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Beni culturali: confisca anche con assoluzione

La Corte di Cassazione ha stabilito che la confisca di beni culturali di natura archeologica è obbligatoria anche in caso di assoluzione dell’imputato dal reato di impossessamento illecito. La sentenza ribadisce la presunzione di proprietà statale su tali reperti, a meno che il privato non fornisca prova di un acquisto legittimo anteriore al 1909. La confisca, in questo caso, non ha natura sanzionatoria ma reintegratoria del patrimonio dello Stato.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Beni Culturali: La Confisca Scatta Anche in Caso di Assoluzione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande rilevanza per la tutela del nostro patrimonio: la sorte dei beni culturali di provenienza archeologica trovati in possesso di un privato. La decisione chiarisce un principio fondamentale: la confisca di tali reperti è legittima e obbligatoria anche quando l’imputato viene assolto dall’accusa di impossessamento illecito. Questo perché la confisca non rappresenta una pena, ma il ripristino della proprietà dello Stato su beni che gli appartengono per legge.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da un procedimento penale a carico di un individuo, accusato del reato di impossessamento illecito di beni culturali. In primo e secondo grado, l’imputato era stato assolto con la formula “per non aver commesso il fatto”. Tuttavia, i giudici avevano disposto la confisca dei reperti archeologici sequestrati e la loro destinazione alla Soprintendenza competente. L’imputato, non soddisfatto della decisione, ha presentato ricorso in Cassazione, contestando sia la confisca sia la formula assolutoria, ritenuta meno favorevole rispetto a quella di insussistenza del fatto.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorrente ha basato la sua difesa su tre argomenti principali:

1. Inutilizzabilità della prova: La difesa sosteneva che la perizia sulla natura archeologica dei beni, essendo stata depositata dopo la scadenza dei termini per le indagini preliminari, fosse inutilizzabile. Di conseguenza, veniva meno il presupposto per la confisca.
2. Formula assolutoria errata: Si chiedeva una formula di assoluzione più ampia (“il fatto non sussiste”), che avrebbe comportato, a suo dire, la restituzione automatica dei beni sequestrati.
3. Condanna alle spese: L’imputato contestava la condanna al pagamento delle spese processuali, ritenendola ingiusta a fronte della sua assoluzione.

La Presunzione di Proprietà Statale dei Beni Culturali

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella disciplina della proprietà dei beni culturali. La Corte ha ribadito un principio consolidato, radicato nella legislazione fin dal 1909: qualsiasi bene di interesse archeologico, storico o artistico rinvenuto nel sottosuolo appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato. Questa non è una semplice presunzione, ma una regola generale che inverte l’onere della prova.

Non spetta allo Stato dimostrare la proprietà, ma al privato che detiene il bene provare di averlo acquisito legittimamente. Le uniche eccezioni ammesse sono tassative:

* Dimostrare un acquisto avvenuto prima dell’entrata in vigore della legge del 1909.
* Aver ricevuto il bene in premio per il ritrovamento.
* Averlo acquistato direttamente dallo Stato.

In assenza di tale prova, il bene è considerato di proprietà statale, e il possesso da parte del privato è illegittimo a prescindere dalla sua responsabilità penale.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte Suprema ha rigettato tutti i motivi del ricorso. In primo luogo, ha chiarito che l’eventuale tardività del deposito della consulenza tecnica del pubblico ministero non rende la prova inutilizzabile se il consulente viene poi esaminato in dibattimento, nel pieno contraddittorio tra le parti. È in quella sede che la prova si forma validamente.

Sulla questione centrale, la Corte ha spiegato che la confisca dei beni culturali archeologici, in caso di mancata prova della legittima provenienza, non ha natura sanzionatoria. Non è una punizione per un reato, ma una misura amministrativa con funzione recuperatoria. Il suo scopo è reintegrare lo Stato nel possesso di un bene che è già suo per legge. Per questo motivo, la confisca è obbligatoria anche se l’imputato viene assolto, poiché l’assoluzione non modifica lo status giuridico del bene come parte del patrimonio statale.

Infine, la condanna alle spese è stata ritenuta legittima in quanto il ricorso contro la statuizione civile della confisca è stato respinto.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale per la protezione del patrimonio culturale italiano. Stabilisce chiaramente che chiunque detenga reperti archeologici ha l’onere di provarne la legittima provenienza. In caso contrario, indipendentemente dall’esito di un eventuale processo penale, tali beni devono essere restituiti alla collettività tramite la confisca. Questa decisione rappresenta un forte deterrente contro il possesso illecito di reperti e riafferma il primato dell’interesse pubblico nella conservazione della nostra storia e della nostra arte.

È possibile che i beni culturali vengano confiscati anche se l’imputato viene assolto?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la confisca di beni archeologici è una misura obbligatoria quando il detentore non prova la legittima proprietà anteriore al 1909. Tale confisca non è una sanzione penale, ma una misura per restituire allo Stato un bene che gli appartiene per legge, ed è quindi indipendente dall’accertamento della responsabilità penale dell’imputato.

Una consulenza tecnica depositata dopo la scadenza delle indagini è sempre inutilizzabile?
No. Secondo la sentenza, anche se una relazione di consulenza viene depositata oltre i termini delle indagini preliminari, la prova può formarsi validamente in dibattimento. Se il consulente viene esaminato in aula nel contraddittorio tra accusa e difesa, le sue dichiarazioni e le risultanze della consulenza diventano una prova legittimamente acquisita.

Come può un privato dimostrare la legittima proprietà di un bene culturale di natura archeologica?
Un privato deve fornire la prova rigorosa di aver acquisito il bene in un’epoca antecedente all’entrata in vigore della Legge n. 364 del 1909, che ha stabilito la proprietà statale dei reperti. In alternativa, deve dimostrare di averlo ricevuto in premio per il ritrovamento o di averlo acquistato dallo Stato, secondo le ipotesi tassativamente previste dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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