Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 655 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 655 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MONZA il 24/02/1964
avverso la sentenza del 09/05/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del PG, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all’accoglimento del quarto motivo di ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna ha riformato la sentenza emessa il 26/04/2021 dal Tribunale di Forlì nei confronti di NOME COGNOME imputata del reato previsto dall’art.624-bis cod.pen. e, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato la pena in anni tre e mesi quattro di reclusione ed C 666,00 di multa, con applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
La Corte territoriale ha previamente esposto la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata; dalla quale era emerso che l’imputata era legata da una relazione sentimentale con la persona offesa NOME COGNOME e che la stessa possedeva una copia delle chiavi dell’appartamento di quest’ultimo; che, il giorno 21/09/2019, il COGNOME – rientrato presso la propria abitazione – aveva riscontrato che il coprisifone del lavandino, al cui interno erano custoditi dei lingotti d’oro, era stato asportato; che (ritenendo che la responsabile potesse essere l’imputata, unica a conoscere il nascondiglio) le aveva chiesto spiegazioni e che la COGNOME gli aveva detto di essere stata effettivamente lei a sottrarre l’oro e che non era intenzionata a restituirlo; comportamento al quale era seguita la presentazione della querela; la Corte ha altresì dato atto che il Tribunale aveva esposto gli elementi di prova desumibili dalle testimonianze acquisite e dalle immagini tratte dal sistema di videosorveglianza, nelle quali era stata ritratta l’imputata nell’atto di fare ingresso in casa del COGNOME con degli oggetti in mano, riconducibili ai lingotti scomparsi.
La Corte ha quindi previamente dato atto di avere rigettato l’istanza proposta ai sensi dell’art.599-bis cod.proc.pen., non essendo possibile l’applicazione dell’attenuante prevista dall’art.62, n.6, cod.pen. e non essendo corretta l’indicazione della pena base; ha rilevato l’infondatezza del motivo di ricorso attinente alla qualificazione del fatto sotto la specie del furto semplice, atteso che – sulla base delle dichiarazioni dell’imputata – essa dal 2019 non conviveva più con la persona offesa, con la conseguenza che la stessa aveva fatto ingresso nell’abitazione del Bonsi senza un titolo giustificativo; ha ritenuto, in ordine al motivo di appello riguardante la mancata applicazione dell’art.62-bis cod.pen., che la sopravvenuta restituzione della refurtiva potesse giustificare l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche; ritenendo infondato il motivo di appello attinente alla sussistenza dell’aggravante prevista dall’art.61, n.7, cod.pen., rideterminando quindi la pena nel senso suddetto.
Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando sei motivi impugnazione.
Con il primo motivo, ha dedotto l’erronea applicazione della legge penale e processuale con riferimento all’ordinanza di rigetto della richiesta formulata ai sensi dell’art.599-bis cod.proc.pen., quanto alla ritenuta impossibilità dell’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art.62, n.6, cod.pen., nonché all’applicazione del combinato disposto di cui ai commi 3 e 4 dell’art.624bis cod.pen..
