Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 17537 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 17537 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
Sul ricorso presentato da NOMECOGNOME nato a Bologna il 14/01/1970, avverso l’ordinanza del GIP di Bologna del 16/10/2024 (dep. 21/10/2024),
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Cons. NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Dr. NOME COGNOME che ha concluso l’inammissibilità del ricorso.
PREMESSO IN FATTO
Con ordinanza depositata il 21/10/2024, il Giudice delle indagini preliminari del Tribun di Bologna rigettava l’istanza di dissequestro di 198 documenti indicati nel verbale di seques come beni culturali, tali da configurare corpo del reato di cui all’articolo 518-quater cod. pen..
Avverso tale ordinanza il COGNOME propone ricorso.
2.1. Con il primo motivo deduce mancanza di motivazione: in primo luogo, si deduceva che nessuna prova è stata fornita in ordine alle caratteristiche che avrebbero fatto qualificar documenti come «beni culturali». Nulla dice in merito il consulente.
Si tratta invero di oggetti che rientrano nel demanio accidentale e che ben possono essere di proprietà privata e quindi liberamente commerciabili, salvo che facciano parte di arch completi costituenti un unicum, il che non è.
Inoltre, si era evidenziato come tali documenti anche intrinsecamente erano privi del qualifica di beni culturali. Ed infatti, come si evince dal parere della Croce Rossa del 1 allegato al ricorso, era possibile, già dal 1917, di cedere ad enti benefici e a privati m inutili e privi di interesse, quali senza dubbio quelli oggetto di sequestro.
Per la Corce Rossa, in particolare, il d.l. 2034 del 10/08/1928, all’art. 16 preved possibilità che tali carte vengano cedutesenza corrispettivo alla Croce Rossa.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge, laddove il provvedimento impugnato pone in capo all’indagato l’onere di provare la provenienza dei documenti da procedure di scarto.
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge laddove il GIP, a sostegno della natu pubblica dei documenti, sottolinea che vi fossero istanze di rivendicazione o addirittura denunc
Queste ultime sono infatti tutte successive al sequestro né alcuna azione di rivendicazion è stata intentata.
2.4. Con il quarto motivo lamenta violazione di legge laddove il GIP sottolinea che il Gianf non ha presentato la richiesta ex art. 63 d. Igs. 42/2004, cosa che non era tenuto a fare in quanto i documenti non sono beni culturali.
2.5. Con il quinto motivo lamenta vizio di motivazione laddove trascura l’aspetto relat alle circolari della Croce Rossa, la quale fa esplicito riferimento al d.l. 2034/1928.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo, il secondo e il quinto motivo, che possono essere trattati congiuntamente, so inammissibili.
In primo luogo, il ricorrente non si confronta con il provvedimento impugnato, laddove evidenzia che il Tribunale di Ravenna ha specificato che il primo documento inserito dal COGNOME sul sito di annunci commerciali denominato “ebay” appartiene all’archivio di detto Tribunale e segnatamente ad una serie di fascicoli penali del Pretore di Faenza del 1926.
Analoga provenienza archivistica veniva ravvisata in 64 documenti inseriti dal Gianfale s “ebay”, mentre tre segnalazioni provenivano dalla Soprintendenza archivistica della Sicilia.
Elementi, tutti questi, che comprovano, almeno per tali documenti, l’appartenenza ad una serie archivistica completa e con cui il ricorrente omette di confrontarsi.
In secondo luogo, il motivo appare reiterare in modo pedissequo analoga doglianza formulata in sede di opposizione ex art. 263, comma 5, cod. proc. pen. (v. pag. 2 provvedimento impugnato).
Il provvedimento impugnato sul punto precisa che dalla consulenza della D.ssa COGNOME i cui contenuti evidentemente condivide e fa propri alla luce dei frequenti rinvii, emerge come quasi totalità dei documenti avesse natura pubblica e che il ricorrente non avesse in alcun mod documentato la loro provenienza da procedure di scarto, non emergendo in alcun modo che la Soprintendenza avesse autorizzato scarti di documenti del XIX secolo e che due circolari dell P.C.M. (del 1958 e del 1967) avevano escluso la possibilità di escludere dagli scarti documentazione risalente al periodo bellico.
Tale motivazione, certamente non apparente, non appare viziata da illogicità e quindi colloc il provvedimento al di fuori dei motivi consentiti in sede di scrutinio di legittimità provvedimenti cautelari reali.
Né il provvedimento impugnato appare viziato da violazione di legge.
Ed infatti, l’articolo 16 del d.l. 10 agosto 1928, n. 2034, prescrive che (il corsiv Collegio) «per la durata di anni cinque dalla data di scadenza della legge 31 marzo 1921, n. 378 e cioè sino al 30 giugno 1931 tutte le carte e stampati delle amministrazioni dello stato, d stabilimenti ed enti dipendenti dallo stato, delle provincie, dei comuni, delle istituzioni pu di beneficienza e di tutti gli enti posti sotto il controllo e la vigilanza dello stato, dei quali carte e stampati sia stata legalmente riconosciuta inutile l’ulteriore conservazione, sia agli effetti amministrativi, sia per scopo di studio, nonché la cosidetta carta da cestino, dovranno esse ceduti senza corrispettivo alla Croce Rossa Italiana».
E’ quindi del tutto evidente che, affinché i documenti possano essere esclusi dalla discipl dei beni culturali, deve essere fornita la prova del riconoscimento, da parte dell’amministrazi di provenienza del documento, della «inutilità della ulteriore conservazione», che costituisce u clausola speciale di esclusione della illiceità, la cui la cui deduzione e allegazione non pu gravare sulla parte che vi ha interesse, ossia l’imputato, in applicazione del princip «vicinanza della prova», secondo cui l’imputato può acquisire o quanto meno fornire, tramit allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (Sez. 2, n. 38 19/11/2019, dep. 2020, Pomilio, Rv. 278679 – 03; Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373 – 01).
I motivi sono quindi inammissibili laddove censurano la motivazione e manifestamente infondati quanto alla violazione di legge dedotta.
La terza doglianza, secondo cui non sarebbe stata attivata alcuna azione di rivendicazione è manifestamente infondata, in quanto il provvedimento chiarisce che (pag. 3) per 111 documenti era stata avanzata richiesta di restituzione, mentre per altri 17 era stata formaliz la volontà di procedere a denuncia. La doglianza, che si appunta sulla esistenza o meno di una formale azione rivendicatoria, non si confronta con il tenore del provvedimento ed è quin generica e inammissibile.
4. La quarta doglianza deve essere esaminata alla luce della soluzione fornita alle prime due.
Essa è manifestamente infondata, in quanto si basa, come esplicitamente affermato dallo stesso ricorrente, sulla asserita esclusione della natura di beni culturali dei documen
sequestro, il che non è.
5. Coglie, inoltre, nel segno l’ordinanza laddove, a pag. 4, evidenzia che, anche qualora
NOME dovesse dimostrare la sua buona fede ed essere prosciolto, i documenti non potrebbero allo stesso essere restituiti ai sensi dell’articolo 324, comma 7, cod. proc. pen., posta l
natura di beni culturali e quindi inalienabili (con conseguente nullità degli eventuali atti di ex art. 164 d. Igs. 42/2004).
Il ricorso è quindi anche inammissibile per carenza di interesse.
6. Il ricorso, in conclusione, non può che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’o delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della
Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 6 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 20/03/2025.