Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 31809 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 31809 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/06/2024
SENTENZA
Sul ricorso presentato da COGNOME COGNOME NOME, nata a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di RAGIONE_SOCIALE del 12/03/2024.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. NOME
NOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12/03/2024, il Tribunale del riesame di RAGIONE_SOCIALE rigettava la richiesta di riesame proposto nell’interesse di NOME COGNOME NOME, avverso il provvedimento con cui il pubblico ministero aveva convalidato il sequestro probatorio, eseguito in data 24/10/2023, dai RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto una scultura raffigurante una «testa di NOME NOME» del XVI secolo d.C..
Nel provvedimento, il Tribunale del riesame dava atto RAGIONE_SOCIALE circostanza che la COGNOME aveva proposto riesame con motivi riservati, che tuttavia non venivano esplicitati neppure in udienza.
Avverso tale provvedimento ricorre la COGNOME COGNOME deducendo – quanto al fumus commissi delicti violazione di legge e segnatamente dell’articolo 169, lettera b), d. Igs. n. 42/2004, 712 cod. pen., 25 Cost., 1, 2 e 157 cod. pen..
Censura altresì manifesta illogicità RAGIONE_SOCIALE motivazione tale da configurare l’errata applicazion di norme di diritto.
Contesta l’affermazione secondo cui l’attuale formulazione dell’articolo 169 d. Igs. 42/2004 riprodurrebbe fattispecie già esistenti nelle leggi precedenti, di cui il decreto costituisce una di Testo Unico. La questione è concreta in quanto la scultura in argomento fu oggetto di dispersione negli anni ’20 del XX secolo.
Ed infatti, la prima legge in materia fu l’articolo 12 RAGIONE_SOCIALE I. 364/1909, che imponeva tra altre cose un divieto di rimozione delle opere d’arte, ma solo quando fossero di proprietà RAGIONE_SOCIALE, mentre per i privati, solo ove l’opera d’arte fosse stato oggetto di notifica (circost non sussistente nel caso di specie) se ne imponeva il divieto di alienazione o la dismissione del possesso senza previa denuncia al RAGIONE_SOCIALE.
Solo con la c.d. “legge Bottai” (1089/1939) si chiese, anche per le opere appartenenti a privati, l’obbligo di autorizzazione anche per il semplice distacco.
Ma tale legge è entrata in vigore circa venti anni dopo la sparizione RAGIONE_SOCIALE testa di NOME, già incastonata nel Ninfeo di Fattucchia.
Pertanto, l’affermazione secondo cui l’articolo 169 RAGIONE_SOCIALE legge Rosadi riproduce disposizioni previgenti è errata e viola la legge.
Né può ritenersi reato la mancata riapposizione nel luogo di originaria collocazione dopo che la statua pervenne per via ereditaria nella disponibilità RAGIONE_SOCIALE ricorrente, posto che la condo descritta dall’articolo 169 è necessariamente “attiva”, e mai omissiva.
Neppure è ipotizzabile, sotto il profilo del fumus, il reato di cui all’articolo 712 cod. pen., difettando gli elementi oggettivi sintomatici di una provenienza illecita dell’opera de qua al momento RAGIONE_SOCIALE sua apprensione per via ereditaria.
In data 30 maggio 2024, l’AVV_NOTAIO del Foro di RAGIONE_SOCIALE, per la ricorrente, faceva pervenire memoria difensiva, in cui contestava le conclusioni del Procuratore generale.
Evidenziava che, diversamente da quanto opinato dal P.G., la testa di NOME non è un bene archeologico e ribadisce che, sebbene il P.G. proponga una diversa qualificazione giuridica dei fatti contestati, occorre anteriorizzare il dettato normativo alla luce dal fatto fatti «indiscussi» di cui trattasi risalgono agli anni ’20, ossia prima RAGIONE_SOCIALE I. 1089/1939.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Preliminarmente il Collegio evidenzia che, nel caso in esame, l’odierna ricorrente non aveva specificato i motivi di riesame.
