Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22083 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22083 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI NOME nato a VITTORIA il 07/10/1968
avverso la sentenza del 10/7/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 10/7/2024, la Corte d’appello di Catania, confermò la sentenza del Tribunale di Ragusa in data 9/2/2022 che aveva ritenuto NOME Angelo Francesco responsabile del reato di cui all’art. 176 d.lgs. n. 42/2004 per essersi impossessato di beni culturali appartenenti allo Stato ritrovati nel sottosuolo e l’aveva condannato, riconosciute le attenuanti generiche, alla pena di mesi quattro di reclusione ed € 200,00 di multa, con pena sospesa.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, che, con il primo motivo, ha denunciato la violazione
dell’art. 157 cod. pen. deducendo che i fatti risalivano al 1/4/2016 per cui, anche considerati i periodi di sospensione intervenuti, pari a mesi 11 e giorni 23, il reato era ormai prescritto.
2.1 Con il secondo motivo, si denuncia la violazione “dell’art. 530 comma 1 c.p.c. in relazione all’art. 176 d.lgs. n. 42/2004”. Si deduce che la condotta criminosa ascritta all’imputato non poteva ritenersi provata essendo stata unicamente desunta dal possesso delle monete e degli altri oggetti indicati in imputazione e del metal detector non essendo rimasto provato che i beni archeologici sequestrati fossero stati effettivamente ritrovati dall’imputato, “tenuto conto anche che molti di essi erano addirittura falsi e/o di nessun valore storico-artistico-numismatico, in relazione ai quali si avanza specifica richiesta di dissequestro”.
2.2 Con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 133 cod. pen. Si lamenta che la sentenza non esprime un “concreto giudizio in ordine alla gravità del danno” e non tiene conto dell’incensuratezza dell’imputato così pervenendo a una pena sproporzionata “rispetto a quanto rilevato dall’esame delle dinamiche ed alla luce degli istituti del diritto penale non apprezzate dal giudicante”.
2.3 Con ultimo motivo, si denuncia il vizio di motivazione, in tutte le sue declinazioni, deducendo, sembra di capire, che la Corte territoriale aveva “riprodotto” la decisione appellata senza dare conto degli specifici motivi d’impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto generico e manifestamente infondato.
Ponendo in ordine logico le censure proposte, il quarto motivo di impugnazione denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il vizio d contraddittorietà, manifesta illogicità e carenza della motivazione.
Va, però, osservato che il vizio di motivazione deve essere dedotto in modo specifico in riferimento alla sua natura (contraddittorietà o manifesta illogicità carenza), non essendo possibile dedurlo in forma alternativa o cumulativa; infatti non può rientrare fra i compiti del giudice della legittimità la selezione del possibil vizio genericamente denunciato, pena la violazione dell’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.
Si lamenta, ancora, che la Corte territoriale non avrebbe risposto “alle doglianze puntualmente disposte nell’atto di appello”, di cui non viene neppure riprodotto sinteticamente il contenuto. Tale censura preclude a questa Corte la possibilità di esercitare il sindacato cui viene sollecitata soltanto in astratto, non essendo individuabili a monte le questioni che si assumono irrisolte: il requisito dell specificità dei motivi cui è condizionata l’ammissibilità del ricorso per cassazione,
comporta non solo l’onere di dedurre le censure che la difesa intende muovere su punti circoscritti della decisione, ma altresì quando si lamenti l’omessa valutazione, da parte del giudice di appello, delle censure svolte con il relativo atto di gravame, di indicare quali siano le specifiche questioni pretermesse dovendo l’atto di ricorso essere autosufficiente, e cioè contenere la precisa prospettazione delle questioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre alla verifi curandone l’integrale trascrizione o quanto meno riproducendone in modo sommario il contenuto (Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018 (dep. 2019 ), C., Rv. 275853 – 02); Sez. 2, n. 13951 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 259704 – 01; Sez. 2, n. 9029 del 05/11/2013 (dep. 2014), COGNOME, Rv. 258962).
