Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34157 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34157 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/06/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME GAETANO DI GIURO NOME COGNOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a MADDALONI il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 31/03/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di Napoli udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di sorveglianza di Napoli ha rigettato la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, di detenzione domiciliare proposta da NOME COGNOME, detenuto in espiazione della pena di anni sette e mesi quattro di reclusione, in relazione alla sentenza della Corte di appello di Napoli del 27/03/2023, irrevocabile il 16/04/2024, di condanna per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990.
A ragione del provvedimento reiettivo, il Tribunale ha rilevato come il NOME si trovi in espiazione anche di pena irrogata per reato ostativo di prima fascia, non emergendo i presupposti di nessuna delle forme di collaborazione prospettabili. Ha inoltre richiamato quanto riportato nella nota della D.D.A. di Napoli, che evidenziava l’affiliazione del condannato al RAGIONE_SOCIALE.
Quanto alla prospettata attività lavorativa, il Tribunale ne evidenziava l’inadeguatezza, osservando come le informazioni di polizia avessero rappresentato il rischio che il luogo di lavoro divenisse occasione di incontro con altri pregiudicati.
Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il condannato, per il tramite del difensore, deducendo violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 41 bis e 58 ter ord. pen. per manifesta illogicità della motivazione in relazione, da un lato, al profilo della ipotizzata sussistenza di una sorta di affiliazione al RAGIONE_SOCIALE, dall’altro al giudizio di inadeguatezza dell’attività lavorativa prospettata.
Osserva in particolare il ricorrente, sotto il primo aspetto, come la sentenza di merito che ha condannato il COGNOME per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990 avesse escluso la sussistenza della contestata aggravante ex art. 416 bis .1 cod. pen., di talchŁ il richiamo all’affiliazione al RAGIONE_SOCIALE doveva ritenersi frutto di un travisamento. Rileva
poi come, dovendosi applicare l’art. 4 bis ord. pen. nella formulazione previgente, attesa l’epoca di commissione dei delitti in espiazione, anteriore all’entrata in vigore della novella, la pretesa collaborazione da parte del COGNOME rivestisse i caratteri dell’inesigibilità e dell’inutilità, in considerazione del ruolo marginale dal medesimo rivestito nell’associazione e stante l’integrale accertamento dei fatti oggetto di accertamento processuale.
Sotto altro aspetto, la motivazione dell’impugnata ordinanza era da censurare anche per avere ritenuto inadeguata l’attività lavorativa prospettata, sulla base di generiche informazioni dei Carabinieri di San Cipriano d’Aversa, che «nel cristallizzare l’attenzione sui possibili avventori del bar, non indicano alcuna criticità in ordine alla persona del datore di lavoro, unico aspetto che avrebbe giustificato una valutazione negativa».
3.Nella requisitoria scritta, il Procuratore generale, NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso Ł inammissibile in quanto generico, aspecifico e manifestamente infondato.
2.Giova ricordare, in via di premessa generale, che il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla 30 dicembre 2022, n. 199, ha interamente sostituito l’art. 4bis , comma 1bis , Ord. pen.
L’art. 4 bis , comma 1, nella formulazione antecedente alla sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale, per quanto di interesse nella presente sede, prevedeva che i benefici penitenziari potevano essere concessi ai detenuti e agli internati che avevano commesso uno dei delitti tassativamente indicati dalla medesima norma nel solo caso in cui questi «collaborino con la giustizia a norma dell’art. 58 ter ». La norma, pertanto, in tal modo, stabiliva una presunzione assoluta di pericolosità nei confronti di tutti i soggetti detenuti per uno dei reati espressamente elencati, in caso di non collaborazione.
Il successivo comma 1 bis , sempre nella formulazione antecedente alla modifica di cui al D.L. 162 del 2022 così come convertito in L. 199 del 2022, estendeva la possibilità di concedere i benefici anche ai casi in cui «la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, rendono comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonchØ nei casi in cui, anche se la collaborazione viene offerta risulti oggettivamente irrilevante». In tali ipotesi, però, non essendo la collaborazione c.d. impossibile o inesigibile idonea a garantire il distacco del detenuto dal contesto criminale di provenienza, la concessione dei benefici era subordinata all’acquisizione di «elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva».
La Corte costituzionale, con la sentenza 253 del 2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’intera previsione contenuta nel comma 1 dell’art. 4 bis ord. pen. nella parte in cui non prevedeva la concessione dei permessi premio ai condannati dei delitti ivi previsti anche in assenza della collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58 ter ord. pen., allorchØ siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
L’art. 1 del D.L. 162 del 2022, così come convertito nella L. 192 del 2022 ha modificato i commi 1 e 1 bis dell’art. 4 bis ord. pen. Il comma 1 ora, analogamente al passato, prevede che i benefici previsti dalla norma possono essere concessi ai detenuti e internati che hanno commesso i reati c.d. ostativi di prima fascia quando questi collaborano con la giustizia a norma dell’art. 58 ter ord. pen. Il comma 1 bis prevede l’ipotesi della mancata collaborazione e, in ossequio alla sentenza n. 259 del 2019 della Corte cost.,
stabilisce che la presunzione di pericolosità di cui al comma 1 ha natura relativa in quanto può essere superata se i detenuti e gli internati per i reati ostativi ivi elencati: a) dimostrino di avere adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento; b) alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere: -b1) l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato Ł stato commesso, -b2) il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile; c) pongano in essere iniziative a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa.