Tale mancanza di «specificità» dei motivi incide sulla intensità dell’obbligo di motivazione che, in caso di conferma del provvedimento impugnato, potrà essere attenuato e risolversi in una valutazione degli elementi indiziari non condizionata dalla necessità di rispondere alle specifiche argomentazioni RAGIONE_SOCIALE difesa (Sez. 2, n. 27865 del 14/05/2019, Sepe, Rv. 277016).
Più specificamente si è precisato che, in tema di impugnazione delle misure cautelari reali, il cd. «effetto devolutivo» del riesame deve essere inteso nel senso che il tribunale è tenuto valutare, indipendentemente dalla prospettazione del ricorrente, ogni aspetto relativo ai presupposti del sequestro (fumus commissi delicti e periculum in mora), ma non anche a procedere all’analisi di aspetti ulteriori, quali, ad esempio, elementi fattuali – non espressame dedotti – da cui possa desumersi un diverso inquadramento giuridico RAGIONE_SOCIALE fattispecie di reato contestata (Sez. 3, n. 37608 del 09/06/2021, Rv. 282023 – 01 Sez. 3, n. 35083 del 14/04/2016, Rv. 267508).
Tale premessa, calata nel contesto concreto, consente sia da ora di affermare che la motivazione resa dal Tribunale del riesame non presenta vizi di sorta.
Il Collegio sottolinea come a pagina 2 dell’ordinanza impugnata si precisi che non si procede nei confronti RAGIONE_SOCIALE odierna ricorrente nella qualifica soggettiva di indagata, in quanto sequestro è stato eseguito nei confronti di «ignoti», richiamandosi a tal proposito quell giurisprudenza secondo cui ai fini del sequestro è necessaria la sussistenza di elementi che rendano ipotizzabile il reato per cui si procede, non essendo tuttavia richiesto che gli ste riguardino un soggetto individuato, potendo, infatti, il vincolo essere disposto anche nei confron di ignoti (Sez. 3, n. 35312 del 08/06/2011, COGNOME, Rv. 250859 – 01), e secondo cui occorre un collegamento tra il reato e la res sequestrata, e non già tra il reato e la persona, non essendo indispensabile l’individuazione del responsabile del reato (Sez. 2, n. 19105 del 28/04/2011, COGNOME, Rv. 250194 – 01).
Tale affermazione appare conforme all’indirizzo di questa Corte, di recente ribadito (Sez. 4, n. 12470 del 12/03/2024, Roggio, n.m.), secondo cui il sequestro probatorio è un «mezzo di ricerca RAGIONE_SOCIALE prova» e può essere eseguito quando sussiste il fumus RAGIONE_SOCIALE commissione di un reato inteso nella sua accezione materiale senza che sia necessaria la sussistenza di gravi indizi RAGIONE_SOCIALE responsabilità dell’indagato.
Esso può dirsi quindi ritualmente disposto, purché sia ragionevolmente presumibile o probabile (anche sulla base di argomenti di carattere logico), la commissione di un reato (Sez.
3, n.6465 del 14/12/2007, dep.2008, Penco, Rv. 239159; Sez. 2, n. 84 del 16/01/1997, COGNOME, Rv. 203468).
A cascata, in sede di riesame il Tribunale è chiamato a verificare la sussistenza dell’astratta configurabilità del reato ipotizzato, non già nella prospettiva di un giudizio di merito fondatezza dell’accusa, bensì con riferimento alla idoneità degli elementi su cui si fonda la notiz di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulte del fatto (Sez. 3, n. 3465 del 03/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278542; Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016, COGNOME, Rv. 267007).
In altri termini: per ritenere la legittimità di un sequestro probatorio è sufficie sussistenza del fumus del reato unita alla possibilità che le cose oggetto del vincolo siano state utilizzate per commetterlo o ne costituiscano il prodotto, il profitto o il prezzo.
Qualora tale fumus emerga dalle indagini svolte, il sequestro è legittimo perché volto a stabilire (in sé stesso o per le indagini che l’apprensione del bene rende possibile) se collegamento pertinenziale tra la res e l’illecito, oltre che possibile, sia concretamente esistente (Sez. 6, n. 1683 del 27j11/2013, dep.2014, COGNOME, Rv. 258416; Sez. 2, n. 31950 del 03/07/2013, COGNOME, Rv. 255556; Sez. 3, n.13641 del 12/02/2002, COGNOME, Rv. 221275).
