Bilanciamento Circostanze: La Cassazione Fissa i Paletti sulla Valutazione del Giudice
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce su un tema cruciale del diritto penale: il bilanciamento circostanze. La decisione chiarisce i confini entro cui il giudice di merito può muoversi e quando la sua valutazione diventa insindacabile in sede di legittimità. Questo principio è fondamentale per comprendere come viene determinata la pena finale in un processo.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine da una condanna per concorso in furto aggravato, confermata sia in primo grado che in appello. L’imputato, non rassegnato alla decisione, ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione, affidando le sue speranze a un unico motivo: un presunto vizio di motivazione nella sentenza impugnata. Nello specifico, la critica era rivolta al modo in cui i giudici di merito avevano operato il bilanciamento circostanze attenuanti e aggravanti.
La Critica al Bilanciamento Circostanze
L’imputato lamentava che il giudice non avesse dato il giusto peso alle circostanze attenuanti generiche, limitandosi a dichiararle equivalenti all’aggravante contestata e alla recidiva reiterata. Secondo la difesa, questa valutazione sarebbe stata carente e illogica. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rigettato completamente questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza. Il bilanciamento circostanze è una valutazione tipicamente discrezionale, riservata al giudice che ha analizzato le prove e i fatti (il cosiddetto giudice di merito). Questo giudizio non può essere messo in discussione davanti alla Corte di Cassazione, il cui compito è verificare la corretta applicazione della legge (sindacato di legittimità), non riesaminare le prove.
L’unica eccezione si ha quando la decisione del giudice di merito è frutto di “mero arbitrio o di ragionamento illogico”. In tutti gli altri casi, una motivazione è considerata sufficiente anche se si limita ad affermare che il giudizio di equivalenza (e non di prevalenza delle attenuanti) è la soluzione più idonea per garantire l’adeguatezza della pena al caso concreto.
Nel caso specifico, i giudici hanno inoltre sottolineato che la legge stessa poneva un limite invalicabile: l’articolo 69, quarto comma, del codice penale, vieta di far prevalere le circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata (prevista dall’art. 99, quarto comma). Di conseguenza, la scelta del giudice di merito di considerare le circostanze equivalenti era non solo logica, ma anche giuridicamente obbligata a non concedere una prevalenza alle attenuanti.
Le Conclusioni: I Limiti del Giudizio di Legittimità
L’ordinanza conferma che la discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena è molto ampia. Tentare di contestare in Cassazione il bilanciamento circostanze è una strada processuale in salita, percorribile solo se si può dimostrare un’irragionevolezza manifesta o una violazione di legge. In assenza di tali vizi, la valutazione del giudice che ha seguito il processo direttamente rimane sovrana. La decisione si traduce, per il ricorrente, in una condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, a conferma della temerarietà del ricorso.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione del giudice sul bilanciamento tra attenuanti e aggravanti?
Generalmente no. La Corte di Cassazione ha ribadito che si tratta di una valutazione discrezionale del giudice di merito, che non può essere riesaminata in sede di legittimità a meno che non sia palesemente arbitraria, illogica o viziata da un errore di diritto.
Cosa significa che un ricorso è dichiarato ‘inammissibile’?
Significa che la Corte di Cassazione non entra nemmeno nel merito della questione sollevata. Il ricorso viene respinto perché non rispetta i requisiti richiesti dalla legge, ad esempio perché contesta valutazioni di fatto che sono riservate ai giudici dei gradi precedenti.
In questo caso, perché il giudice non ha potuto far prevalere le attenuanti sulla recidiva?
Perché la legge (art. 69, comma 4, c.p.) stabilisce un divieto specifico. Quando all’imputato è contestata la recidiva reiterata (prevista dall’art. 99, comma 4, c.p.), le circostanze attenuanti non possono mai essere considerate prevalenti, ma al massimo equivalenti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37320 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37320 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/11/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova, che ha confermato la sentenza del giudice di prime cure, con la quale l’imputato era stato ritenuto responsabile di concorso nel delitto di furto aggravato;
Considerato che il primo ed unico motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denuncia vizi di motivazione in relazione alle statuizioni sul giudizio di comparazione tra opposte circostanze, non è consentito dalla legge in sede di legittimità, perché implica una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito che sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretto da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931). Nel caso di specie, il giudice di merito riteneva le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen. e alla contestata recidiva reiterata, posto il divieto ex art. 69 co. 4 pen. di un giudizio di prevalenza rispetto ai casi di cui all’art. 99 co. 4 cod. pen.;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso l’11 settembre 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente