Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35232 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35232 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/04/2025 della Corte di appello di Roma letti gli atti, il ricorso e il provvedimento impugnato; udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria di replica del difensore, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Roma, in sede di rinvio, ha confermato la sentenza emessa il 19/09/2014 dal Tribunale di Roma, che aveva condannato l’imputato alla pena di giustizia per concorso nel delitto di rapina pluriaggravata in un supermercato.
Ne chiede l’annullamento per i motivi di seguito illustrati.
1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’aggravante delle più persone riunite, erroneamente ritenuta coperta da giudicato. 7)
L’aggravante, di fatto disapplicata dal Tribunale, era stata ritenuta sussistente dal precedente giudice di appello con evidente violazione di legge; la questione, seppur non oggetto di specifica impugnazione, era da ritenere implicitamente posta con la richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti; ma, quand’anche devoluto per la prima volta in cassazione, il motivo non doveva essere dichiarato inammissibile, in quanto ai fini del riconoscimento di attenuanti prevalenti o della determinazione del trattamento sanzionatorio il giudice avrebbe dovuto valutare l’esistenza delle aggravanti contestate e nel caso di specie l’unica aggravante esistente era quella dell’uso di un’arma, dovendo verificarsi la sussistenza dell’aggravante delle più persone riunite e dell’aver posto la persona offesa in stato di incapacità, aggravante, questa, esclusa dalla Corte di cassazione. Anche l’altra aggravante doveva essere esclusa, avendo il ricorrente agito da solo, mentre il complice lo attendeva all’esterno, sicché l’esclusione delle due aggravanti aveva concreta ricaduta sul trattamento sanzionatorio, incidendo sul disvalore del fatto. Essendo sussistenti le sole aggravanti dell’uso dell’arma e della recidiva, anche se neutralizzate dal giudizio di equivalenza con le attenuanti, il giudice avrebbe dovuto modulare la pena da un minimo di 3 anni al massimo di 10 anni di reclusione.
1.2. Violazione dell’art. 597 comma 3, cod. proc. pen. per avere la Corte di appello proceduto alla correzione dell’errore materiale del dispositivo della sentenza di primo grado, dando prevalenza alla motivazione per risolvere il contrasto von il dispositivo che indicava la pena di quattro anni di reclusione anziché quattro anni e quattro mesi, dando rilievo al riferimento allo scostamento dal minimo edittale indicato in motivazione. In ogni caso vi è violazione di legge in quanto all’epoca del fatto – novembre 2009- la pena minima edittale era di anni tre di reclusione e non quattro, minimo elevato solo dalla legge del giugno 2017.
1.3. Violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento di attenuanti generiche prevalenti e determinazione della pena in senso favorevole all’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza dei motivi.
La Corte di appello si è correttamente attenuta alla decisione di questa Corte e non poteva in alcun modo rimettere in discussione la sussistenza delle altre circostanze, essendo la rideterminazione della pena circoscritta all’esclusione dell’aggravante di cui al comma 3 n.2 dell’art. 628 cod. pen.
A differenza di quanto dedotto con il primo motivo di ricorso, deve precisarsi che la sentenza rescindente (n. 21789/21 della Seconda sezione di questa Corte) ha espressamente dichiarato inammissibile la censura relativa all’aggravante delle più persone riunite, ritenuta formalmente contestata nel capo di imputazione e riconosciuta dal primo giudice (pag.2 sentenza) e ha dichiarato irrevocabile l’affermazione di responsabilità dell’imputato.
La difesa pretende, quindi, una inammissibile riconsiderazione delle altre aggravanti, ormai coperte da giudicato, come già evidenziato in sentenza.
Parimenti inammissibile è la richiesta di un nuovo bilanciamento tra circostanze con giudizio di prevalenza delle attenuanti, che il giudice di appello ha escluso, ampiamente giustificando il rigetto e ritenendo persino generoso il riconoscimento delle attenuanti generiche (pag. 5-6).
La Corte di appello ha, infatti, evidenziato che in base alle risultanze del certificato penale all’imputato doveva essere contestata la recidiva reiterata specifica infraquinquennale e non la sola recidiva infraquinquennale, in tal modo rimarcando la pericolosità e la perdurante inclinazione a delinquere dell’imputato, meritevole di un maggior aggravio sanzionatorio, non applicabile in mancanza di impugnazione del P.m. sul punto. Ha, inoltre, evidenziato che il giudice di primo grado aveva riconosciuto le attenuanti generiche esclusivamente in ragione della giovane età dell’imputato, senza, però, tener conto dei numerosi reati, tra cui due rapine, commessi prima di quello in esame.
Alla luce di tali considerazioni ha giustificato il rigetto della richiesta prevalenza delle attenuanti generiche, attribuendo rilievo assorbente alla presenza di tre aggravanti concorrenti (fatto commesso da più persone riunite, con uso di arma e da soggetto gravato da recidiva qualificata), quali elementi di qualificazione della gravità della condotta.
L’attenta ed esaustiva motivazione si sottrae a censure, risultando in linea con l’orientamento di questa Corte secondo il quale le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaido, Rv. 245931).
Stessa sorte spetta all’ultimo motivo per insussistenza della violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. in relazione alla pena detentiva applicata.
Secondo l’orientamento di legittimità ormai prevalente, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo, in quanto immediata espressione della volontà decisoria del giudice, non è assoluta, ma va contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione e che, pertanto, ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (Sez. 2, n. 35424 del 13/07/2022, COGNOME, Rv. 284316; Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep. 2019, B., Rv. 275690; Sez. 6, n. 24157 del 01/03/2018, COGNOME, Rv. 273269; Sez. 4, n. 26172 del 19/05/2016, COGNOME, Rv. 267153).
Tale orientamento muove dall’esigenza di risolvere i casi in cui la divergenza dipende da un errore materiale, obiettivamente riconoscibile, contenuto nel dispositivo e, sul presupposto che in tal caso il contrasto è solo apparente, si reputa legittimo il ricorso alla motivazione per chiarire la effettiva portata della decisione, individuare l’errore ed eliminarne gli effetti.
A tale principio si è attenuta la Corte di appello, che ha semplicemente rilevato l’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado in presenza di una motivazione che ne rivelava l’esistenza. Il Tribunale aveva, infatti, giustificato in motivazione lo scostamento dal minimo edittale in ragione del ruolo svolto dall’imputato, quale esecutore materiale della condotta, e della personalità “gravemente compromessa” e, alla luce dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., aveva determinato la pena nella misura di anni quattro e mesi quattro di reclusione e 1.100,00 euro di multa, mentre nel dispositivo aveva condannato l’imputato alla pena di anni quattro di reclusione e 1.100,00 euro di multa.
Con argomentazione logica la Corte di appello ha evidenziato che depone per la natura di errore materiale, emendabile con ricorso alla motivazione, l’assenza di contrasto relativamente alla pena pecuniaria, rimasta immutata.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativannente determinata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, 7 ottobre 2025