Muovendo da queste premesse si è affermato che «la motivazione dell’ordinanza confermativa del decreto di sequestro probatorio è meramente apparente solo quando le argomentazioni in ordine al fumus del carattere di pertinenza ovvero di corpo del reato dei beni sottoposti a vincolo non risultano ancorate alle peculiarità del caso concreto» (Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Giovannini, Rv. 260314).
Applicando questi principi a caso in esame il Collegio evidenzia come l’ordinanza impugnata faccia buon governo dei principi sopra esposti.
A pagina 2, infatti, sottolinea come il fumus RAGIONE_SOCIALE sussistenza del reato di cui all’articolo 169 d. Igs, 42/2004, anche se commesso da altri, deriva dalla comunicazione di notizia di reato del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, dall’annotazione di p.g. del 19/12/2023, dalla relazion storico-artistica RAGIONE_SOCIALE AVV_NOTAIO, nonché dalle annotazioni di p.g. del 24/01/2024 19/02/2024, i cui contenuti la ricorrente (che in sede di riesame non ha dedotto motivi) non contesta.
Si evidenzia che, dagli atti di indagine surrichiamati emerge che la scultura, sequestrata presso la RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, costituiva una parte strutturale ed inamovibile d una delle fontane comprese nel complesso architettonico del «Ninfeo RAGIONE_SOCIALE Fata Morgana», creata dal Maestro COGNOME nel 1572, e che mai era stata rilasciata un’autorizzazione per la rimozione RAGIONE_SOCIALE testa del Ninfeo dalla Sovrintendenza competente, ai sensi dell’art. 169 d. Igs. n. 42 del 2004.
Si trattava di un’opera dispersa forse negli anni ’20 del secolo scorso, che, a seguito RAGIONE_SOCIALE restituzione alla famiglia COGNOME, non era stata ricollocata dai proprietari dell’epoca nel lu di origine, bensì all’interno RAGIONE_SOCIALE loro residenza.
Nel 1996, l’intero complesso era stato ceduto al RAGIONE_SOCIALE Bagno a Ripoli e, nel D.M. del 1997 il bene in oggetto era stato indicato come scomparso, contrariamente al vero, probabilmente al fine di evitare l’apposizione del vincolo che avrebbe reso illegittima la s cessione, anche se pervenuto in eredità.
4. Il Tribunale del riesame correttamente argomenta la sussistenza – nei limiti anzidetti del fumus commissi delicti.
La giurisprudenza di questa Corte – che il Collegio ribadisce – è fermamente orientata (v., da ultimo, Sez. 3, n. 9101 del 24/01/2023, Ongaro, n.m.) a ritenere che sui beni culturali vig una presunzione di proprietà RAGIONE_SOCIALE con la conseguenza che essi, sulla base di una oramai ultrasecolare tradizione normativa, appartengono allo Stato italiano in virtù RAGIONE_SOCIALE legge (legge 364 del 1909; r.d. n. 363 del 1913; legge n. 1089 del 1939; articoli 826, comma 2, 828 e 832 del codice civile), la cui disciplina è rimasta sostanzialmente invariata anche a seguito del introduzione del decreto legislativo n. 42 del 2004. Sono fatte salve ipotesi tassative e particola nelle quali il privato che intenda rivendicare la legittima proprietà di reperti archeolog comunque di beni qualificabili come culturali deve fornire la relativa, rigorosa prov dimostrando, alternativamente che: 1) reperti gli siano stati assegnati in premio per il lo ritrovamento; 2) i reperti gli siano stati ceduti dallo Stato; 3) i reperti siano stati acqu data anteriore all’entrata in vigore RAGIONE_SOCIALE legge n. 364 del 1909.
