Bilanciamento delle circostanze: l’ampia discrezionalità del giudice di merito
Il bilanciamento delle circostanze, previsto dall’art. 69 del codice penale, è uno degli snodi cruciali nel processo di commisurazione della pena. Attraverso questa operazione, il giudice decide se le circostanze attenuanti debbano prevalere, equivalere o soccombere rispetto a quelle aggravanti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 7525/2024) torna sul tema, chiarendo i limiti del controllo di legittimità su questa delicata valutazione. La decisione sottolinea come tale giudizio rientri pienamente nel potere discrezionale del giudice di merito, potendo essere censurato solo in casi eccezionali.
I fatti del caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. L’unico motivo di doglianza riguardava proprio il giudizio di comparazione tra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti. La difesa sosteneva che la Corte territoriale avesse errato nel ritenerle equivalenti, anziché far prevalere le attenuanti, con conseguente applicazione di una pena più mite.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando l’orientamento consolidato in materia. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale: le statuizioni relative al bilanciamento delle circostanze costituiscono una valutazione tipica del giudizio di merito. In quanto tali, esse sfuggono al sindacato della Corte di Cassazione qualora siano sorrette da una motivazione sufficiente e non siano il risultato di un mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico.
Le motivazioni
La Corte ha spiegato che il potere discrezionale del giudice nel comparare le circostanze è molto ampio. Per ritenere congruamente motivata una decisione di equivalenza, è sufficiente che il giudice di merito l’abbia ritenuta la soluzione più idonea a garantire l’adeguatezza della pena inflitta nel caso concreto. Non è necessaria una disamina analitica di ogni singolo elemento, ma basta il riferimento anche a uno solo dei parametri di valutazione indicati dall’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del colpevole). Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione che, seppur sintetica, non risultava né assente né manifestamente illogica, rendendo così l’impugnazione inattaccabile in sede di legittimità. Citando una pronuncia delle Sezioni Unite (n. 10713/2010), la Cassazione ha rafforzato il concetto che il giudizio di comparazione non può essere trasformato in una terza istanza di merito.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio cardine del nostro sistema processuale penale: la netta distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Il bilanciamento delle circostanze è un’attività che implica un apprezzamento fattuale e una ponderazione di elementi concreti che solo il giudice che ha gestito l’istruttoria dibattimentale può compiere appieno. Per gli operatori del diritto, ciò significa che le strategie difensive devono concentrarsi nel fornire al giudice di primo e secondo grado tutti gli elementi utili a sostenere la prevalenza delle attenuanti, essendo estremamente difficile, se non impossibile, rimettere in discussione tale valutazione davanti alla Corte di Cassazione, a meno di vizi motivazionali macroscopici.
È possibile contestare in Cassazione il bilanciamento delle circostanze attenuanti e aggravanti?
No, di regola non è possibile contestare nel merito questa valutazione, in quanto rientra nell’ampia discrezionalità del giudice di merito. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione della decisione è assente, manifestamente illogica o contraddittoria.
Cosa si intende per valutazione discrezionale del giudice di merito?
Significa che il giudice, sulla base delle prove e dei fatti emersi nel processo, ha il potere di scegliere la soluzione che ritiene più giusta ed equa tra diverse opzioni legalmente possibili, come appunto decidere se le circostanze attenuanti prevalgano, equivalgano o soccombano a quelle aggravanti.
Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile in Cassazione?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un’impugnazione priva dei presupposti di legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7525 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7525 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME ( CODICE_FISCALE COGNOME ) nato a LECCE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/05/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
· Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME . 1 COGNOME;
osservato che l’unico motivo di ricorso, con il quale si contesta il giudizio di comparazione di cui all’art. 69 cod. pen., non è consentito in sede di legittimità in quanto le statuizioni relative al bilanciamento tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora, sorrette da sufficiente motivazione, non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931);
che, invero, la soluzione dell’equivalenza può ritenersi congruamente motivata laddove il giudice del merito si sia limitato a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto ovvero abbia fatto riferimento anche ad uno solo dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., come avvenuto nella specie (si veda, in particolare, pag. 2 della motivazione);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 gennaio 2024.