Benefici penitenziari: La Gradualità è la Chiave per la Concessione
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nell’ambito del diritto penitenziario: i criteri per la concessione dei benefici penitenziari. In particolare, la Corte chiarisce che la partecipazione a programmi di trattamento non è sufficiente, da sola, a garantire l’accesso a misure come la semilibertà. La decisione finale spetta alla valutazione discrezionale del giudice, che deve considerare il percorso rieducativo nel suo complesso, secondo un principio di gradualità.
Il caso: la richiesta di semilibertà respinta
Il caso riguarda un detenuto che sta scontando una pena detentiva molto lunga, superiore ai venticinque anni. L’uomo aveva presentato istanza per ottenere la detenzione domiciliare e l’affidamento in prova al servizio sociale, richieste dichiarate inammissibili. Contestualmente, aveva chiesto la misura della semilibertà, che era stata però respinta dal Tribunale di Sorveglianza.
Contro questa decisione, il detenuto ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e una contraddittorietà nella motivazione. A suo avviso, il Tribunale non aveva adeguatamente valorizzato la sua partecipazione al trattamento penitenziario e i suoi sforzi per trovare un’attività lavorativa, elementi che avrebbero dovuto avere un peso determinante.
I motivi del ricorso e la richiesta di benefici penitenziari
Il ricorrente sosteneva che la concessione dei benefici penitenziari, come la semilibertà, non richiede la totale assenza di pericolosità sociale, ma piuttosto l’avvio di un concreto processo di rieducazione. Egli criticava il giudice di sorveglianza per aver, a suo dire, enfatizzato immotivatamente alcuni elementi sfavorevoli, deducendo erroneamente un’assenza di revisione critica del proprio passato criminale.
In sostanza, il detenuto proponeva una lettura alternativa dei fatti e del suo percorso, ritenendo di meritare la fiducia dello Stato per accedere a una misura che gli consentisse un graduale reinserimento nella società.
La valutazione del Tribunale e il principio di gradualità
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la correttezza della decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno ribadito alcuni principi fondamentali in materia.
La discrezionalità del giudice di sorveglianza
La concessione delle misure alternative è rimessa alla valutazione discrezionale del magistrato di sorveglianza. Questo significa che non esiste un automatismo: il giudice deve verificare, caso per caso, la meritevolezza del condannato e l’idoneità della misura a facilitarne il reinserimento sociale. Per fare ciò, si basa sulle relazioni degli operatori penitenziari, ma non è vincolato dalle loro conclusioni. Deve, invece, compiere un’analisi autonoma della personalità, dello stile di vita e della pericolosità residua del soggetto.
L’inammissibilità del ricorso contro-valutativo
La Corte ha sottolineato che il ricorso presentato dal detenuto aveva un carattere puramente “contro-valutativo”. In altre parole, non segnalava un vero errore di diritto o un vizio logico nella motivazione, ma si limitava a contestare nel merito la valutazione del Tribunale, proponendone una diversa. Questo tipo di censura non è ammessa in sede di legittimità, dove la Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.
le motivazioni
Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano sul corretto esercizio del potere discrezionale da parte del Tribunale di Sorveglianza. Quest’ultimo aveva esaminato tutte le informazioni disponibili e ne aveva tratto un giudizio prognostico sfavorevole, con una motivazione logica e priva di contraddizioni. In particolare, il Tribunale aveva ritenuto la richiesta di semilibertà “prematura”, giudicando necessario attendere e valutare gli esiti di un percorso di giustizia riparativa che il detenuto aveva intrapreso solo di recente.
Questa decisione, secondo la Cassazione, è perfettamente conforme al principio di gradualità. Sebbene non sia una regola codificata in modo assoluto, la gradualità nella concessione dei benefici risponde a un’esigenza di razionalità del trattamento penitenziario. Permette di calibrare le aperture verso l’esterno in base ai progressi effettivi del condannato, bilanciando le finalità rieducative con quelle di prevenzione e sicurezza sociale.
le conclusioni
L’ordinanza ribadisce un punto fermo: il percorso verso il reinserimento sociale è un processo che richiede tempo e progressi tangibili. La partecipazione a programmi trattamentali è un presupposto importante, ma la concessione dei benefici penitenziari più significativi, come la semilibertà, dipende da un giudizio complessivo del magistrato. Se questo giudizio, basato su una motivazione logica, ritiene che il percorso del detenuto sia ancora in una fase troppo iniziale, la decisione di rigettare l’istanza è legittima e non può essere messa in discussione in Cassazione con argomenti che si limitano a contestare la valutazione dei fatti.
La partecipazione a un percorso di trattamento in carcere garantisce automaticamente la concessione dei benefici penitenziari come la semilibertà?
No, la partecipazione a percorsi di trattamento e la ricerca di un lavoro sono elementi positivi, ma non garantiscono automaticamente la concessione dei benefici. La decisione è rimessa alla valutazione discrezionale del Tribunale di Sorveglianza, che deve compiere un giudizio prognostico complessivo sulla meritevolezza del detenuto e sull’idoneità della misura al reinserimento sociale.
Su quali basi il Tribunale di Sorveglianza può negare la semilibertà ritenendola “prematura”?
Il Tribunale può ritenere una misura come la semilibertà prematura se, sulla base delle informazioni disponibili, conclude che il percorso di rieducazione del condannato è ancora in una fase iniziale. In questo caso, ha ritenuto necessario attendere gli esiti di un percorso di giustizia riparativa appena intrapreso prima di concedere un beneficio così significativo, applicando il principio di gradualità.
È possibile ricorrere in Cassazione semplicemente perché non si è d’accordo con la valutazione del Tribunale di Sorveglianza?
No, non è possibile. Il ricorso in Cassazione deve basarsi su violazioni di legge o vizi logici della motivazione. Un ricorso che si limita a proporre una diversa valutazione dei fatti (definito “contro-valutativo”) senza individuare un errore giuridico specifico viene dichiarato inammissibile, come avvenuto in questa vicenda.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5242 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5242 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/09/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDIERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME, detenuto in espiazione della pena di venticinque anni, nove mesi e otto giorni di reclusione, ricorre per cassazio avverso l’ordinanza in preambolo, con la quale il Tribunale di sorveglianza d L’Aquila ha dichiarato inammissibile la sua istanza di detenzione domiciliare e d affidamento in prova al servizio sociale e respinto quella di semilibertà e dedu – con un unico motivo – rispettivamente violazione di legge e contraddittorie della motivazione in punto di diniego della misura alternativa della semilibertà;
considerato, in particolare, che il ricorrente lamenta che l’ordinanza avreb trascurato di valorizzare la partecipazione al trattamento e l’avvenuta ricerc un’attività lavorativa, elementi questi che avrebbero dovuto rivestire – in t ben diverso peso nella valutazione del Tribunale, ai fini dell’ammissione al invocata misura alternativa che non presuppone la totale assenza di pericolosit sociale, ma postula l’avvio del processo di rieducazione, mentre il giudi specializzato avrebbe erroneamente dedotto i’assenza di revisione critica d elementi immotivatamente enfatizzati in senso sfavorevole al condannato;
ribadito il principio affermato in sede di legittimità secondo cui concessione delle misure alternative alla detenzione è rimessa alla valutazio discrezionale della magistratura di sorveglianza, che deve verificare, al di fuor ogni automatismo, la meritevolezza del condannato in relazione al beneficio richiesto e l’idoneità di quest’ultimo a facilitarne il reinserimento socia ultimo, Sez. 1, n. 8712 del 08/02/2012, Tanzi, Rv. 252921-01);
ricordato che il giudice, basandosi sulle relazioni provenienti dagli orga deputati all’osservazione del condannato medesimo, ma senza essere vincolato ai giudizi ivi espressi, deve apprezzare le riferite informazioni sulla personalità e sul suo stile di vita, parametrandone la rilevanza ai fini decisione alle istanze rieducative sottostanti la misura e ai profili di perico residua dell’interessato;
ritenuto che nell’alveo di tali principi si è mosso il Tribunale di sorvegli che ha espressamente preso in esame tutte le informazioni e ne ha fatt discendere – con motivazione esente da profili di illogicità e, come ta insindacabile in questa sede – un giudizio prognostico sfavorevole, frutto ponderato bilanciamento di tutti gli aspetti del caso, reputando c:he la misura prematura e che sia necessario valutare gli esiti del percorso di giust riparativa, solo di recente intrapreso;
ritenuto, pertanto, che tale decisione è conforme al principio enunciat dalla giurisprudenza di legittimità della gradualità della concessione dei benef penitenziari che, pur non costituendo una regola assoluta è codificata, risponde
un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative di previsione cui è ispirato il principio stesso del trattamento penitenziario (Sez. 1 n. 22443 del 17/01/2019, COGNOME, Rv. 267213; Sez. 1 n. 27264 del 14/01/2015, COGNOME, Rv. 264037; Sez. 1 n. 15064 del 06/03/2003, COGNOME, Rv. 224029);
ritenuto che l’ordinanza impugnata resiste alle censure mosse in ricorso, di stampo meramente confutativo e contro-valutativo, in un ambito riservato alla discrezionalità del tribunale di sorveglianza, che nella specie risulta esercitata nei limiti logico-giuridici segnati dalla legge;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2023