L’art. 3, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, contiene una norma transitoria in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari, ed, in particolare, al comma 2, stabilisce che ai condannati e agli internati che, prima della data di entrata in vigore del suddetto decreto, abbiano commesso delitti previsti dal comma 1 dell’art. 4bis cit., nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendano comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonchØ nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’art. 62, n. 6, anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’art. 114 ovvero dall’art. 116, secondo comma, cod. pen., i benefici di cui al comma 1 dell’art. 4-bis cit. e la liberazione condizionale possono essere concessi, secondo la procedura di cui al comma 2 dello stesso art. 4-bis, purchØ siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, con le ulteriori specificazioni fissate dalla norma.
In tali ipotesi, quindi, l’accertamento circa l’impossibilità, l’inesigibilità o l’oggettiva irrilevanza della collaborazione Ł comunque prodromico rispetto alla successiva valutazione in ordine all’esistenza o meno di «elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva». In assenza di una diversa e specifica previsione i criteri che si applicano al giudizio che il Tribunale deve effettuare sul punto, pertanto, sono quelli enucleati dalla precedente giurisprudenza di legittimità per cui «ai fini del superamento delle condizioni ostative alla fruizione di benefici penitenziari stabilite – per determinati reati – dal combinato disposto degli artt. 4-bis e 58-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e 2 della legge 12 luglio 1991, n. 203, grava sul condannato l’onere di delineare nell’istanza elementi specifici circa l’impossibilità o l’irrilevanza della sua collaborazione, così da consentire l’esame delle relative richieste nel merito» (Sez. 1, n. 47044 del 24/01/2017, Sorice, Rv. 271474 – 01).
3.Tanto premesso, sebbene con una motivazione oltremodo sintetica, il Tribunale, nell’affermare che COGNOME – attualmente in espiazione della pena inflittagli per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990, commesso negli anni 2016-2017 – non ha mai reso dichiarazione di collaborazione e che non Ł emersa alcuna forma di collaborazione da parte sua, ha correttamente escluso la possibilità di concessione delle invocate misure alternative, non esistendo, nel caso in esame, le condizioni di applicazione del citato art. 3 comma 2, d.l.
31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199.
Il ricorso Ł infatti del tutto generico con riferimento alla sussistenza dei presupposti della collaborazione inesigibile o comunque inutile o irrilevante: in particolare, l’inesigibilità e inutilità della collaborazione Ł aspetto solo lambito nel ricorso, con semplice richiamo all’istanza originaria, in cui si ancorava tale aspetto alla marginalità del ruolo rivestito dal NOME ed all’integrale accertamento dei fatti, come desumibile dagli atti processuali offerti in valutazione, rappresentati dalle sentenze di primo e di secondo grado.
Va tuttavia osservato come l’onere di delineare gli elementi specifici circa l’impossibilità o l’irrilevanza della propria collaborazione non possa ritenersi adempiuto, come ha fatto il ricorrente, con la mera affermazione che ciò risulterebbe pacificamente, o addirittura implicitamente, dalla lettura delle sentenze che hanno accertato le condotte al tempo poste in essere (cfr. sez. 1, n. 27223 del 23/04/2025, n. m.).
Nel caso in esame, l’istante non ha prospettato elementi specifici relativi alla impossibilità o alla irrilevanza di un’eventuale collaborazione, che Ł stata richiamata senza offrire elementi concreti e specifici a conforto della mera asserzione della sua inutilità, nØ egli ha allegato la sussistenza delle ulteriori condizioni di cui all’art. 3 comma 2 d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, con specifico riferimento all’applicazione delle attenuanti ivi richiamate (artt. 62 n. 6, 114 o 116 cod. pen.) ed all’esclusione dell’esistenza di collegamenti attuali con l’associazione di cui all’art. 74 L. stup., per la quale Ł stato condannato.
Di contro, i temi difensivi e le circostanze fattuali di cui il ricorso lamenta la pretermissione – in particolare l’esclusione dell’aggravante ex art. 416 bis .1 cod. pen. dal delitto associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990 -, come anche osservato dal Procuratore generale in seno alla sua requisitoria -, non sono, comunque, idonei nØ dirimenti ai fini di una diversa decisione sull’esito delle istanze, avendo il ricorrente valorizzato argomenti inconferenti o comunque subordinati al previo accertamento delle condizioni di cui al citato art. 3 comma 2 d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, e non essendosi il ricorrente confrontato, per escluderlo, con il requisito della mancanza di collegamenti con la criminalità organizzata, nella quale rientra a pieno titolo l’associazione finalizzata al narcotraffico di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990.
Il ricorso deve pertanto ritenersi aspecifico e quindi inammissibile.
4.Completamente versate in fatto, e pertanto inammissibili in sede di legittimità, sono infine le argomentazioni difensive svolte in merito all’adeguatezza dell’attività lavorativa proposta.
Il Tribunale aveva sul punto evidenziato come le informazioni assunte dalle forze dell’ordine avessero palesato il rischio che il luogo di lavoro (un bar) indicato dal detenuto, divenisse occasione di incontro con altri pregiudicati, stante la loro frequentazione dell’esercizio pubblico.
Il ricorrente aggredisce la motivazione resa dal Tribunale in modo generico, non contestando l’assunto posto dai Giudici specializzati a fondamento delle proprie valutazioni di inadeguatezza dell’offerta lavorativa proposta (ovvero la frequentazione da parte di pregiudicati del luogo di lavoro), bensì censurando, in modo aspecifico, la mancata valutazione della posizione del datore di lavoro, ed invitando questa Corte a sovrapporre una diversa valutazione rispetto a quella motivatamente assunta dal Tribunale di sorveglianza.
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Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così Ł deciso, 24/06/2025
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME