Bilanciamento Circostanze Attenuanti e Recidiva: Quando l’Equivalenza è la Scelta Corretta
Il corretto bilanciamento circostanze attenuanti rispetto alle aggravanti, in particolare la recidiva, è un tema cruciale nel diritto penale che incide direttamente sulla determinazione della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi che guidano questa valutazione, chiarendo i limiti del sindacato di legittimità su decisioni che sono di competenza del giudice di merito. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.
Il Caso in Analisi
Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguardava un individuo condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 75 del d.lgs. n. 159/2011. Al momento della condanna, il giudice aveva riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, ma le aveva considerate equivalenti, e non prevalenti, rispetto alla recidiva qualificata (reiterata, specifica e infraquinquennale) contestata all’imputato.
L’imputato ha proposto ricorso per cassazione lamentando due aspetti principali: in primo luogo, il mancato riconoscimento della scriminante dello stato di necessità; in secondo luogo, l’erronea applicazione della legge penale nel non aver ritenuto le attenuanti prevalenti sulla recidiva, il che avrebbe comportato una pena inferiore.
La Questione Giuridica sul Bilanciamento Circostanze Attenuanti
Il cuore della questione giuridica verteva sulla discrezionalità del giudice di merito nel giudizio di bilanciamento circostanze attenuanti e aggravanti, come disciplinato dall’articolo 69 del codice penale. L’imputato sosteneva che il giudice avesse errato a non far prevalere le attenuanti, ma la Corte di Cassazione era chiamata a decidere se una tale valutazione potesse essere riesaminata in sede di legittimità.
Inoltre, il ricorso sollevava il tema dei limiti del giudizio della Cassazione: può la Suprema Corte entrare nel merito della ricostruzione dei fatti per valutare la sussistenza di una scriminante come lo stato di necessità, se questa è già stata esclusa con motivazione logica dai giudici dei gradi precedenti?
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo motivazioni chiare e nette su entrambi i punti sollevati dalla difesa.
Inammissibilità per Censure di Fatto
In primo luogo, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito. Le censure relative alla ricostruzione storica e oggettiva della vicenda, come quelle volte a dimostrare la sussistenza di uno stato di necessità, sono considerate questioni di fatto. Se il giudice di merito ha fornito una motivazione logica e non contraddittoria per escludere tale scriminante, la Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella già effettuata. Il ricorso, su questo punto, si risolveva in una richiesta di rivalutazione fattuale, non consentita in questa sede.
La Correttezza del Giudizio di Equivalenza
Per quanto riguarda il bilanciamento circostanze attenuanti, la Corte ha ritenuto la decisione del giudice di appello pienamente corretta. La sentenza impugnata aveva riconosciuto le attenuanti generiche, ma, di fronte a una recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, aveva correttamente esercitato il proprio potere discrezionale nel ritenerle equivalenti all’aggravante. La Corte ha sottolineato che il richiamo all’articolo 69 del codice penale era stato pertinente e che la scelta dell’equivalenza, anziché della prevalenza, era frutto di una valutazione di merito ben motivata e, come tale, insindacabile in sede di legittimità.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: la valutazione comparativa tra circostanze eterogenee è un compito esclusivo del giudice di merito, il cui esito non è censurabile in Cassazione se supportato da una motivazione coerente e priva di vizi logici. La decisione di bilanciare le circostanze attenuanti come equivalenti alla recidiva, specialmente quando questa è particolarmente grave, rientra pienamente nella discrezionalità del giudice. Questa pronuncia serve da monito: il ricorso per cassazione deve concentrarsi su vizi di legittimità (violazioni di legge o difetti di motivazione evidenti) e non può essere utilizzato come un’ulteriore istanza per tentare di ottenere una riconsiderazione più favorevole dei fatti di causa.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti di un processo?
No. La sentenza chiarisce che il ricorso in Cassazione è inammissibile se si fonda esclusivamente su censure che richiedono una rivalutazione degli elementi fattuali. La Corte si occupa solo di questioni di diritto e di vizi logici della motivazione, non di riesaminare come si sono svolti i fatti.
Se vengono riconosciute le attenuanti generiche, queste prevalgono sempre sulla recidiva?
No, non sempre. La decisione spetta al giudice di merito attraverso il “bilanciamento delle circostanze”. Come confermato in questa ordinanza, in presenza di una recidiva grave (reiterata, specifica e commessa entro cinque anni), il giudice può legittimamente ritenere le circostanze attenuanti generiche equivalenti, e non prevalenti, all’aggravante.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20675 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20675 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CATANZARO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/10/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la decisione con la quale il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della stessa città aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di cui all’art. 75 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 e, per l’effetto, lo avev condannato – previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, computate con il criterio dell’equivalenza, rispetto alla contestata recidiva, nonché applicata la diminuente del rito – alla pena di anni uno di reclusione.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, per il tramite del difensore AVV_NOTAIO, lamentando inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, oltre che mancanza e manifesta illogicità della motivazione, quanto al mancato riconoscimento della scriminante ex art. 54 cod. pen. e dolendosi, altresì, del mancato computo delle riconosciute circostanze attenuanti generiche con il criterio della prevalenza, piuttosto che della equivalenza, rispetto alla ritenuta recidiva qualificata.
Il ricorso è inammissibile, in quanto fondato su censure non consentite, dato che esso invoca esclusivamente una rivalutazione inerente a elementi fattuali, precipuamente attinenti alla ricostruzione storica e oggettiva della vicenda, lamentando anche una inesistente contraddittorietà e illogicità dell’apparato argomentativo della decisione impugnata.
La sentenza impugnata, inoltre, ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche ma, avendo ritenuto sussistente la contestata recidiva reiterata specifica e infraquinquennale, le ha correttamente computate secondo il criterio della equivalenza, richiamando il disposto dell’art. 69 cod. pen.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2024.