Bilanciamento Circostanze: Quando le Attenuanti non Possono Prevalere sulla Recidiva
Nel diritto penale, la determinazione della pena è un processo complesso che tiene conto di numerosi fattori. Uno degli snodi cruciali è il bilanciamento circostanze, ovvero il giudizio con cui il magistrato soppesa gli elementi a favore (attenuanti) e a sfavore (aggravanti) dell’imputato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti invalicabili di questo potere discrezionale, in particolare quando si ha a che fare con la recidiva reiterata.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato dalla Corte di Appello, presentava ricorso in Cassazione. Il fulcro della sua doglianza era uno solo: la mancata applicazione di un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, che gli erano state riconosciute, rispetto all’aggravante della recidiva. In pratica, l’imputato sosteneva che il giudice avrebbe dovuto dare più peso agli elementi a suo favore, come la collaborazione con la giustizia, riducendo di conseguenza la pena in modo più significativo.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo “manifestamente infondato” e quindi inammissibile. La decisione si fonda su un principio legale preciso e su un orientamento giurisprudenziale consolidato, che non lasciano spazio a interpretazioni diverse.
Il Divieto di Prevalenza nel Bilanciamento Circostanze
Il cuore della questione risiede in un divieto esplicito previsto dalla legge. La Corte ha sottolineato come la decisione del giudice di merito fosse corretta, poiché l’articolo 69, comma quarto, del codice penale, impedisce di considerare le circostanze attenuanti generiche come prevalenti sulla recidiva reiterata (prevista dall’art. 99, quarto comma, c.p.).
Questa norma non è un mero tecnicismo, ma risponde a una precisa scelta del legislatore: valorizzare la componente soggettiva del reato. Quando un individuo ricade ripetutamente in condotte criminali, dimostrando una persistente inclinazione a delinquere, la legge impone un trattamento sanzionatorio più severo, limitando la discrezionalità del giudice nel bilanciamento circostanze.
La Collaborazione Già Valutata
Il ricorrente aveva tentato di far leva sulla sua collaborazione con la giustizia come elemento decisivo per ottenere un giudizio di prevalenza. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito un punto fondamentale: quella stessa collaborazione era stata la ragione per cui i giudici di merito gli avevano concesso le attenuanti generiche (ex art. 62-bis c.p.).
In altre parole, il comportamento positivo dell’imputato aveva già prodotto il suo effetto benefico, consentendogli di ottenere uno sconto di pena. Pretendere che quello stesso fattore venisse utilizzato una seconda volta per “vincere” il confronto con la recidiva reiterata sarebbe stato contrario alla logica del sistema e, soprattutto, alla lettera della legge.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte sono ancorate a due pilastri. Il primo è il rispetto del dato normativo: esiste un divieto legale che non può essere aggirato. La Corte ha ribadito che questa norma è stata ritenuta costituzionalmente legittima, in quanto non crea una sproporzione irragionevole nel trattamento sanzionatorio, ma si limita a dare il giusto peso alla pericolosità sociale manifestata dal reo con la sua condotta recidivante. Il secondo pilastro è la logica del giudizio di merito: la discrezionalità del giudice nel bilanciare le circostanze è sindacabile in Cassazione solo se frutto di “mero arbitrio o di ragionamento illogico”, eventualità che nel caso di specie è stata esclusa. La decisione della Corte d’Appello era, al contrario, pienamente conforme alla legge e alla sua interpretazione consolidata.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma dei limiti del bilanciamento circostanze nel processo penale. Essa chiarisce che, di fronte a una recidiva reiterata, le circostanze attenuanti generiche, per quanto meritevoli, non possono prevalere. La collaborazione e altri elementi positivi possono e devono essere valutati per concedere le attenuanti, ma non possono scardinare un divieto posto a tutela di esigenze di prevenzione e di proporzionalità della pena rispetto alla gravità complessiva del fatto, inclusa la storia criminale dell’imputato. La decisione si conclude con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una somma alla Cassa delle ammende, a monito contro la proposizione di ricorsi palesemente infondati.
 
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato perché la decisione della Corte d’Appello di non far prevalere le attenuanti generiche sulla recidiva reiterata era corretta, in quanto basata su un esplicito divieto di legge (art. 69, comma 4, cod. pen.).
Le circostanze attenuanti generiche possono prevalere sulla recidiva reiterata?
No. Secondo la Corte di Cassazione e la giurisprudenza consolidata, la legge vieta espressamente che nel bilanciamento circostanze le attenuanti generiche possano essere considerate prevalenti rispetto all’aggravante della recidiva reiterata, come previsto dall’art. 99, comma 4, del codice penale.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente oltre al rigetto del ricorso?
Oltre alla dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa nell’aver proposto un ricorso privo di fondamento.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5219 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 5219  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/07/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in preambolo e deduce un unico motivo con il quale lamenta l’omessa motivazione in punto di riconoscimento di un più favorevole giudizio di valenza tra le circostanze attenuanti generiche e la recidiva;
considerato che il motivo è manifestamente infondato poiché la Corte territoriale ha (p. 4 della sentenza impugnata) espressamente negato il giudizio di prevalenza in virtù dell’espresso divieto di legge di cui all’art. 99, comma 4 cod. proc. pen. e che tale affermazione è in linea con consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale «É manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 25 e 27 Cost., dell’art. 6 comma quarto, cod. pen., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla recidiva reiterata ex art. 99, comma quarto, cod. pen., in quanto tale deroga alla ordinaria disciplina del bilanciamento si riferisce ad una circostanza attenuante comune e la sua applicazione, quindi, non determina una manifesta sproporzione del trattamento sanzioNOMErio, ma si limita a valorizzare, in misura contenuta, la componente soggettiva del reato, qualificata dalla plurima ricaduta del reo in condotte trasgressive di precetti penalmente sanzionati» (Sez. 6 n. 16487 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 269522);
rilevato, altresì, che la circostanza della collaborazione con la giustizia da parte del ricorrente sulla quale si vorrebbe fondare il suindicato più favorevole giudizio di valenza è stata già presa in considerazione dai giudici di merito proprio al fine del riconoscimento del beneficio di cui all’art. 62-bis cod. pen. e ricordato che «Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti sono censurabili in cassazione soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico» (Sez. 2, n. 46343 del 26/10/2016, Montesano, Rv. 268473), in alcun modo riscontrabile nel caso che ci occupa;
ritenuto dunque che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che a detta declaratoria segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazion (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30 novembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presid ?hte