2. Generici risultano anche gli ulteriori motivi d’impugnazione.
È necessario ribadire, denunciando il secondo motivo la violazione dell’art. 176 d.lgs. n. 42/2004, che, ai fini della corretta deduzione del vizio di violazione d legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., il motivo di ricorso dev strutturarsi sulla contestazione della riconducibilità del fatto – come ricostruito da giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cos invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, sostenere che le emergenze istruttorie acquisite siano idonee o meno a consentire la ricostruzione della condotta di cui si discute in termini tali da ricondurla al paradigma legale. Nel primo caso, infatti, viene effettivamente in rilievo un profilo di violazione di legg laddove si deduce l’erroneità dell’opera di “sussunzione” del fatto rispetto alla fattispecie astratta; nel secondo caso, invece, la censura si risolve nella contestazione della possibilità di enucleare, dalle prove acquisite, una condotta corrispondente alla fattispecie tipica che è, invece, operazione prettamente riservata al giudice di merito ( Sez. 2, n. 25825 del 28/2/2024, Bello).
Tralasciando gli errori definitori cui incorre il ricorrente in ordine ai denunciati, va osservato che i provvedimenti resi nelle fasi di merito integrano una tipica ipotesi di c.d. «doppia conforme» sicché, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, saldandosi quello di appello, nella sua struttura argomentativa, a quello di primo grado, sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultimo sia adottando gli stessi criteri nella valutazione delle prove, l sentenze possono essere lette congiuntamente, in vista del controllo di legittimità, costituendo un unico corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615; Sez. 3, n. 10163 del 01/02/2002, COGNOME, Rv. 221116).
Il ragionamento probatorio fondante la condanna ha, quali premesse, il rinvenimento del metal detector, le incrostazioni di terra dei reperti, il fatto c
tali incrostazioni erano costitute da argilla grigio verde “esistente nella zona iblea ragusana” e l’assenza di una spiegazione alternativa da parte della difesa.
Con tale motivazione, priva di salti logici e incongruenza manifeste, il secondo motivo del ricorso non si confronta limitandosi a denunciare il mancato rispetto delle condizioni epistemologiche che regolano i processi inferenziali che permettono di ricavare da un insieme di dati probatori una determinata conclusione senza, tuttavia, spiegarne le ragioni, così risolvendosi le censure nel mero dissenso rispetto all’approdo valutativo operato dalla Corte d’appello e dal primo giudice, operazione non consentita in questa sede, con conseguente giudizio di inammissibilità del motivo.
Venendo al trattamento sanzionatorio, dai giudici di merito determinato muovendo da una pena molto più prossima al minimo edittale rispetto al medio e riconoscendo e attenuanti generiche nella loro massima estensione, la dosimetria trova giustificazione, nelle sentenze, nella “considerevole quantità di monete rinvenute”.
Del tutto infondata è, quindi, la denunciata violazione dell’articolo 133 cod. pen., che non tiene conto né della motivazione che sorregge la dosimetria contestata né del costante orientamento di questa Corte secondo il quale poiché la graduazione del trattamento sanzionatorio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., nel giudizio di cassazione è comunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.). Non è, infine, superfluo ricordare che «una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata è necessaria soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale» (così Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869-01, in motivazione).
Relativamente alla eccepita prescrizione, il relativo termine scadeva il 25/9/2024, considerato che era rimasto sospeso per mesi 11 e giorni 23, per cui dopo la data di emissione della sentenza di appello; l’eccezione è pertanto infondata, posto che l’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizion
intervenuta nelle more del procedimento di legittimità. (vedi Sez. 2, Sentenza n.
28848 del 08/05/2013, Rv. 256463). Del tutto irrilevante è, inoltre, il decorso del termine di prescrizione nelle more tra la lettura del dispositivo e il deposito della
motivazione: si è, infatti, rilevato che la pubblicazione della sentenza garantisce l’immediatezza della deliberazione stabilita dall’art. 525 cod. proc. pen., conclude
la fase della deliberazione in camera di consiglio e consacra, attraverso il dispositivo redatto e sottoscritto dal presidente, la decisione definitiva non più
modificabile in relazione alla pretesa punitiva, e si è, per l’effetto, rimarcato che ai fini del computo della eventuale prescrizione, deve essere preso in
considerazione il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna, anche nel caso in cui non sia data contestuale lettura della motivazione, e non
quello successivo del deposito della sentenza stessa (Sez. 3, n.12823 del
20/10/1980, dep. 03/12/1980, COGNOME Rv. 146949; Sez. 5, n. 46231 del
04/11/2003, dep. 02/12/2003, COGNOME, Rv. 227575; Sez. 3, n. 18046 del
09/02/2011, dep. 10/05/2011, COGNOME, Rv. 250328).
5. Alla manifesta infondatezza del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende
Così deciso il 15/5/2025