Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 43385 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 43385 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CATANIA il 10/09/1990
avverso la sentenza del 08/11/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del Sostituto Procuratore
NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 8 novembre 2023, la Corte di appello di Catania, giudicando in sede di rinvio a seguito dell’annullamento della sentenza pronunciata dalla medesima Corte di appello il 19 giugno 2019 (annullamento disposto dalla Terza Sezione penale di questa Corte con sentenza n. 2832/22 del 23 febbraio 2022), ha riformato, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza emessa il 9 settembre 2015 – all’esito di giudizio abbreviato – dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Catania nei confronti di NOME COGNOME e ritenute le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, operata la riduzione conseguente alla scelta del rito, lo ha condannato alla pena di anni sette di reclusione.
Per miglior comprensione della vicenda processuale e dei motivi di ricorso si deve premettere che la sentenza pronunciata dal G.u.p. di Catania il 9 settembre 2015 riguardava le posizioni di 38 imputati, tra i quali l’odierno ricorrente.
Il G.u.p. affermò la penale responsabilità di NOME COGNOME per il rea di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 quale partecipe di un’associazione finalizzata al narcotraffico, composta da più di dieci persone, alcune delle quali tossicodipendenti (capo A) e per il reato di cui agli artt. 81, comma 2, 110 cod. pen. 73 e 80 d.P.R. n. 309/90 (capo B); ritenne applicabile l’aggravante della recidiva specifica e, ritenuta la continuazione tra i reati, esclusa l’applicazione del attenuanti generiche, condannò COGNOME alla pena finale (calcolata tenendo conto della riduzione prevista dall’art. 442 cod. proc. pen.) di anni nove e mesi sei di reclusione.
La sentenza fu impugnata dall’imputato per motivi attinenti all’affermazione della responsabilità, al riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R n. 309/90, all’applicazione della recidiva, alla mancata applicazione delle attenuanti generiche e alla dosimetria della pena. In apertura del giudizio di appello, NOME COGNOME rinunciò ai motivi riguardanti l’affermazione dell responsabilità. Con sentenza del 23 settembre 2016 la Corte di appello di Catania, confermata la sussistenza delle aggravanti ritenute dal Giudice di primo grado e tenuto conto del comportamento processuale, applicò all’imputato le attenuanti generiche valutandole equivalenti alle aggravanti e determinò la pena finale in anni otto di reclusione.
COGNOME propose ricorso per Cassazione contro la decisione della Corte di appello deducendo violazione di legge e vizi di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309/90, alla mancata
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disapplicazione della recidiva, alla ritenuta equivalenza tra le attenuanti generiche e le aggravanti e alla dosimetria della pena.
Con sentenza n. 2317/18 del 21 settembre 2017 la Corte di cassazione annullò la sentenza della Corte di appello di Catania con rinvio ad altra Sezione della medesima Corte di appello «per la rideterminazione delle pene» avendo escluso, per tutti gli imputati, l’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309/ Restarono assorbiti in tale statuizione «tutti i motivi di ricorso afferenti trattamento sanzionatorio».
Giudicando in sede di rinvio, con sentenza del 19 giugno 2021, la Corte di appello di Catania valutò le già concesse attenuanti generiche prevalenti sulle residue aggravanti e sulla recidiva e, per quanto riguarda l’odierno ricorrente, rideterminò la pena nella misura finale di anni cinque e mesi quattro di reclusione.
Questa sentenza non fu impugnata da COGNOME, ma fu impugnata, anche riguardo alla posizione di questo imputato, dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Catania che lamentò violazione di legge e vizi di motivazione per essere stata ritenuta, quale conseguenza della esclusione dell’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309/90, la minor gravità del reato associativo.
Con la sentenza n. 2839/22 del 23 febbraio 2021, la Corte di cassazione accolse il ricorso del PG. Per quanto riguarda la posizione di NOME COGNOME la sentenza del 19 giugno 2021 fu annullata «limitatamente al trattamento sanzionatorio» e fu disposto il rinvio, «per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Catania».
La sentenza oggetto del presente ricorso è stata pronunciata dalla Corte di appello di Catania all’esito del nuovo giudizio di rinvio. Come già riferito, la Cort territoriale ha ritenuto le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e ha rideterminato la pena in anni sette di reclusione.
Contro questa sentenza NOME COGNOME ha proposto tempestivo ricorso per mezzo del difensore di fiducia cui ha conferito apposito mandato.
3.1. Col primo motivo, il difensore deduce violazione dell’art. 69 cod. pen. e vizi di motivazione quanto al giudizio di equivalenza tra attenuanti e aggravanti.
Sostiene che – come sarebbe evidente dalla lettura del provvedimento impugnato – i giudici di appello avrebbero «erroneamente dedotto» dal contenuto della sentenza rescindente «una impossibilità assoluta di addivenire ad un giudizio di prevalenza» e, di conseguenza, avrebbero omesso di fornire motivazione adeguata di questa decisione.
3.2. Col secondo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per essere stata ritenuta applicabile l’aggravante della recidiva senza fornire sul punto adeguata motivazione.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato, il secondo non supera il vaglio di ammissibilità.