Le Sezioni civili di questa Corte (Sez. 1, 10 febbraio 2006, n. 2995, in motivazione) hanno affermato che la legislazione di tutela dei beni culturali, in particolare dei beni archeologici il principio vale anche per gli atri beni di interesse storico-artistico), è informata al presup fondamentale, in considerazione dell’importanza che essi rivestono (anche alla luce RAGIONE_SOCIALE tutela costituzionale del patrimonio storico – artistico garantita dall’art. 9 Cost.), dell’appartenen detti beni allo Stato, per cui l’art. 826, comma 2, cod. civ. assegna al patrimonio indisponib dello Stato «le cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistic da chiunque e in qualunque modo ritrovate»: disciplina confermata dalla legge. n. 1089 del 1939, artt. 44, 46, 47 e 49, cui rinvia l’ad 932, comma 2, cod. civ..
Pertanto, tale presunzione di proprietà statale non crea un’ingiustificata posizione d privilegio probatorio perché siffatta presunzione si fonda, oltre che sull’idquodplerumque accidit anche su una «normalità normativa» sicché, opponendosi una circostanza eccezionale, idonea a vincere la presunzione . , deve darsene la prova (così, in motivazione, Sez. 3, n. 42458 del 10/06/2015, Rv. 265046-01 e Rv.265047 – 01).
Trattandosi di beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato, il provvedimento ablativo non incide pertanto sul diritto di proprietà privata (Sez. 3, n. 9101 del 24/01/202 Ongaro, cit.).
In conseguenza di ciò, la relativa confisca – da disporsi ai sensi dell’articolo 240, comma 2 cod. pen. – deve essere obbligatoriamente disposta anche se il privato non è responsabile dell’illecito o comunque non ha riportato condanna, fatta salva la sola eccezione che la cosa appartenga a persona estranea al reato, poiché trattasi di misura recuperatoria di carattere amministrativo la cui applicazione è rimessa al giudice penale a prescindere dall’accertamento di una responsabilità penale.
Quanto alla posizione del terzo estraneo al reato, questa Corte affermato – con un principio che il Collegio condivide e ribadisce – che il soggetto estraneo al reato, in caso collegamento del proprio diritto con l’altrui reato, ha l’onere di provare il proprio affidam incolpevole ingenerato da una situazione di apparenza sulla liceità RAGIONE_SOCIALE provenienza del bene che renda scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza. (Sez.3, n. 11269 del 10/12/2019 dep.02/04/2020, Rv.278764 – 02) e che non può ritenersi estraneo alla commissione del reato non solo colui che, con il suo comportamento, anche solo colposo, abbia dato causa al fatto costituente illecito penale, ma anche colui che abbia tratto consapevole giovamento dalla sua commissione, dovendosi individuare il contenuto di tale giovamento in qualsivoglia condizione di favore, pure non materiale, derivata dal fatto costituente reato (Sez.3, n. 22 del 30/11/2018, dep. 02/01/2019, Rv. 274745 – 04).
La Corte, nella sentenza ultima citata, ha anche precisato che ha tratto consapevole giovamento dal reato anche colui che «si trovi nel possesso del bene culturale, a prescindere dalla destinazione di questo alla produzione di un beneficio materiale in favore del detentore»
Nel caso concreto, il Ninfeo di Fattucchia è bene culturale sottoposto a tutela in forza del D.M. del 28/06/1997.
Tale qualifica si estende anche alle parti del Ninfeo che furono separate – in epoca risalente – dal corpo dell’opera, di cui costituiscono completamento e pertinenza.
Questa Corte ha in proposito reiteratamente affermato – con principio che il Collegio intende ribadire, in quanto consente un’adeguata protezione dell’immobile di interesse culturale considerato nel suo complesso – che integra il reato di cui all’art. 169 cit. (che sanziona condotte già previste dall’articolo 59 RAGIONE_SOCIALE legge 1089/39 e poi dall’articolo 118 del d.lgs.490/9 anche la condotta di chi esegue senza autorizzazione interventi su cose mobili che, costituendo «pertinenze» di un immobile vincolato, connotate da un «collegamento oggettivo e funzionale al bene vincolato» (Sez. 3, n. 45149 del 08/10/2015, COGNOME e altro, Rv. 265445), sì da formare con esso una «unità stilistica» (Sez. 3, n. 6295 del 10/4/1997, COGNOME, Rv. 208692), contribuiscono a salvaguardarne l’interesse storico ed artistico (Sez. 3, n. 31337 del 13/06/2019,
Purpura, n.m.; Sez. 2, n. 7622 del 27/02/1986, COGNOME, Rv. 173415; Sez. 3, n. 11927 del 29/10/1985, Pisano, Rv. 171323).
