Beneficio Penitenziario: Quando il Ricorso in Cassazione è un Vicolo Cieco
L’accesso a un beneficio penitenziario, come la detenzione domiciliare, è un momento cruciale nel percorso di esecuzione della pena. Tuttavia, le vie per contestare un diniego sono strettamente regolate dalla legge. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini del ricorso in sede di legittimità, confermando che non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. Il caso in esame riguarda un collaboratore di giustizia che si è visto respingere il ricorso proprio perché mirava a una nuova valutazione dei fatti, non consentita.
I Fatti del Caso
Un collaboratore di giustizia, condannato in via definitiva, presentava istanza per la concessione della detenzione domiciliare. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava la richiesta. Avverso questa decisione, il condannato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione.
Il motivo principale del ricorso era una presunta violazione di legge procedurale. Nello specifico, si lamentava la mancata redazione di una nuova relazione di sintesi da parte dell’equipe di osservazione. Si sosteneva, inoltre, che la relazione comportamentale esistente fosse stata redatta unicamente dal funzionario giuridico, senza che il condannato fosse stato sottoposto a recenti colloqui con uno psicologo e con lo stesso funzionario.
Il Ricorso e i Limiti del Giudizio di Legittimità
Il ricorrente ha tentato di inquadrare la sua doglianza come un vizio di violazione di legge, un motivo valido per adire la Corte di Cassazione. Tuttavia, la Corte ha rapidamente smascherato la vera natura del ricorso. Il controllo affidato al giudice di legittimità, infatti, non è una revisione completa del caso. Esso si limita a verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione della decisione impugnata.
Non è possibile, in sede di Cassazione, chiedere una nuova e diversa valutazione delle prove o degli elementi di fatto. L’appello del condannato, pur vestito formalmente da censura di legittimità, tendeva in realtà proprio a questo: provocare una nuova valutazione nel merito sulla sussistenza dei presupposti per la concessione del beneficio penitenziario.
La valutazione del beneficio penitenziario
La decisione sulla concessione di un beneficio penitenziario spetta al giudice di merito, in questo caso il Tribunale di Sorveglianza. Questo organo ha il compito di valutare la personalità del condannato, i suoi progressi nel percorso rieducativo e l’assenza di pericolosità sociale. Per fare ciò, si avvale di diversi strumenti, tra cui le relazioni degli operatori penitenziari e i pareri delle autorità competenti.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. I giudici hanno sottolineato che il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza era immune da vizi. La motivazione è stata giudicata congrua, adeguata e priva di errori nell’applicazione della legge. Il Tribunale aveva correttamente considerato tutti gli elementi a sua disposizione, tra cui:
* La condizione di collaboratore di giustizia del condannato.
* Il parere sfavorevole espresso dalla Direzione Nazionale Antimafia all’accoglimento dell’istanza.
* Le risultanze complessive dell’osservazione del comportamento del detenuto.
Di fronte a una motivazione logicamente coerente e completa, che spiegava le ragioni del diniego, non vi era spazio per un intervento della Corte di Cassazione. Il tentativo di contestare le modalità di redazione della relazione si è rivelato un pretesto per rimettere in discussione il giudizio di merito, operazione preclusa in sede di legittimità.
Conclusioni: le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: la netta distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Chi intende ricorrere in Cassazione deve concentrarsi su errori di diritto o vizi logici evidenti e macroscopici nella motivazione, non sulla speranza di convincere i giudici a ‘rileggere’ i fatti in modo diverso. L’inammissibilità del ricorso ha comportato per il ricorrente non solo la conferma del diniego del beneficio, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro, a dimostrazione che i ricorsi pretestuosi hanno conseguenze concrete.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione di merito di un Tribunale di Sorveglianza su un beneficio penitenziario?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti. Il suo ruolo è limitato a verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione. Un ricorso che mira a una nuova valutazione dei fatti è destinato all’inammissibilità.
Quali elementi ha considerato il Tribunale per negare il beneficio penitenziario?
Il Tribunale ha basato la sua decisione su una valutazione complessiva che includeva il parere sfavorevole della Direzione Nazionale Antimafia e le risultanze dell’osservazione comportamentale del condannato.
Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, che in questo caso è stata fissata in tremila euro da versare alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20664 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20664 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME PARMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/01/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l’istanza di concessione della detenzione domiciliare, avanzata dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME;
Rilevato che, avverso tale ordinanza, il condanNOME – a mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO – ha proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge in relazione all’art. 16 -nonies decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, per non esser stata disposta una nuova relazione di sintesi da parte dell’equipe di osservazione, atteso che la relazione comportamentale concernente il condanNOME era stata redatta dal solo funzionario giuridico, nonché senza previa sottoposizione del soggetto a colloqui con lo psicologo e con il funzionario medesimo, nell’ultimo anno;
Ritenuto che il ricorso è inammissibile, essendo fondato su motivi manifestamente infondati. Deve, in proposito, rilevarsi che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priv dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. U, 28/05/2003, Pellegrino, Rv. 224611). Alla luce di questi parametri ermeneutici, questa Corte osserva che il ricorso del COGNOME, pur denunciando formalmente il vizio di violazione di legge, tende in realtà a provocare una nuova e non consentita valutazione del merito, in ordine alla sussistenza dei presupposti richiesti dalla norma per la concessione del beneficio penitenziario suddetto;
Ritenuto che l’ordinanza impugnata, peraltro, abbia correttamente valutato gli elementi risultanti agli atti, adottando una motivazione congrua, adeguata e priva di erronea applicazione della legge penale e processuale, nonché soffermandosi sulla condizione di collaboratore di giustizia del condanNOME e richiamando – sul punto specifico – sia il parere sfavorevole all’accoglimento dell’istanza, espresso dalla RAGIONE_SOCIALE, sia le risultanze dell’osservazione;
Ritenuto che alla dichiarazione di inammissibilità debba conseguire, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 09 maggio 2024.