Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38423 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38423 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CEGLIE MESSAPICA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/09/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il P.G. conclude per l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di LECCE in difesa di COGNOME NOME che conclude chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 maggio 2015, il Tribunale di Brindisi, per quanto qui rileva, dichiarava NOME COGNOME colpevole di tre condotte di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale, aggravate per la rilevante gravità del danno e per la pluralità dei fatti. Le condotte erano contestate all’imputato, in concorso con il padre, in relazione al ruolo di amministratore della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita il 18 dicembre 2018. Il Tribunale condannava NOME COGNOME alla pena principale di quattro anni di reclusione e alle pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di anni dieci.
Con sentenza in data 11 dicembre 2019, la Corte di appello di Lecce, adita da NOME COGNOME, per quanto attiene alla posizione di costui, riformava parzialmente la sentenza di primo grado. Confermata l’affermazione di responsabilità in ordine alla distrazione commessa mediante cessione di un ramo di azienda, il giudice di appello assolveva NOME COGNOME dalle altre due condotte distrattive, concedendo a detto imputato le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti all’aggravante residua della rilevante gravità del danno e riducendo nei suoi confronti a tre anni di reclusione la pena principale e a tre anni di durata le pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
Con sentenza del 30 novembre 2020, la Corte Suprema di Cassazione, Quinta Sezione penale, su ricorso di NOME COGNOME, annullava la sentenza di appello nei suoi confronti, limitatamente al giudizio di bilanciamento tra circostanze, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Lecce.
Con sentenza del 13 settembre 2023, la Corte di appello di Lecce, in esito al giudizio di rinvio, confermava la valutazione di equivalenza tra le riconosciute circostanze attenuanti generiche e l’aggravante del danno di rilevante gravità, confermando la pena principale e le pene accessorie già inflitte con la sentenza della stessa Corte di appello in data 11 dicembre 2019.
La difesa dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, con atto in cui deduce, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., violazioni degli artt. 627 cod. proc. pen., 61, primo comma, n. 7 e 62-bis cod. pen. e vizi di motivazione in relazione al giudizio di bilanciamento tra circostanze. Ad avviso della difesa, il giudice del rinvio avrebbe limitato il giudizio di bilanciamento tra
circostanze alla mera descrizione degli elementi fondanti la circostanza aggravante contestata, quindi in assenza di un effettivo giudizio di comparazione con le ragioni del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il giudice del rinvio avrebbe dovuto tener conto, invece, dello stato di incensuratezza dell’imputato e della marginalità del ruolo che egli aveva avuto nell’azione. Peraltro, la difesa rileva che la condotta incriminata, una cessione di ramo di azienda, era intervenuta undici mesi prima della declaratoria di fallimento, in forza di una scelta imprenditoriale alla quale non poteva attribuirsi carattere distrattivo, posto che essa rientrava pienamente nella sfera di autonomia privata dell’imprenditore.
Il Pubblico Ministero, in persona della dott.ssa NOME COGNOME, Sostituta Procuratrice generale della Repubblica presso questa Corte, ha presentato memoria con la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con le conseguenti statuizioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di circostanze, il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838 – 02).
1.2. In applicazione del richiamato principio di diritto, pienamente condivisibile, deve affermarsi, con riferimento al caso concreto ora in esame, che le doglianze difensive sono prive di pregio, poiché il giudice del rinvio ha congruamente e adeguatamente motivato sul giudizio bilanciamento tra le circostanze del reato, senza incorrere in alcuna violazione di legge né in illogicità, ma colmando la carenza argomentativa rilevata dalla sentenza emessa dalla Quinta Sezione penale della Corte di cassazione il 30 novembre 2020, recante l’annullamento della sentenza di appello che era stata emessa in data 11 dicembre 2019.
In particolare, il giudice del rinvio ha constatato, in primo luogo, che il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche era stato motivato dal giudice di appello in ragione sia del ruolo minore svolto dall’imputato nella commissione della bancarotta rispetto al padre correo, sia della finalità di adeguare la pena al fatto in concreto. In secondo luogo, il giudice del rinvio ha illustrato i
caratteri della circostanza aggravante del danno di rilevante gravità nel caso concreto, rilevando che la condotta fraudolenta aveva totalmente svuotato la struttura aziendale della società fallita; che la cessione del ramo d’azienda era avvenuta per un corrispettivo esiguo e neppure versato; che l’atto di cessione aveva cagionato un ingente danno al ceto creditorio, come poteva evincersi dai profitti realizzati dalla società cessionaria negli anni successivi.
Per quanto riguarda l’intensità del dolo, il giudice del rinvio ha spiegato che essa era apprezzabile in relazione al momento della cessione, avvenuta quattro mesi prima della messa in liquidazione della società e nello stesso anno della declaratoria di fallimento.
Alla luce di tali elementi, il giudice del rinvio ha coerentemente concluso che le circostanze attenuanti generiche e la circostanza aggravante del danno di rilevante gravità sono da considerare tra loro equivalenti.
A fronte di una motivazione così precisa e accurata, le doglianze difensive espresse nel ricorso per cassazione propongono, in realtà, una rilettura degli elementi posti a fondamento della decisione, richiedendo una valutazione di merito inammissibile in sede di giudizio di legittimità, ove la motivazione del provvedimento impugnato sia, come nel caso in esame, immune da vizi di logicità.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 3 maggio 2024.