Quanto al tempus commissi delicti, l’ordinanza precisa che la «scomparsa» RAGIONE_SOCIALE testa RAGIONE_SOCIALE NOME negli anni ’20 del secolo scorso, è una «storia non riscontrata» (pag. 4), ossia non suffragata da alcun elemento di prova. Non sussistono quindi – allo stato – elementi certi per affermare che la scomparsa RAGIONE_SOCIALE scultura sia avvenuta precedentemente alla legge n. 1089 del 10 giugno 1939.
L’unica certezza, prosegue l’ordinanza, è che essa ricomparve decenni dopo (la prima data sicura di descrizione dell’opera è DATA_NASCITA) nelle mani dei vecchi proprietari (che, surrettiziamente ne dichiararono lo smarrimento proprio per evitare di sottoporla al d.m. del 1997) e da questi, per via ereditaria, alla odierna ricorrente.
Ciò premesso, evidenzia il Collegio come, proprio in ragione dell’eminente natura RAGIONE_SOCIALE e culturale del complesso ninfeale, l’odierna ricorrente non può ritenersi legittimata a chiederne l restituzione, avendo la stessa tratto consapevole giovamento dalla commissione del reato di cui all’articolo 169 d. Igs. 42/2004 e dovendosi escludere che la stessa possa ritenersi in buona fede, essendo note in letteratura, come sottolinea l’ordinanza impugnata, le vicende RAGIONE_SOCIALE testa di NOME (pag. 3, secondo cui l’opera è stata ricevuto col sospetto RAGIONE_SOCIALE provenienza illecita, «in quanto conosciuta e RAGIONE_SOCIALEta negli anni in varie riviste di settore»).
Pertanto, se è vero che la condotta prevista dall’articolo 169 d. Igs. 42/2004 può essere solo «commissiva» e non anche «omissiva», per cui il «distacco» di parte dell’opera, pur se vietato almeno dal 1909, non può alla stessa essere attribuito, tale affermazione appare priva di rilevanza ai fini che qui interessano, stante quanto sopra affermato.
Nel caso in esame, in conclusione, non solo la situazione di buona fede RAGIONE_SOCIALE ricorrente va esclusa, ma l’avere affidato il bene ad una casa d’aste – con evidente destinazione alla vendita, fissata per il 26/10/2023 – potrebbe in ipotesi integrare anche taluno dei delitti introdotti da 9 marzo 2022, n. 22.
Alla luce di quanto affermato nei paragrafi che precedono, la prescrizione del reato presupposto da altri commesso, così come del reato di cui all’articolo 712 cod. pen., addebitabile alla ricorrente, costituiscono pertanto dati “neutri”, posta la evidente necessità di recuperare patrimonio artistico pubblico il bene abusivamente distaccato.
Il ricorso è pertanto inammissibile per difetto di legittimazione.
Inoltre, poiché il reato presupposto è stato commesso (ancorché da altri) su bene pubblico e quindi soggetto a confisca obbligatoria, anche in caso di eventuale annullamento del decreto di sequestro la ricorrente non avrebbe comunque titolo ad ottenerne la restituzione, ai sensi dell’articolo 324, comma 7, cod. proc. pen., pacificamente applicabile anche al sequestro
probatorio (Sez. U, n. 40847 del 30/05/2019, Rv. 276690 – 01), circostanza che costituisce ulteriore elemento di inammissibilità del ricorso, stavolta per carenza di interesse.
9. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto RAGIONE_SOCIALE sentenza 13 giugno 2000, n. 186, RAGIONE_SOCIALE Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione RAGIONE_SOCIALE causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento RAGIONE_SOCIALE somma, in favore RAGIONE_SOCIALE Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e RAGIONE_SOCIALE somma di euro tremila in favore RAGIONE_SOCIALE Cassa delle ammende. Così deciso il 07/06/2024.