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Beni culturali numismatici: la confisca è legittima?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un collezionista contro la confisca di monete antiche. La Corte ha ribadito che i beni archeologici, come le monete rinvenute nel sottosuolo italiano, appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato per presunzione. Spetta al possessore dimostrare l’acquisto legittimo e anteriore alla legge del 1909, non essendo sufficiente la mera qualifica di collezionista o fatture generiche per superare tale presunzione.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Beni Culturali Numismatici: Quando le Monete Appartengono allo Stato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32166/2025, offre un importante chiarimento sulla proprietà dei beni culturali numismatici, stabilendo principi rigorosi per collezionisti e possessori di monete antiche. La decisione conferma che le monete di interesse archeologico rinvenute nel sottosuolo italiano si presumono di proprietà dello Stato, e spetta al privato fornire la prova contraria di un acquisto legittimo.

I Fatti del Caso

Il caso nasce dal ricorso di un collezionista avverso un’ordinanza del Tribunale di Torino. Quest’ultimo, in fase di esecuzione, aveva disposto il dissequestro e la restituzione solo delle monete “estere”, confermando invece la confisca di quelle appartenenti all’area di circolazione italiana.

Il ricorrente contestava la decisione, sostenendo principalmente due punti:
1. Le monete non potevano essere considerate beni culturali appartenenti allo Stato in assenza di una specifica dichiarazione di interesse culturale da parte dell’Amministrazione.
2. La motivazione del provvedimento era illogica, poiché non era stata fornita alcuna prova né sul sito archeologico di provenienza delle monete, né sul fatto che fossero state estratte da un sottosuolo italiano.

Il collezionista affermava di aver acquistato legittimamente le monete e di poterlo provare con delle fatture, sostenendo che ciò fosse sufficiente a dimostrarne il legittimo possesso.

La Disciplina dei Beni Culturali Numismatici

La Corte Suprema ha respinto il ricorso, giudicandolo manifestamente infondato. I giudici hanno chiarito che esistono due distinte categorie di beni numismatici considerati beni culturali, il cui impossessamento illegittimo è sanzionato penalmente:

Monete di Interesse Archeologico

Sono le monete che, presentando un interesse artistico, storico o archeologico, vengono ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini. Questi beni, ai sensi dell’art. 91 del D.Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato per il solo fatto del loro ritrovamento. Per questa categoria, non è necessaria alcuna dichiarazione formale di interesse culturale.

Monete di Rara Pregio

Sono le monete che, indipendentemente dalla loro provenienza, possiedono un carattere di rarità o di pregio. Per queste, affinché rientrino nella tutela statale, è generalmente richiesta una valutazione e una dichiarazione di interesse culturale.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha basato la sua decisione su una presunzione di proprietà statale per i reperti archeologici. Il valore archeologico delle monete confiscate, riconducibili al sottosuolo per via delle incrostazioni terrose riscontrate, ne determina l’appartenenza automatica al patrimonio indisponibile dello Stato.

Di conseguenza, il possesso di tali beni si presume illegittimo. L’onere di vincere questa presunzione ricade sul detentore, il quale deve dimostrare in modo inequivocabile di averli acquisiti legittimamente. Secondo la giurisprudenza consolidata, la prova può consistere nel dimostrare:
– Di averli acquistati in un’epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 364 del 1909.
– Di averli ricevuti in premio per il ritrovamento dallo Stato.
– Di averli ricevuti dallo Stato a qualsiasi altro titolo.

Nel caso specifico, il ricorrente, pur qualificandosi come collezionista numismatico e avendo prodotto fatture d’acquisto, non ha fornito una documentazione idonea a comprovare l’acquisizione tramite canali commerciali regolari e conformi alla normativa vigente (ad esempio, tramite commercianti dotati di appositi registri di carico e scarico). Pertanto, la sua prova è stata ritenuta insufficiente a superare la presunzione di proprietà statale.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale nella tutela del patrimonio culturale italiano: chiunque rinvenga un bene archeologico ha l’obbligo di denunciarlo e consegnarlo allo Stato. La presunzione di appartenenza allo Stato dei reperti trovati nel sottosuolo è molto forte e non può essere superata da prove generiche. Per i collezionisti, ciò significa che è essenziale mantenere una documentazione impeccabile e dettagliata che attesti la provenienza lecita di ogni singolo pezzo della propria collezione, specialmente se di origine antica. In assenza di una prova rigorosa, il rischio di vedersi contestare il possesso e subire una confisca è estremamente concreto.

Quando una moneta antica è considerata di proprietà dello Stato?
Secondo la sentenza, le monete di interesse archeologico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini italiani, appartengono allo Stato. Questa appartenenza è presunta e non richiede una specifica dichiarazione di interesse culturale.

Cosa deve dimostrare un collezionista per provare il legittimo possesso di monete antiche?
Il collezionista deve fornire la prova di aver acquisito le monete in modo legittimo, ad esempio dimostrando che l’acquisto è avvenuto prima dell’entrata in vigore della legge del 1909, o di averle ricevute dallo Stato come premio o a seguito di una cessione. Le semplici fatture di acquisto possono non essere sufficienti se non provengono da canali commerciali regolamentati.

La mancanza di prova sul luogo esatto del ritrovamento impedisce la confisca?
No. La Corte ha chiarito che non è necessario provare il sito archeologico esatto da cui provengono i reperti. È sufficiente che le caratteristiche delle monete (come le incrostazioni terrose) e la loro riconducibilità all’area di circolazione antica italiana ne suggeriscano la provenienza dal sottosuolo, facendo così scattare la presunzione di proprietà statale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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