Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32739 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32739 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/03/2025 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME a mezzo del proprio difensore, ricorre avverso la sentenza in epigrafe deducendo violazione di legge e vizio motivazionale in relazione al giudizio di sola equivalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti e sulla ritenuta recidiva e, al contempo, al diniego del riconoscimento anche della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
I motivi in questione non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata.
Gli stessi, peraltro, afferiscono al trattamento punitivo benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
2.1. Quanto al diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della giurisprudenza secondo cui la capienza economica della persona offesa costituisca solo un parametro di valutazione sussidiario, che può assumere rilevanza solo nel caso in cui il danno, in termini assoluti, sia di entità tale da rendere dubbia la sua oggettiva rilevanza (cfr. Sez. 2, n. 29475 del 29/2/2008, COGNOME e altri, Rv. 240639 – conf. Sez. 2, n. 2993 del 1/10/2015 dep. 2016, COGNOME ed altri, Rv. 265820).
Ciò perché ha ritenuto che nel caso in esame non si potesse ricorrere a detto parametro, atteso che il valore della merce che il COGNOME tentò di sottrarre, superava i 560 euro, importo non tenue essendo tale somma addirittura superiore a quella che nel 2022 era la spesa media mensile delle famiglie per l’acquisto di generi alimentari (pari ad 482 euro secondo i datì ISTAT).
Il valore di 560 euro della merce sottratta, dunque, motivatamente, non è stato ritenuto che potesse considerarsi di speciale tenuità essendo tale importo economicamente apprezzabile per la generalità dei consociati.
2.2. Quanto alle recidiva, la Corte territoriale ha evidenziato come la stessa non potesse essere esclusa in ragione del fatto che l’imputato ha commesso la condotta per cui è giudizio dopi aver subito tre condanne per detenzione e cessione
di sostanza stupefacente e violazione delle norme sull’immigrazione (fatti del 2008), furto (fatto del 2019) e detenzione e cessione di stupefacenti (fatti del 2019); e che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa le ultime due sono condanne per fatti relativamente recenti, essendo i reati (e non solo la definitività della condanna) addirittura entro il limite della infraquinquennalità considerato dal legislatore quale sintomo di una maggiore pericolosità dell’imputato.
Il fatto che il COGNOME sia tornato a delinquere nonostante le precedenti esperienze processuali, le condanne, i benefici concessi ed il pericolo di perderli, per la Corte piemontese – che adempie pertanto all’obbligo di valutazione in concreto della pericolosità- è sintomo della sua pericolosità dovuta alla dimostrata insensibilità al monito che l’irrogazione della massima sanzione prevista dall’ordinamento dovrebbe rappresentare.
Viene rilevato, inoltre, come successivamente alla data di commissione del reato per cui è processo, il NOME abbia commesso e sia stato condannato (con sentenze che non rilevano ai fini della sussistenza in sé della recidiva) per tentata rapina (fatto del 02.10.23) e tentato furto (fatto dell’i 1.08.23) entrambi di poco successivi al tentato furto per cui è causa. Ciò ad ulteriore dimostrazione che quella del NOME non fu un’occasionale ricaduta nel reato, ma una ripresa del percorso delinquenziale in atto e a dimostrazione, altresì, che le scuse formulate in sede di convalida non erano, in realtà, espressione di effettiva resipiscenza.
Per la Corte territoriale la recidiva, che sussiste nella forma contestata (reiterata, specifica, infraquinquennale), non può, quindi, essere esclusa. Restano, quindi, ferme le circostanze ritenute in primo grado e, in conseguenza, il giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza tra le già concesse circostanze attenuanti generiche, che hanno valorizzato la condotta ammissiva dell’imputato e le sue condizioni di disagio socioeconomico, e la recidiva che ai sensi dell’art. 69 comma 4 cod. pen. non può considerarsi subvalente rispetto ad esse.
In ogni caso, si osserva in sentenza, un giudizio di bilanciamento più favorevole all’imputato sarebbe precluso dal fatto che la confessione è intervenuta a fronte di un arresto in flagranza – con conseguente inutilità per l’imputato di proclamarsi non colpevole essendo il quadro probatorio a suo carico solido e completo – e che la merce sottratta non era costituita da beni di prima necessità (generi alimentari, prodotti basici per l’igiene personale ecc.) – bensì da un ingente quantitativo di rasoi e lamette da barba, incompatibile con una destinazione ad un uso esclusivamente personale e, quindi, destinato ad essere rivenduto nell’ambito di un circuito illecito.
La Corte piemontese ritiene, perciò, motivatamente, che il giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza tra le circostanze di segno opposto rappresenti
il corretto punto di equilibrio tra il disvalore della condotta posta in essere dal NOME e le sue condizioni di difficoltà personale.
La sentenza impugnata si colloca pertanto nell’alveo del consolidato e condivisibile dictum di questa Corte di legittimità secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U., n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931; conf. Sez. 2 n. 31543 dell’8/6/2017; COGNOME, Rv. 270450; Sez. 4, n. 25532 del 23/5/2007, COGNOME Rv. 236992; Sez. 3, n. 26908 del 22/4/2004, COGNOME, Rv. 229298). Peraltro, è da ritenersi sufficiente la motivazione che «per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto» (così, oltre alle già citate Sez. U. COGNOME, Sez. 5, n.29885/2017 e Sez. 2 n.31543/2017).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17/09/2025