Bilanciamento delle Circostanze: Quando un Errore di Calcolo Rende la Pena Illegale?
Il calcolo della pena nel diritto penale è un processo complesso, governato da regole precise. Uno degli snodi cruciali è il bilanciamento delle circostanze, ovvero il momento in cui il giudice soppesa gli elementi a sfavore (aggravanti) e a favore (attenuanti) dell’imputato. Ma cosa succede se questo calcolo è errato? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce quando una pena può essere definita ‘illegale’ e quando, invece, un errore di calcolo non è sufficiente a invalidarla.
I Fatti del Caso: Un Ricorso per Presunta Illegalità della Pena
Il caso esaminato dalla Suprema Corte nasce dal ricorso di un imputato, condannato a due anni di reclusione e mille euro di multa per tentata rapina aggravata e lesioni personali. Il difensore ha contestato la legalità della pena, sostenendo che il giudice di merito avesse commesso un errore nel bilanciamento delle circostanze.
Nello specifico, la difesa lamentava che una circostanza aggravante cosiddetta ‘privilegiata’ (prevista dall’art. 628, comma 3, n. 3-bis c.p.), che per legge non può essere neutralizzata dalle attenuanti, fosse stata erroneamente inclusa nel giudizio di comparazione. Questo, secondo il ricorrente, avrebbe alterato il calcolo finale della pena in violazione dell’art. 63, comma 4, del codice penale.
L’Analisi della Cassazione sul Bilanciamento delle Circostanze
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su due argomenti principali.
In primo luogo, ha osservato che, paradossalmente, l’errore lamentato dal ricorrente non lo aveva danneggiato. Anzi, includere l’aggravante privilegiata nel bilanciamento avrebbe potuto portare a un esito più favorevole per lui. Mancava, quindi, un concreto ‘interesse ad impugnare’, ovvero un vantaggio pratico derivante dall’accoglimento del ricorso.
In secondo luogo, e in modo decisivo, la Corte ha richiamato un importantissimo precedente delle Sezioni Unite (sentenza n. 877/2022). Questo principio stabilisce un criterio chiaro per definire una pena ‘illegale’.
Le Motivazioni della Decisione
Il cuore della motivazione risiede nella distinzione tra un ‘errore di calcolo’ e una ‘pena illegale’. Secondo le Sezioni Unite, una pena è illegale solo in due casi:
1. Quando eccede i limiti edittali generali previsti dal codice (artt. 23, 65, 71 c.p.).
2. Quando supera i limiti edittali (minimo e massimo) specificamente previsti per la singola fattispecie di reato.
Di conseguenza, il fatto che i passaggi intermedi che portano alla determinazione della pena siano viziati da un errore di calcolo o da una violazione di legge (come un errato bilanciamento delle circostanze) non rende, di per sé, la pena finale illegale. L’unico aspetto che conta è il risultato: se la pena conclusiva rientra nella ‘forbice’ edittale prevista dalla norma, essa è da considerarsi legale, a prescindere da eventuali vizi nel percorso che ha portato alla sua quantificazione.
Conclusioni: Il Principio di Diritto e le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza riafferma un principio di diritto di grande rilevanza pratica. Per contestare con successo la quantificazione della pena in Cassazione, non è sufficiente evidenziare un errore nel procedimento di calcolo seguito dal giudice di merito. È indispensabile dimostrare che tale errore ha prodotto un risultato finale ‘extra ordinem’, ovvero una sanzione che si colloca al di fuori dei confini minimi e massimi stabiliti dalla legge. Questo orientamento mira a garantire la stabilità delle decisioni giudiziarie, limitando le impugnazioni a quei soli casi in cui si verifichi una violazione sostanziale dei limiti punitivi imposti dal legislatore.
Un errore nel bilanciamento delle circostanze rende sempre la pena illegale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la pena è illegale solo se, nel suo risultato finale, eccede i limiti minimi o massimi previsti dalla legge per quel reato o in generale. Un errore nei passaggi intermedi del calcolo, come il bilanciamento, non è di per sé sufficiente se la pena finale rientra nei limiti legali.
Cos’è una ‘circostanza aggravante privilegiata’?
È una circostanza aggravante che, per espressa previsione di legge (come l’art. 63, comma quarto, c.p.), non può essere considerata equivalente o subvalente rispetto alle circostanze attenuanti nel giudizio di bilanciamento, e quindi comporta sempre un aumento di pena.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per due ragioni: in primo luogo, il ricorrente non aveva un reale interesse a impugnare, poiché l’errore lamentato non avrebbe portato a una pena più favorevole. In secondo luogo, il motivo si basava su un principio errato, dato che la pena applicata non era ‘illegale’ secondo i criteri stabiliti dalle Sezioni Unite della Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2899 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2 Num. 2899 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato in Georgia il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 07/11/2023del TRIBUNALE di ROMA Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
FATTO E DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe è stata applicata a Lasha Tsabadze la pena di due anni di reclusione ed euro mille di multa per i reati contestati di tentata rapina aggravata e lesioni personali.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’imputato, eccependo con un unico motivo l’illegalità della pena, con riferimento al giudizio di comparazione in termini di equivalenza delle circostanze attenuanti concorrenti con le aggravanti, senza considerare che la circostanza aggravante privilegiata di cui all’art. 628, comma terzo, n.3 bis, cod. pen. era sottratta al bilanciamento, con conseguente incidenza negativa sul computo finale, in violazione dell’art. 63, comma quarto, cod. pen.
Il ricorso, trattato con procedura de plano, è inammissibile.
giR
Sostiene il ricorrente che l’effetto mitigatorio derivante dal riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sarebbe neutralizzato dall’inclusione di un aggravante (cd. privilegiata) dal complessivo giudizio di bilanciamento.
Tale inclusione inciderebbe semmai in termini più favorevoli nei confronti dell’imputato, con conseguente insussistenza dell’interesse ad impugnare.
In ogni caso, la pena determinata a seguito dell’erronea applicazione del giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee concorrenti è illegale soltanto nel caso in cui essa ecceda i limiti edittali generali previsti dagli artt. 23 e seguenti, nonché 65 e 71 e seguenti, cod. pen., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato, a nulla rilevando il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886 – 01, in fattispecie relativa a procedimento di applicazione della pena).
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende
P.T.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 21 dicembre 2023
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