Ha dedotto, in ordine alle modalità di calcolo della pena, che il capo di imputazione recava il riferimento congiunto alle aggravanti previste dall’art.61, nn.5 e 7, all’art.624-bis e all’art.625, n.2, cod.pen., avendo però il Tribunale riconosciuto la sola aggravante prevista dall’art.61, n.7, cod.pen. escludendo espressamente quella prevista dall’art.61, n.5, cod.pen. e senza che fosse contenuto alcun riferimento all’aggravante prevista dall’art.625, n.2, cod.pen.; ha quindi ritenuto scorretta la valutazione della Corte territoriale nella parte in cui aveva ritenuto sussistente il presupposto per l’applicazione del trattamento sanzionatorio previsto dall’ultimo comma dell’art.624-bis cod.pen. per la sussistenza di un’aggravante prevista dall’art.625 cod.pen.; ha quindi dedotto che la mancata operatività del calcolo delle circostanze secondo il disposto di cui al comma 4 dell’art.624-bis cod.pen., avrebbe dovuto riportare il criterio di bilanciamento a quello di parte generale e – quindi – al trattamento sanzionatorio previsto dal precedente comma 3, che avrebbe potuto portare, previo giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, al trattamento sanziona torio proprio del furto semplice in abitazione; ha quindi ritenuto illegittima anche l’ulteriore ragione poste alla base del rigetto della proposta di concordato e rappresentata dal diniego dell’attenuante prevista dall’art.62, n.6, cod.pen., in ragione della partecipazione al programma di giustizia riparativa, deducendo come non fosse condivisibile la valutazione della Corte in base alla quale il perfezionamento del programma dovesse necessariamente avvenire prima del giudizio e non anche – come nel caso di specie – nel corso di esso. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con il secondo motivo di ricorso ha dedotto l’inosservanza della legge penale e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione relativa alla sussistenza del dolo specifico del delitto di furto in abitazione, in relazione all’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen.; ha dedotto che i giudici di merito avrebbero illegittimamente ritenuto sussistente la ragione di profitto atteso che – dal testo delle sentenze – emergeva come il fine dell’imputata non fosse quello dell’arricchimento personale bensì quello esclusivamente punitivo nei confronti della persona offesa, derivante dal fatto di averla ripetutamente tradita,1
come peraltro desumibile dalla successiva e integrale restituzione di quant sottratto.
Con il terzo motivo di ricorso, ha dedotto l’inosservanza della legge penal ovvero la manifesta contraddittorietà della motivazione in ordine alla qualificazio giuridica del fatto sotto la specie del furto in abitazione anziché sotto quel furto semplice eventualmente circostanziato ai sensi dell’art.61, n.11, cod.pe ha dedotto che l’imputata aveva fatto ingresso nell’abitazione con le chiavi che persona offesa le aveva volontariamente consegnato, dovendosi quindi ravvisare una fattispecie di furto semplice aggravato dall’abuso di ospitalità e che l’ingr nell’abitazione sarebbe avvenuto al solo scopo di recuperare beni di proprietà del stessa imputata; deducendo come l’ingresso nell’altrui dimora non sarebbe avvenuto in presenza di una contraria volontà, espressa o tacita, del titolare domicilio.
Con il quarto motivo di ricorso, ha dedotto la violazione della legge penal quanto all’applicazione del combinato disposto degli artt. 624-bis, commi 3 e 625, n.2 e 61, n.7, cod.pen. e alla conseguente mancata applicazione dell circostanze attenuanti generiche in prevalenza sulle contestate aggravanti.
Ha dedotto – rifacendosi a quanto esposto nel primo motivo di impugnazione – che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere operativo il meccanismo bilanciamento previsto dall’art.624-bis, comma 4, cod.pen., non essendo stat ravvisata alcuna delle aggravanti previste dall’art.625 cod.pen., con conseguenza che il giudizio di bilanciamento medesimo avrebbe dovuto essere operato sulla base dei criteri generali.
Con il quinto motivo di ricorso, ha dedotto l’inosservanza della legge penal per non avere riconosciuto la circostanza attenuante comune prevista dall’art.6 n.2, cod.pen., avendo l’imputata agito in stato d’ira determinato da un fa ingiusto altrui e causato dall’avvenuto tradimento da parte della persona offesa
Con il sesto motivo di ricorso, ha dedotto la violazione della legge processua penale quanto alla mancata applicazione dell’art.545-bis coci.proc.pen., no avendo la Corte dato avviso alle parti della facoltà di richiedere l’applicazion una delle sanzioni sostitutive previste dall’art.53 della I. n.689/1981, n formulazione, dopo la relativa lettura del dispositivo della sentenza di appello.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al quarto motivo di ricorso.
