Bilanciamento Circostanze: Quando la Decisione del Giudice è Insindacabile
Nel processo penale, la determinazione della pena concreta è uno dei momenti più delicati e complessi. Il giudice è chiamato a considerare non solo il reato base, ma anche tutte quelle circostanze che possono aggravarlo o attenuarlo. Il bilanciamento circostanze è proprio l’operazione logico-giuridica con cui si stabilisce quale peso dare a questi elementi contrapposti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Num. 25982/2024) ci offre l’occasione per approfondire i limiti entro cui questa valutazione può essere contestata e il ruolo della Suprema Corte.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente lamentava una specifica questione: il mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante della recidiva. I giudici di merito, infatti, avevano ritenuto i due gruppi di circostanze equivalenti, neutralizzandone di fatto gli effetti sulla pena finale. Secondo la difesa, questa scelta non era stata adeguatamente giustificata, e si chiedeva alla Cassazione di riformarla.
La Decisione della Corte e il Bilanciamento Circostanze
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio consolidato nel nostro ordinamento: il giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto rientra nel potere discrezionale del giudice di merito.
Questo potere non è assoluto, ma il suo esercizio sfugge al controllo della Cassazione (il cosiddetto sindacato di legittimità) a meno che non sia viziato da un errore manifesto. In altre parole, non basta che l’imputato non sia d’accordo con la scelta del giudice; è necessario dimostrare che quella scelta è il frutto di un ragionamento palesemente illogico, arbitrario o privo di una motivazione sufficiente.
Le Motivazioni
La Corte Suprema, nel motivare la sua decisione, ha richiamato un’importante sentenza delle Sezioni Unite (la n. 10713 del 2010). Questo precedente ha chiarito che la motivazione del giudice sul bilanciamento delle circostanze può essere considerata adeguata anche quando si limita ad affermare che la soluzione dell’equivalenza è la più idonea a garantire l’adeguatezza della pena inflitta nel caso concreto.
Nel caso di specie, i giudici della Cassazione hanno ritenuto che le conclusioni della Corte d’Appello fossero ‘ragionate e argomentate’ e, pertanto, ‘incensurabili’. Il ricorso, quindi, non denunciava un vizio di legittimità, ma mirava a ottenere una nuova e diversa valutazione del merito della questione, un’operazione preclusa alla Suprema Corte. La conseguenza inevitabile è stata la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame riafferma con forza la distinzione tra il giudizio di merito e quello di legittimità. Il bilanciamento circostanze è un’attività che richiede una valutazione complessa dei fatti, della personalità dell’imputato e delle esigenze di giustizia nel singolo caso. Per questo motivo, la legge affida tale compito al giudice che ha diretto il processo e analizzato le prove. L’intervento della Cassazione è eccezionale e limitato ai soli casi di palese irragionevolezza. Questa pronuncia serve da monito: un ricorso in Cassazione basato su una mera critica alla valutazione discrezionale del giudice, senza l’individuazione di un vizio logico o giuridico specifico, è destinato all’insuccesso e comporta ulteriori oneri economici per il ricorrente.
È possibile contestare in Cassazione il modo in cui un giudice ha bilanciato le circostanze attenuanti e aggravanti?
Generalmente no. Secondo quanto stabilito dalla Corte, il bilanciamento delle circostanze è una valutazione discrezionale del giudice di merito. Può essere contestato solo se la motivazione è manifestamente illogica, arbitraria o completamente assente, ma non per un semplice disaccordo con la valutazione effettuata.
Cosa significa quando le circostanze sono giudicate ‘equivalenti’?
Significa che il giudice ritiene che il peso delle circostanze attenuanti (che riducono la pena) e quello delle circostanze aggravanti (che la aumentano) si equivalgano. Di conseguenza, gli effetti si annullano a vicenda e la pena viene determinata partendo dalla pena base prevista per il reato, senza aumenti né diminuzioni.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Come specificato in questa ordinanza, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, in questo caso fissata in tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 25982 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 25982 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/11/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME,
ritenuto che l’unico motivo di ricorso che contesta il giudizio di comparazione fra opposte circostanze in particolare lamentando il mancato riconoscimento delle circostanze attenuati generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva, non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito che sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931);
che le conclusioni ragionate e argomentate del giudice del merito (si veda pag. 7 della sentenza impugnata) sono, pertanto, incensurabili;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2024
Il Consigliere Estensore
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Il Presidente