Per ragioni di logica espositiva deve essere preliminarmente affrontato il secondo motivo col quale il ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia applicato la recidiva senza spiegare le ragioni di questa decisione come è invece doveroso sulla base di una giurisprudenza consolidata (per tutte: Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Rv. 251690; Sez. 6, n. 16244 del 27/02/2013, Rv. 256183; Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, Rv. 274782).
A questo proposito si deve ricordare che, con la sentenza del 19 giugno 2021, la Corte di appello di Catania, investita di un motivo di ricorso col quale s contestava l’applicazione della recidiva, ha ritenuto che di tale aggravante si dovesse tenere conto nella determinazione della pena e l’ha valutata subvalente rispetto alle attenuanti generiche. Questa sentenza non è stata impugnata dall’imputato, ma esclusivamente dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catania, il quale ha dedotto violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento al giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti. L’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 2839/22 del 23 febbraio 2021 aveva ad oggetto il trattamento sanzionatorio conseguente al giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno diverso, ma non l’applicazione della recidiva, in relazione alla quale non era stata proposta nuova impugnazione e della cui sussistenza – e concreta applicazione – la Corte di appello, investita in sede di rinvio, non era stata chiamata ad occuparsi. Ed invero, poiché il ricorso sul quale la Cassazione si è pronunciata con la sentenza del 23 febbraio 2021 aveva ad oggetto il solo giudizio di bilanciamento tra circostanze, solo ad esso poteva riferirsi l’annullamento. Pertanto, la rideterminazione del trattamento sanzionatorio era consentita solo attraverso una valutazione di equivalenza, prevalenza o subvalenza delle attenuanti rispetto alle aggravanti ormai definitivamente ritenute esistenti (sulla materia del c.d. «giudicato progressivo» v. per tutte: Sez. U, n. 3423 del 29/10/2020, dep. 2021; COGNOME, Rv. 280261).
Ai fini dell’esame del primo motivo di ricorso è doveroso riferire che la sentenza del 16 giugno 2019, con la quale la Corte di appello di Catania ha ritenuto le (già concesse) attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, è stata annullata per vizi di motivazione e violazione di legge.
Con specifico riferimento alla posizione dell’odierno ricorrente, nella motivazione della sentenza rescindente si legge (pag. 17): «la circostanza aggravante di cui all’art. 80, cpv., d.P.R. n. 309 del 1990, non si applica al reat associativo (nel caso di specie aggravato dal numero degli associati, superiore a dieci, e dalla recidiva qualificata); sicché è contraddittorio il ragionamento del Corte territoriale che, da un lato, ribadisce la gravità della condotta associativ attribuita al COGNOME, dall’altro attenua ulteriormente l’incidenza di tale giudizio piano sanzionatorio utilizzando criteri eterogenei relativi esclusivamente ai reatifine». La sentenza rescindente sottolinea, inoltre, che: «in tema di reato continuato, il giudizio di comparazione fra circostanze trova applicazione con riguardo alle sole aggravanti ed attenuanti che si riferiscono allo specifico fatt considerato come violazione più grave, dovendo tenersi conto di quelle relative ai reati “satellite” esclusivamente ai fini dell’aumento di pena ex art. 81 cod. pen. (Sez. 1, n. 13369 del 13/02/2018, Rv. 272567 – 01; Sez. 3, n. 26340 del 25/03/2014, Rv. 260057 – 01; Sez. 1, n. 49:344 del 13/11/2013, Rv. 258348 01; Sez. 1, n. 47249 del 30/06/2011, Rv. 251403 – 01; Sez. 5, n. 4609 del 07/03/1996, Rv. 204840 – 01)». Muovendo da tali considerazioni, la sentenza di annullamento ha osservato che, «nel caso di specie, il giudizio di comparazione avrebbe dovuto riguardare il concorso delle circostanze attenuanti generiche con le aggravanti relative al reato associativo (numero degli associati e recidiva), senza tener conto delle circostanze relative ai reati-fine la cui insussistenza non avrebbe potuto essere presa in considerazione ai fini della determinazione della pena base». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi di diritto. Ha osservato, infatti, che l’esclusione dell’aggravante di cui all’art 80 d.P n. 309/90 (operata dalla prima sentenza rescindente) non ha inciso sulla gravità del reato associativo; ha ritenuto poi che le attenuanti generiche dovessero essere considerate equivalenti alle aggravanti (numero delle persone e recidiva) in ragione della gravità della condotta di partecipazione posta in essere da NOME COGNOME e ha richiamato in tal senso la motivazione della sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Catania il 23 settembre 2016.
Si deve rilevare, allora, che quella sentenza aveva formulato un giudizio di equivalenza tra circostanze sottolineando che COGNOME aveva svolto nella associazione «una varietà di compiti, tra cui vedetta, pusher, addetto alla riscossione del prezzo delle cessioni» (così, testualmente, pag. 27). Non è
manifestamente illogico né contraddittorio aver ritenuto che la partecipazione dell’odierno ricorrente al reato associativo si sia connotata in termini di particolar gravità e aver concluso, per questo, che le attenuanti generiche, concesse in ragione del buon comportamento processuale, non potessero essere giudicate prevalenti sulle ritenute aggravanti. Non si può ignorare, inoltre, che, per giurisprudenza costante, «le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto» (così, testualmente, Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13 novembre 2024