La difesa della ricorrente ha fatto pervenire memoria scritta, nella quale ulteriormente illustrato le ragioni poste alla base dell’ultimo motiv impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato quanto al quarto e al sesto motivo.
Va premesso che, vertendosi – in punto di valutazione di responsabilità dell’imputata – in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui «Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile» (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, COGNOME, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 118;78 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, COGNOME, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).
Con il primo motivo di impugnazione, la ricorrente ha dedotto l’erroneità del rigetto della proposta di concordato formulata di fronte al giudice di appello ai sensi dell’art.599-bis cod. proc. pen..
Sul punto va quindi premesso che – come avvenuto nel caso di specie – il provvedimento di rigetto del concordato di pena è ricorribile per cassazione unitamente alla sentenza resa all’esito del giudizio; avendo la cliurisprudenza di questa Corte precisato che l’opposta opzione ermeneutica, secondo cui tale provvedimento è insuscettibile di verifica, non è giustificabile, in quanto il rigetto incide sul contenuto della sentenza, e determina inoltre disparità nel trattamento riservato ai motivi di ricorso formulabili avverso la sentenza reiettiva della richiesta di definizione concordata del giudizio rispetto a quelli che potrebbero essere proposti nei confronti della sentenza nel diverso caso in cui una tale richiesta non sia stata avanzata e rilevando che l’illegittimo diniego della proposta di concordato si risolve in un grave vulnus al diritto di difesa dell’imputato, ledendone l’interesse ad accedere a un trattamento sanzionatorio di favore determinato dall’accordo tra le parti (Sez. 3, n. 28018 del 14/02/2023, Sentina, Rv. 284806; Sez. 2, n. 30624 del 07/06/2023, Suma, Rv. 284869).
Ciò premesso, il motivo è infondato; sulla base dell’osservazione, pregiudiziale rispetto a quelle relative alla correttezza del calcolo della pena operate dal Tribunale in relazione all’art.624-bis cod.pen. e posta anche alla base del quarto motivo di ricorso – inerente all’impossibilità di riconoscere l’attenuante prevista dall’art.62, n.6, cod.pen., espressamente posta alla base della proposta
di concordato, in relazione al vigente testo derivante per effetto dell’art. 1, comma 1, lett.b), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150, in base al quale l’attenuante medesima può essere riconosciuta, oltre che in caso di integrale eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato anche per «l’avere partecipato a un programma di giustizia riparativa con la vittima del reato, concluso con un esito riparativo. Qualora l’esito riparativo comporti l’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali, la circostanza è valutata solo quando gli impegni sono stati rispettati».
Sul punto, il motivo di impugnazione risulta intrinsecamente generico, non avendo – nell’esposizione del motivo medesimo – la parte ricorrente dedotto lo stato e la progressione del richiesto programma di giustizia riparativa e né, in ordine al necessario requisito di autosufficienza, allegato elementi documentali valutabili da questa Corte.
In ogni caso, la deduzione difensiva inerente alla possibilità di riconoscere la predetta attenuante anche in caso di programma di giustizia riparativa ancora in corso di esecuzione e non ultimato deve ritenersi infondata, apparendo invece congruamente motivata la ragione posta dalla Corte alla base del rigetto dell’istanza di concordato, ribadita nella motivazione della sentenza.
Sul punto, sulla base del tenore testuale del nuovo testo dell’art.62, n.6, cod.pen., il dato della necessaria conclusione del programma si evince dalle parole «avere partecipato a un programma di giustizia riparativa» e dall’uso della locuzione «concluso con un esito riparativo».
Soccorre in tale senso anche la relazione illustrativa al d.lgs. n.150/2022, nella quale (nell’ambito del capo II e in riferimento alla parte della riforma contenente modifiche al sistema penale) si legge che: «La disposizione dà attuazione all’articolo 1, comma 18, lett. e), della legge delega, che indica, tra i principi e criteri che il legislatore delegato deve rispettare, anche quello di prevedere che “l’esito favorevole dei programmi di giustizia riparati va possa essere valutato nel procedimento penale e in fase di esecuzione della pena; prevedere che l’impossibilità di attuare un programma di giustizia riparati va o il suo fallimento non producano effetti negativi a carico della vittima del reato o dell’autore del reato nel procedimento penale o in sede esecutiva”.
