Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 783 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 783 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a TORINO il 28/11/1981
avverso la sentenza del 06/02/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso.
Udito l’Avv. COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
Ritenuto in fatto
La Corte d’appello di Genova, con provvedimento del 6 febbraio 2023, ha ritenuto NOME COGNOME responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell’art. 216, primo comma, n.1, 219 e 223, I. fall., per avere distratto, in qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, importi di denaro pari, nel complesso, a circa 2 milioni di euro, mediante prelievi ingiustificati di denaro dai conti aziendali, bonifici e assegni destinati a gioiellerie, oltre che a se stesso. La parziale riforma della sentenza di primo grado ha riguardato unicamente le circostanze attenuanti generiche, concesse dalla Corte territoriale in regime di equivalenza rispetto all’aggravante della commissione di più fatti di reato, di cui all’art. 219, secondo comma, n.1, I. fall.; di conseguenza la pena è stata rideterminata in anni tre e mesi due di reclusione e in anni cinque la durata delle pene accessorie. È stata confermata la confisca di una serie di orologi di pregio.
Avverso la sentenza, ha presentato ricorso l’imputato, per il tramite del suo difensore di fiducia, Avv. NOME COGNOME articolando le proprie censure nei due motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta vizio di motivazione in ordine al giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante. Si contesta, in particolare, l’incompleta valutazione del motivo di gravame, che evidenziava il concreto adoprarsi dell’imputato per mitigare le conseguenze in danno ai creditori. La Corte territoriale, nel concedere le circostanze attenuanti in regime di equivalenza anziché di prevalenza, come richiesto dall’imputato, avrebbe totalmente omesso di considerare la transazione con la curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE con corresponsione di euro 70.000 a titolo di risarcimento del danno.
2.2 Col secondo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla disposta confisca di orologi, alcuni dei quali riferibili ad acquisti riconducibili non già alle due società fallite, bensì a una terza società -la RAGIONE_SOCIALE non fallita e non coinvolta nel procedimento a quo. La legittimità della confisca viene pertanto contestata in quanto non sarebbe stato provato dai Giudici di merito né il nesso di pertinenzialità tra beni sequestrati e reati contestati né la titolarità dei beni in capo all’imputato.
All’udienza del 22.9.2023, si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa NOME COGNOME ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo è infondato, essendo l’elemento di valutazione segnalato dalla difesa (vale a dire il risarcimento di euro 70.000 a favore del fallimento RAGIONE_SOCIALE) non decisivo nell’economia generale della motivazione: invero, come ricordato dal ricorrente stesso, la Corte d’appello, nel concedere le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con l’aggravante (non contestata dalla difesa), ha comunque valorizzato l’apporto processuale fornito dal Piazza in sede di interrogatorio di garanzia.
Non può dirsi, quindi, che i Giudici d’appello abbiano sorvolato sul comportamento processuale dell’imputato, del quale si è anzi valutato positivamente anche il tentativo di attivarsi nei confronti del fallimento RAGIONE_SOCIALE, malcirado la rimarcata esiguità della somma versata (90.000 euro) a fronte dell’entità delle somme complessivamente distratte. Il punto, allora, è che, secondo la razionale valutazione dei Giudici dell’appello, l’entità complessiva delle somme distratte (pari a circa 2 milioni di euro) non ha consentito di attribis re alle condotte risarcitorie dell’imputato (il quale -come già ricordato- si è attivato per risarcire la somma di euro 70.000, nel contesto della transazione con la curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE.IRAGIONE_SOCIALE, e di euro 90.000 nei confronti del fallimento RAGIONE_SOCIALE) un effetto utile a temperare significativamente la gravità complessiva del fatto, in ogni caso non utile al punto da giustificare il giudizio di prevalenza invocato dal ricorrente. Rispetto a quanto dedotto da quest’ultimo, va inoltre osservato che la motivazione dell’impugnata pronuncia è tanto più fondata in quanto la Corte d’appello ,ha specificato che la circostanza aggravante (commissione di più fatti di reato) oggetto del bilanciamento mai è stata contestata dalla difesa.
Alla luce di quanto appena esposto, va quindi ribadito l’orientamento di questa Corte, secondo il quale «in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluen2:a ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione»: cfr. Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M. e altri, Rv. 271227).
Dunque, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, il giudizio di equivalenza operato dalla Corte d’appello ha tenuto ben presenti i canoni previsti dall’art. 133 cod. pen. e, in particolare, dal secondo comma, n.3 (condotta susseguente al reato).
Non è condivisibile, inoltre, il rilievo difensivo secondo cui “ai sensi dell’art. 133 c.p.p. la valutazione in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche avrebbe dovuto essere costituita non dalla valutazione in ordine alla gravità del reato quanto alla concreta personalità del Piazza” (p. 4 del ricorso): basterà a tal proposito ricordare che la rubrica dell’art. 133 cod. pen. recita “Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena” e i parametri ivi contemplati (tra cui la condotta susseguente al reato) sono d’ausilio all’interprete per desumere, appunto, “la gravità del reato”, senza possibilità di scindere l’oggetto della valutazione (la gravità) dai parametri elencati nell’art. 133 cod. pen., come sembrerebbe auspicare il ricorrente.
Poste tali coordinate normative, correttamente i Giudici dell’appello hanno evidenziato “la gravità della vicenda nel suo complesso”, pur non trascurando il parametro di cui all’art. 133, secondo comma’ n.3, cod. pen., nell’ambito di un iter motivazionale in cui il giudizio di comparazione tra opposte circostanze non mostra alcuno dei cedimenti logici lamentati dal ricorrente (cfr. Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931: le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità quando, come nella specie, non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto).
Il secondo motivo è manifestamente infondato, in quanto la difesa, eludendo l’effettivo confronto critico con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, si limita a reiterare doglianze già correttamente disattese dal Giudice d’appello, e a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838- 01).
In riferimento agli orologi confiscati -indicati dal ricorrente sub nota 11 del ricorsosi osserva che, diversamente da quanto affermato nel motivo in esame, il nesso di pertinenzialità tra beni sequestrati e reato contestato è stato ben provato dai Giudici di merito, i quali hanno chiarito che l’imputato ha replicato lo schema operativo dell’ascritta condotta in altre due società, tra cui la RAGIONE_SOCIALE
amministrata di fatto dallo stesso COGNOME. Con ciò, il collegamento tra i due orologi confiscati indicati dal ricorrente, le condotte distrattive e la società RAGIONE_SOCIALE è stata dimostrata, e, con essa, la titolarità di quei beni in capo all’imputato. Con riferimento più generale agli altri beni confiscati (di nuovo, orologi di pregio), si osserva che la Corte territoriale ha correttamente valorizzato, con motivazione priva di vizi logici, il dato del luogo in cui gli orologi sono stati rinvenuti, vale a dir l’abitazione della compagna dell’imputato (non soltanto intestata alla stessa, come nota il ricorrente, bensì coabitata da entrambi), oltre che la decisiva deposizione dell’imputato stesso (il quale, nullatenente, ha ammesso di avere acquistato orologi utilizzando anche le somme distratte) e di persone informate dei fatti e coinvolte nell’acquisto o verifica degli orologi poi confiscati. Ritiene, pertanto, il Collegio che la Corte territoriale abbia sufficientemente motivato il profilo dell’illecita provenienza delle somme utilizzate per l’acquisto degli orologi di valore in sequestro e della riferibilità degli stessi all’imputato.
Per le ragioni fin qui esposte, il Collegio rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, in data 22/09/2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente