello, peraltro segnalate nella relativa narrazione in fatto”.
La Corte d’appello, giudicando in sede di rinvio, ha affrontato la posizione di NOME COGNOME (cfr., pagg. 11-12 della sentenza impugnata) colmando, a parere del collegio, il vuoto motivazionale che, secondo la sentenza rescindente, aveva caratterizzato la sentenza annullata sul punto e, in particolare, replicando alle doglianze difensive che erano state articolate con il gravame di merito (cfr.,
pagg. 4-7 dell’atto d’appello) e che, invece, erano state dalla Corte catanzarese in precedenza totalmente pretermesse.
I giudici della fase rescissoria hanno spiegato che, originariamente, la “sede” del sodalizio descritto al capo 1) era stata stabilita in Crotone, presso un immobile di proprietà di NOME COGNOME, dove tuttavia, le forze dell’ordine avevano eseguito una perquisizione che aveva consentito di rinvenire e sequestrare sostanza stupefacente (cocaina e marijuana), un giubbotto antiproiettile e del munizionamento per armi da fuoco.
Per questa ragione, era sorta la necessità di reperire una nuova base logistica che era stata individuata nell’appartamento di proprietà di NOME COGNOME, in Isola di Capo Rizzuto, locato a NOME COGNOME, altro affiliato “… dove si recava ordinariamente al rientro dei viaggi finalizzati agli approvvigionamenti fuori provincia per collocare la sostanza stupefacente (ad esempio in occasione di quello compendiato al capo 8)” (cfr., pag. 12).
In termini congrui e lineari, inoltre, la Corte d’appello ha valorizzato i passaggi della stessa sentenza di annullamento dedicati all’esame dei motivi di ricorso articolati in punto di responsabilità del Marchio per i delitti di cui capi 1 e 11) (cfr., pagg. 48-49 della sentenza rescindente) laddove la Corte di Cassazione, con riguardo al capo 10), aveva dato conto della correttezza del percorso argomentativo sviluppato nella motivazione della sentenza impugnata che aveva ritenuto provata la condotta del Marchio, in concorso con il COGNOME, nel prelievo dello stupefacente custodito nell’immobile di Isola Capo Rizzuto e da consegnare a tal COGNOME.
I giudici di merito hanno inoltre valorizzato la analoga situazione riscontrata nel capo 11) e, poi, l’episodio di cui al capo 12), giudicato particolarmente emblematico della necessaria consapevolezza, in capo al Marchio, della destinazione dell’immobile alle esigenze del sodalizio e su cui la difesa si limita a prospettare una “lettura” differente, a sua volta fondata su un dato istruttorio non restituito dalla lettura della sentenza impugnata (che, cioè, il COGNOME avesse incaricato soltanto il Marino potendo perciò il ricorrente presumere che costui agisse nell’esclusivo interesse di Torromino) e, comunque, non suscettibile di essere avanzata in questa sede.
Non è infatti evidentemente consentito al giudice di legittimità procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata ovvero adottare autonomi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche qualora questi siano indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a
quelli adottati dal giudice del merito (cfr., Sez. 6 – , n. 5465 del 04/11/2020, F. Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148).
In definitiva, rileva il collegio che la Corte catanzarese ha fornito una motivazione non censurabile avendo valorizzato la pluralità di episodi e di condotte del Marchio che avevano avuto ad oggetto la custodia di stupefacente all’interno della abitazione di Isola Capo Rizzuto in funzione della quale il ricorrente aveva avuto rapporti ed aveva operato unitamente ad altri soggetti, riconosciuti come componenti del sodalizio.
E’ d’altra parte opportuno ricordare come sia pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudic di rinvio che, dopo l’annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all’affermazione di responsabilità sulla scorta di un diverso percorso argomentativo ed in parte arricchito, rispetto a quello già censurato in sede di legittimità con l’unico limite della formazione del giudicato progressivo su un capo della decisione (cfr., così ad esempio, Sez. 3 – , n. 23140 del 26/03/2019, Visconti, Rv. 276755 – 04; conf., Sez. 4, n. 20044 del 17/03/2015, S., Rv. 263864 – 01; Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, COGNOME, Rv. 264861 – 01; cfr., ancora, Sez. 2 – , n. 37407 del 06/11/2020, COGNOME, Rv. 280660 – 01, in cui la Corte ha ribadito che nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice che adeguatamente motivando rispetto ai singoli punti specificati nella sentenza rescindente e con il limite dell’avvenuta formazione progressiva del giudicato in relazione ai diversi capi della decisione, pervenga nuovamente all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato sulla base di argomenti differenti da quelli censurati dalla Corte di cassazione, potendo egli non solo procedere all’esame completo del materiale probatorio ma anche compiere eventuali nuovi atti istruttori necessari per la decisione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il giudice di rinvio è in tal caso investito di pieni poteri di cognizione e, salv i limiti derivanti da un eventuale giudicato interno, può rivisitare il fatto con pien apprezzamento e autonomia di giudizio, sicché non è vincolato all’esame dei soli punti indicati nella sentenza di annullamento, ma può accedere alla piena rivalutazione del compendio probatorio, in esito alla quale è legittimato ad addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito (cfr., così, Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 08/02/2024, COGNOME, Rv. 285801 – 02; conf., Sez. 2 – , n. 8733 del 22/11/2019, dep. 04/03/2020, COGNOME, Rv. 278629 02).
L’inammissibilità dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo ragioni che consentano di escludere profili di colpevolezza nell’attivare l’impugnazione.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 21.11.2024