Pertanto, il giudice – svolto dall’imputato un programma di giustizia riparativa e ricevuta dal mediatore la relazione finale, contenente l’indica2:ione dell’esito verifica, innanzitutto, che detto esito possa qualificarsi quale esito riparativo ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lett. e), per poi valutarlo unitamente agli atti e documenti acquisiti nel procedimento.
Tale valutazione rileva ai fini dell’applicazione della circostanza attenuante comune di cui all’articolo 62 n. 6, ultima parte del codice penale, correlata all’aver
l’imputato partecipato a un programma di giustizia riparativa conclusosi con esito riparativo. Posto che l’applicazione della circostanza attenuante comune non permette al giudice una valutazione discrezionale a fronte del riscontrato realizzarsi della stessa circostanza, e considerato che l’esito riparativo, come già chiarito, potrebbe consistere anche nell’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali, nella norma viene previsto che, in tal caso, la circostanza si applichi solo a seguito della valutazione del giudic:e circa il rispetto di detti impegni. Si ritiene dunque l’imputato meritevole di una diminuzione di pena solo qualora gli impegni, oltre ad essere stati da lui assunti all’esito del programma, siano stati anche dallo stesso rispettati».
Pertanto, sulla base del tenore testuale della norma e in riferimento ai generali criteri interpretativi dettati dall’art.12 delle disposizioni sulla legge in general deve ritenersi che la positiva ultimazione del programma costituisca presupposto necessario per il riconoscimento della predetta circostanza attenuante.
Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente ha censurato la valutazione della Corte territoriale che, aderendo implicitamente sul punto alla valutazione operata dal Tribunale (pag.11 della sentenza di primo grado), ha ritenuto sussistente il necessario dolo specifico richiesto dalla disposizione incriminatrice e rappresentato dal fine di profitto.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art.609, comma 3, cod.proc.pen., non essendo la relativa doglianza stata formulata in sede di motivi di appello; nell’ambito dei quali, in riferimento alla contestazione operata, la difesa dell’imputata si era limitata a richiedere la riqualificazione del fatto sotto la specie del furto semplice, non operando alcuna osservazione in punto di requisito dell’elemento soggettivo.
Con il terzo motivo di impugnazione, la ricorrente ha richiesto la riqualificazione del fatto sotto la specie del furto semplice, sulla base del presupposto di fatto in forza del quale l’imputata aveva la disponibilità delle chiavi di ingresso dell’abitazione – che avrebbe in passato frequentato volente domino -e avrebbe ivi fatto ingresso al solo fine di recuperare beni di sua proprietà, difettando quindi il necessario nesso finalistico tra l’ingresso nell’abitazione e l’impossessamento della cosa.
Va quindi pregiudizialmente rilevato che tale secondo ordine di argomentazioni in punto di fatto e di diritto deve ritenersi inammissibile, ai sensi dell’art.609, comma 3, cod.proc.pen.; ciò in quanto, in sede di motivo di appello, la difesa dell’imputata aveva evidenziato, ai fini della qualificazione del fatto sotto la specie del furto semplice, il solo dato rappresentato dalla disponibilità delle
chiavi di ingresso dell’abitazione e dalla conseguente circostanza che la stessa potesse ritenersi adibita a comune dimora con la persona offesa.
Tale deduzione, ribadita in sede di ricorso per cassazione, è inammissibile in quanto manifestamente infondata.
Va quindi premesso, che non è consentita in sede legittimità una rivalutazione nello stretto merito delle risultanze processuali, essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, COGNOME, RV. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, B., Rv. 280601); essendo, infatti, stato più volte ribadito che la Corte di cassazione non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099), restando esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716).
