Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 6232 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 6232  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE NOME, nato a Strangoli il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 20/06/2023 dal Tribunale di Catania lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 20 giugno 2023 il Tribunale di Catania, quale Giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanzata da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere la restituzione dei beni archeologici che gli erano stati sequestrati nel procedimento definito con sentenza irrevocabile pronunciata dallo stesso Tribunale il 9 novembre 2020, all’esito del quale l’istante era stato assolto dal reato ascrittogli, ai sensi dell’art. 648 cod. pen. Tale pronuncia interveniva a seguito dell’ordinanza emessa il 14 giugno 2022 dalla Corte di cassazione, Prima Sezione penale, che aveva qualificato l’originario ricorso per cassazione di COGNOME quale opposizione.
Il rigetto dell’opposizione veniva pronunciato dal Tribunale di Catania sull’assunto che i beni sequestrati erano stato ritenuti di interesse archeologico dalla RAGIONE_SOCIALE, come riferito dal RAGIONE_SOCIALE con nota del 7 aprile 2022.
 Avverso questa ordinanza NOME COGNOME, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti alla ritenuta insussistenza dei presupposti per la restituzione dei reperti archeologici che gli erano stati sequestrati nel procedimento penale presupposto, la cui ricorrenza era stata esclusa nonostante l’intervenuta assoluzione del ricorrente in tale ambito processuale.
Si deduceva, al contempo, che, al contrario di quanto affermato dal Giudice dell’esecuzione, nel caso di specie, non potevano trovare applicazione le norme in materia di confisca obbligatoria, per effetto delle quali era stata respinta l’istanza di restituzione dei beni sequestrati a La RAGIONE_SOCIALE, sebbene l’imputato, con la sentenza pronunciata dal Tribunale di Catania il 9 novembre 2020, fosse stato assolto dal reato di ricettazione di materiale archeologico, ascrittogli ex ar . 648 cod. pen.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
 Osserva il Collegio che per valutare il rigetto dell’istanza proposta da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere la restituzione dei reperti archeologici che gli erano stati sequestrati nel procedimento definito con sentenza irrevocabile pronunciata dal Tribunale di Catania il 9 novembre 2020, occorre compiere una verifica preliminare sulla natura giuridica di tali beni, che assume un rilievo dirimente rispetto all’assoluzione del ricorrente dal reato ascrittogli, ai sens dell’art. 648 cod. pen.
Tale verifica è indispensabile per stabilire, se, a fronte della sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di COGNOME nel giudizio di cognizione presupposto, il Giudice dell’esecuzione doveva restituire i beni sequestrati allo Stato ovvero al ricorrente; verifica che comporta l’individuazione della disciplina applicabile ai reperti archeologici controversi.
In questo contesto, il Tribunale di Catania giustificava il rigetto dell’istanz di restituzione presentata da COGNOME sull’assunto, ineccepibile, che la RAGIONE_SOCIALE aveva affermato che i beni sequestrati erano di interesse archeologico e che il ricorrente non aveva provato che li possedeva fin da epoca anteriore all’entrata in vigore della legge 20 giugno 1909, n. 364, nel quale caso la detenzione degli reperti, nonostante la loro natura, poteva essere ritenuta legittima.
La natura di beni archeologici dei reperti sequestrati, in particolare, veniva collegata dal Giudice dell’esecuzione alla dichiarazione della RAGIONE_SOCIALE, richiamata dal RAGIONE_SOCIALE nella nota del 7 aprile 2022, in cui si evidenziava che gli oggetti in questione, rientrando «tra quelli tutelati da Codice dei RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE », non erano «lecitamente detenibili dal privato ». Basti, in proposito, considerare che, secondo quanto accertato dalla RAGIONE_SOCIALE, i reperti archeologici in questione riguardavano quarantuno monete di epoca bizantina; cinque monete bronzee di epoca preromana; cinque monete argentee di epoca preromana; una moneta d’oro di epoca federiciana; una moneta d’oro di epoca angioina; tre gemme di epoca medievale; trentatré monete di epoca preromana; ventisette monete di epoca romana; un peso di telaio di epoca preromana; due anelli digitali di epoca ellenistica.
Nella descritta cornice, deve rilevarsi che i beni archeologici appartengono allo Stato dovunque si trovino e quali che siano le modalità del loro ritrovamento da parte di soggetti privati.
Ne discende che il soggetto privato che affermi di essere il proprietario di beni archeologici può soltanto eccepire di averli acquisiti prima dell’entrata in
vigore della legge n. 364 del 1909, ovvero, in alternativa, fare valere una delle ipotesi in cui la stessa legge consente che ricadano nella proprietà di un privato, fermo restando l’onere di dimostrare la fondatezza giuridica delle proprie pretese.
Queste conclusioni si impongono alla luce dell’art. 15 legge n. 364 del 1909, che, intervenendo sulla natura giuridica dei reperti archeologici, per la prima volta, ha affermato il principio della proprietà, a titolo originario, dello Stato su cose che presentano un interesse archeologico, precisando che solo nel caso in cui i privati abbiano effettuato l’acquisto dei reperti prima dell’entrata in vigore tale testo normativo possono continuare a goderne.
Si muove, del resto, nella stessa direzione normativa la disposizione dell’art. 10, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, che qualifica come beni culturali le cose mobili e immobili, che, presentando un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, appartengono, a titolo originario, al patrimonio indisponibile dello Stato, in perfetta sintonia con quanto affermato dall’alt 15 legge n. 364 del 1909.
Sul punto, non si può che richiamare la giurisprudenza di legittimità consolidata secondo cui i beni «archeologici, oggetto e meno di ritrovamento, appartengono allo Stato ovunque essi si trovino; pertanto, il privato che affermi di esserne proprietario può soltanto eccepire di averli acquisiti prima della legge 20 giugno 1909, n. 364 ovvero far valere una delle ipotesi in cui la legge statale consente che essi ricadano nella proprietà di un privato, fermo restando l’onere di provare quanto eccepito» (Sez. 3, Sentenza n. 24065 del 26/04/2018, Brancaccio, Rv. 273724 – 01).
Né rileva, in senso contrario, la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE non aveva comunicato formalmente a NOME COGNOME l’interesse statale sui reperti archeologici sequestrati, che non dimostra, ex se, il carattere privato degli oggetti e l’impossibilità di ascriverli al patrimon indisponibile dello Stato. Occorre, in proposito, rilevare che, sotto il profil comunicativo censurato, la natura dei beni controversi impone di ricondurre i reperti alla disciplina prevista dall’art. 13 d.lgs. n. 42 del 2004, che attribuis all’eventuale dichiarazione di interesse archeologico una funzione meramente ricognitiva, che non incide sulla titolarità degli oggetti, che, essendo originaria non può che spettare allo Stato.
Resta, quindi, preclusa, anche in assenza della dichiarazione di cui all’art. 13 d.lgs. n. 42 del 2004 – della quale, peraltro, la parte ricorrente non forniva alcun riscontro -, la possibilità che COGNOME potesse apprendere o usucapire i reperti controversi, ancorché non riconosciuti formalmente, essendo comunque
incontroversa la loro appartenenza alla categoria dei beni di interesse archeologico.
Le considerazioni esposte impongono conclusivamente il rigetto del ricorso proposto da NOME COGNOME, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 5 dicembre 2023.