Sul punto, quindi, il Tribunale ha dato atto – con giudizio in punto di fatto intangibile in questa sede – che non sussisteva alcun rapporto cli convivenza tra la persona offesa e la COGNOME, sulla base di quanto dichiarato in sede dibattimentale dalla stessa vittima, la quale aveva esposto che le chiavi di ingresso dell’abitazione le erano state consegna in via solo precauzionale in caso di bisogno di aiuto; e che, in ogni caso – come sottolineato nella sentenza di appello – sulla base delle stesse deduzioni operate dalla difesa dell’imputata l’eventuale rapporto di convivenza sarebbe cessato sin dal luglio del 2019 e quindi anteriormente rispetto alla commissione del fatto.
Tanto premesso, deve quindi ritenersi che ili solo dato fattuale rappresentato dal possesso delle chiavi di ingresso non valga a escludere l’elemento oggettivo della fattispecie di furto in abitazione; posto che l’eventuale possibilità di ingerenza nella sfera domiciliare altrui non vale a connotare di liceità l’ingerenza medesima (Sez.5 n.8540 del 28/11/2018, dep.2019, NOME COGNOME, n.m.; configurandosi quindi pienamente, nel caso di specie, l’elemento oggettivo del reato contestato nella parte in cui richiede «l’introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora».
Il quarto motivo, attinente alle modalità del giudizio di bilanciament operato dalla Corte a seguito della ritenuta sussistenza dei presupposti pe concessione delle circostanze attenuanti generic:he, è fondato.
Sul punto, la Corte territoriale ha ritenuto di non poter procedere al giudi di bilanciamento suddetto, in riferimento all’ultimo comma dell’art.624-b cod.pen., il quale stabilisce che «le circostanze attenuanti diverse da qu previste dagli articoli 98 e 625 bis, concorrenti con una o più delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 625, non possono essere ritenute equivalent prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità della st risultante dall’aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti» operando, per l’effetto, la eventuale diminuzione ai sensi dell’art.62-bis cod. sulla pena prevista dall’art.624-bis, comma 3, cod.pen., ai sensi del quale caso di ricorrenza di una o più delle circostanze previste dall’art.625 cod.p ovvero se ricorre uno o più delle circostanze previste dall’art.61 cod.pen. applica la pena della reclusione da cinque a dieci anni e quella della multa d 1.000,00 a C 2,500,00.
Va quindi ritenuto che – ferma restando l’aggravante a effetto special prevista nel comma 3 in caso di ricorrenza di una o più delle circostanze elenca negli artt. 61 e 625 cod.pen. – il divieto di bilanciamento (con consegue necessità di determinare l’eventuale diminuzione derivante dall’applicazione dell attenuanti sulla pena prevista dal comma 3 dell’art.624-bis cod.pen.) ricorra caso specifico della ricorrenza delle sole aggravanti previste dall’art.625 cod.p
Va peraltro rilevato che la sentenza di primo grado – da intendersi, sul punt integralmente richiamata per relationem in quella di appello – non conteneva alcun riferimento, neanche nella parte motiva, all’aggravante prevista dall’art.625, cod.pen., avendo la stessa commisurato il trattamento sanzionatorio in riferiment al disposto dell’art.624-bis, comma 3, cod.pen., sulla scorta della sola sussist dell’aggravante prevista dall’art.61, n.7, cod.pen..
Ne consegue che, in presenza di tale sola aggravante, non operava il divieto di bilanciamento imposto dall’art.624-bis, comma 4, cod.pen. e che, d conseguenza, la Corte d’appello – una volta riconosciuta l’applicabilità de circostanze attenuanti generiche – avrebbe dovuto procedere al relativo giudizi di bilanciamento sulla base delle disposizioni contenute nell’art.69 cod.pen..
Il quinto motivo di ricorso, con la quale è stata invocata l’applicabi dell’attenuante comune prevista dall’art.62, n.2, cod.pen., è inammissibile ai s dell’art.609, comma 3, cod.proc.pen., non essendo la relativa circostanza sta oggetto dei motivi spiegati nell’atto di appello.
8. E’ fondato il sesto motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art.545-bis, comma 1, cod.proc.pen., per non avere la Corte d’appello, dopo l’emissione del dispositivo, dato avviso della facoltà di richiedere l’applicazione di una delle sanzioni sostitutive previste dall’art.53 della I. 689/1981.
Sul punto va quindi premesso che, ai sensi della disciplina transitoria dettata dall’art.95 del d.lgs. n.150/2022 «Le norme previste dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell’entrata in vigore del presente decreto».
Conseguendone il principio in base al quale, ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 del d.lgs. n. 150 del 2022, affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito alla applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive di cui all’art. 20-bis cod. pen., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, da formulare non necessariamente con l’atto di gravame, ma che deve comunque intervenire al più tardi nel corso dell’udienza di discussione in appello.
Va quindi richiamata la parte motiva di Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023, Agostino, Rv. 285090; la quale ha rilevato che la sostituzione della reclusione con una pena sostitutiva non costituisce diritto dell’imputato ma così come si è pacificamente ritenuto in riferimento alle sanzioni sostitutive disciplinate dall’originario art. 53 1.n. 689 del 1981 – rientra nell’ambito della valutazione discrezionale del giudice; difatti, in riferimento alle predette sanzioni, questa Corte ha precisato che «La sostituzione delle pene dletentive brevi è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., prendendo in esame, tra l’altro, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato» (ex multis, Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 263558 01). Tale principio è trasponibile anche alle nuove “pene sostitutive”, atteso che la disciplina normativa introdotta continua a subordinare la sostituzione a una valutazione giudiziale ancorata ai parametri di cui al cit. art. 133. Pertanto, in assenza di una richiesta formulata in tal senso dall’appellante non vi è obbligo per il Giudice di secondo grado di motivare in ordine alla insussistenza dei presupposti per la sostituzione della reclusione con una delle nuove pene elencate nell’art. 20-bis. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso di specie, va quindi rilevato che la richiesta di applicazione della sanzione sostitutiva era stata espressamente formulata nella proposta di concordato e che, in sede di conclusioni, l’appellante aveva ribadito la relativa richiesta chiedendo espressamente di applicare la sanzione sostitutiva dei lavori di pubblica utilità; ne consegue che, alla luce della lettura sinottica dei predetti
principi, avrebbe costituito obbligo – in capo al giudice di appello e dat sussistenza dell’espressa richiesta formulata dall’imputato – esprimersi s presenza delle condizioni per l’applicazione della sanzione sostitutiva irrogabil considerazione della pena concretamente determinata.
D’altra parte, appare fondata la doglianza in base alla quale il giudic appello – una volta rideterminata la sanzione in termini più favorevoli l’imputato e con una pena astrattamente idonea a consentire l’applicazione di un sanzione sostitutiva – avrebbe dovuto, in forza del testo della disciplina transit formulare l’avvertimento previsto dall’art.545-bis, comma 1, cod.proc.pen., attes che – essendo la possibilità di applicare la pena sostitutiva stata introdott corso del giudizio di appello – l’imputato avrebbe potuto esprimere il suo assen alla sostituzione solo dopo la lettura del dispositivo da parte della Corte territo
Per l’effetto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio a altra sezione della Corte d’appello di Bologna, la quale dovrà attenersi ai pred principi in tema di giudizio di bilanciamento tra le circostanze e procedere a valutazione in ordine all’applicabilità di una sanzione sostitutiva.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al giudizio di valenza e all’applicabilità dell’art.20-bis c.p. e rinvia per nuovo giudizio su tali punti a Sezione della Corte d’appello di Bologna. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 7 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente
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