Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30702 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30702 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NISCEMI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/11/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di SASSARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, in persona di NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza sopra indicata, il Tribunale di sorveglianza di Sassari, in data 2/11/2023 dichiarava inammissibile l’istanza di ammissione alla semilibertà presentata da NOME COGNOME, detenuto dal 24 ottobre 1991 in espiazione della pena dell’ergastolo determinata con il provvedimento di cumulo della Procura della ReRAGIONE_SOCIALE di Catania del 22 gennaio 2005, già condanNOME con sentenza della Corte d’assise di Catania, irrevocabile il 30/01/1997, alla pena dell’ergastolo, riconosciuta la continuazione, per artt. 416-bis cod. pen. e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per più omicidi e violazioni delle leggi in materia di armi, per estorsione continuata in concorso, per favoreggiamento personale, nonché per la violazione delle norme del T.U. sulle elezioni per la Camera dei deputati, commessi tra il 1984 e il 1992, nonché, con sentenza della Corte d’assise di Caltanissetta divenuta irrevocabile il 20/11/1998, alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per anni uno, riconosciuta la continuazione ai sensi dell’art. 81 cod. pen. con i delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen., 575 cod. pen., 110 e 422 cod. pen. commessi nel 1990 e, infine, con sentenza della Pretura di Catania alla pena di anni sei di reclusione per il reato di cui all’art. 588 cod. pen. commesso nel 1994.
Il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha dato atto, nel provvedimento qui impugNOME, che il detenuto NOME COGNOME è stato condanNOME per fatti relativi all’art. 416-bis cod. pen. per il periodo dal 1984 al 1992, senza che siano stati rilevati – dalla lettura delle sentenze di condanna – ulteriori fatti o episodi oltre data della sua carcerazione avvenuta il 24 ottobre 1991.
Ciò premesso ed essendo entrato in vigore il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con legge 20 dicembre 2022, n. 199, il Tribunale ha ritenuto che la tale novella legislativa dovesse considerarsi di maggior favore rispetto a quella già applicata al COGNOME – che in precedenti provvedimenti, in materia di permessi premio e lavoro all’esterno, era stata individuata (anche ai sensi di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 32 del 2020) in quella in vigore all’epoca della commissione dei delitti per cui è detenuto dal 24 ottobre 1991 – perché avrebbe fatto venir meno il carattere ostativo del titolo della condanna, eliminando la preclusione assoluta per i condannati per reati di cui all’art. 4-bis Ord. pen. “prima fascia”, così potendosi applicare quale norma di “carattere meramente procedurale”, “limitandosi a imporre al condanNOME per l’accesso alla misura alternativa, l’adempimento di specifici oneri dimostrativi e di allegazione”.
Secondo il Tribunale, infatti, la recente riforma non ha rappresentato un quadro normativo sfavorevole rispetto ai precedenti, e così – in forza del principio del tempus regit actum ha ritenuto che il COGNOME dovesse rispettare i nuovi oneri
di allegazione attualmente previsti dall’art. 4-bis Ord. pen., ovvero il dover allegare elementi comprovanti l’adempimento delle obbligazioni civili o l’impossibilità di adempiervi, nonché elementi diversi dalla regolare condotta carceraria da cui fosse possibile evincere l’insussistenza di attuali collegamenti con la criminalità organizzata o il pericolo del loro ripristino.
NOME COGNOME ricorre per cassazione, tramite rituale ministero difensivo, sulla base di un unico motivo.
Con tale motivo, il ricorrente denuncia la violazione di legge in relazione agli artt. 48 e 50 Ord. pen. e all’art. 666 cod. proc. pen., nonché il relativo difetto motivazione.
Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che l’attuale formulazione dell’art. 4bis Ord. pen., nella parte in cui ha riformato la norma sui presupposti che legittimano l’accesso alle misure alternative alla detenzione per coloro che si trovano detenuti per reati di c.d. “prima fascia”, sia da considerarsi più favorevole rispetto a quella di cui al d.l. n. 152 del 24 ottobre 1991, ossia alla normativa ritenuta applicabile al COGNOME rispetto ai reati commessi sino al 1992. In relazione a precedenti analoghe istanze, il medesimo Tribunale aveva ritenuto di valutarle sulla base del testo dell’art. 4-bis Ord. pen., all’epoca vigente, applicando i principi di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2020. Il Tribunale avrebbe dato rilevo alla sola intervenuta esclusione formale della preclusione assoluta di accesso alle misure alternative, senza però procedere a un concreto confronto tra le due discipline. Il Tribunale, infatti, non avrebbe posto l’attuale 4-bis Ord. pen. a confronto con quello in vigore nel 1991, ma solamente con la formulazione in vigore sino al d.l. n. 162 del 2022, senza considerare come la normativa attuale fosse da ritenere più sfavorevole rispetto a quella in vigore nel 1991. Secondo la disciplina in vigore nel 1991, infatti, per accedere alla semilibertà era sufficiente acquisire solo elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti dell’istante con la criminalità organizzata o eversiva, richiedendo tali informazioni attraverso il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE competente in relazione al luogo di detenzione del condanNOME. Si deduce, quindi, che, per le misure alternative al carcere, non si potrebbe consentire un’applicazione retroattiva delle norme penitenziarie che possano incidere sfavorevolmente sul possibile ritorno in libertà del detenuto. Si evidenzia anche come il COGNOME avesse già usufruito di numerosi permessi premio già dal 2020 e di aver avuto accesso alle attività di cui all’art. 21 Ord. pen. con giudizio ampiamente positivo sul suo percorso. Ciò aveva determiNOME l’area educativa ad aggiornare la relazione di sintesi nell’ottobre 2023, esprimendo parere favorevole a che il COGNOME potesse accedere alla semilibertà. Si aggiunge, inoltre, che le “nuove” norme di cui all’art. 4-bis Ord. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
pen. non siano applicabili a coloro i quali abbiano raggiunto un grado di rieducazione idoneo per accedere alla semilibertà e che, infine, la dimostrazione dell’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata dovrebbe essere ritenuta sulla base dell’assenza di indagini recenti o di ulteriori condanne a carico del richiedente la semilibertà, nonché dall’assenza di indagini o condanne a carico dei suoi familiari ovvero, ancora, da scelte rieducative e riabilitative non ordinarie e soprattutto distoniche con condotte di vita distanti dalla legalità.
Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
All’udienza del 3 aprile 2024, la trattazione del ricorso è stata rinviata, ai sensi dell’art. 615 cod. proc. pen. per la molteplicità e l’importanza delle questioni da decidere, al 16 aprile 2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, quindi, meritevole di accoglimento.
La questione rimessa alla valutazione di questo Collegio è relativa all’individuazione della normativa applicabile al detenuto, qui ricorrente, richiedente la semilibertà che non ha collaborato con la giustizia e non ha commesso reati riconducibili all’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.) in data successiva al 24 ottobre 1991, data della sua carcerazione.
La giurisprudenza di questa Corte, sin dall’introduzione dell’art. 4-bis Ord. pen., avvenuto con d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. con mod. nella legge 12 luglio 1991, n. 203, ha affermato l’applicabilità delle preclusioni e delle restrizion previste dalla norma alle esecuzioni in corso, al momento della sua entrata in vigore, per i fatti anteriormente giudicati o commessi (Sez. 1, n. 3427 del 20/09/1993, Ruga, Rv. 195289). L’indirizzo interpretativo è rimasto conforme anche a seguito dell’ampliamento delle fattispecie indicate nell’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. È stato affermato, infatti, che le disposizioni legislative, le quali individuano i delitti ostativi ai benefici penitenzia stabiliscono peggioramenti della disciplina di accesso ai medesimi, sono relative alle modalità di esecuzione della pena e trovano immediata applicazione anche per i fatti e le condanne pregresse (Sez. U, n. 24561 del 30/05/2006, A., Rv. 233976; Sez. 5, n. 30558 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 262489; Sez. 1, n. 32000 del 06/07/2006, NOME, Rv. 234381). Ciò in mancanza di una specifica regolamentazione transitoria (Sez. 1, 11580 del 05/02/2013, COGNOME, Rv.
NUMERO_DOCUMENTO) che risulta assente anche nel caso in esame, facendo leva sulla natura processuale delle disposizioni relative all’Ordinamento penitenziario, oltre che sull’applicazione del criterio risolutore offerto dal principio tempus regit actum.
1.2. L’impostazione sinora descritta è stata rimeditata già con Sez. 1, n. 17203 del 28/02/2020, PG C/Posocco, Rv. 279215, anche alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale a seguito dell’intervento della Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 32 del 2020 emessa in relazione alla legge 9 gennaio 2019, n. 3, con la quale è stata elaborata in materia di esecuzione della pena una lettura diversa della portata del divieto di retroattività di cui all’a 25, comma secondo, Cost.
Il Giudice delle leggi ha, infatti, specificato che quando la normativa sopravvenuta non incide sulla modifica delle modalità esecutive della pena, prevista dalla legge al momento del reato, ma ne opera una vera trasformazione che ha effetti sulla libertà personale del condanNOME, non è possibile derogare ai principi espressi dall’art. 25, comma secondo, Cost.
Il diverso statuto, delineatosi per effetto della successione normativa, in questi casi, se non applicato ai soli fatti di reato posteriori, determina un trattamento che sostanzialmente si risolve in un trattamento deteriore rispetto a quello legalmente stabilito al momento della violazione, con mortificazione delle garanzie che sono alla base del divieto di applicazione retroattiva delle leggi che aggravano la pena prevista per il reato.
La valutazione va operata, in generale, in chiave di prognosi, comparando, rispetto al tempus commissi delicti, la pena che era ragionevole attendersi in base alla legislazione vigente e quella che potrebbe derivare in concreto per il detenuto per effetto del mutato quadro normativo.
La trasformazione di maggiore afflittività sussiste quando il condanNOME può essere assoggettato a un trattamento “più severo” rispetto a quello che era ragionevolmente prevedibile nel momento di commissione del reato. Ciò anche avuto riguardo, sia pur in termini probabilistici, all’accesso a modalità extramurarie di esecuzione della pena, quali quelle previste dalle misure alternative alla detenzione o da altri benefici penitenziari.
La Corte costituzionale ha, infatti, chiaramente affermato che questi ultimi, ove consentano di uscire dal carcere, sono misure di natura sostanziale che incidono sulla qualità e quantità della pena. Esse, dunque, incidono sul grado di privazione della libertà personale e costituiscono “pene alternative” alla detenzione caratterizzandosi per ridurre la limitazione alla libertà personale del condanNOME e per offrire opportunità rieducative molto diverse da quelle che caratterizzano la pena detentiva intra-moenia in senso stretto.
1.3. Questo Collegio, in continuità alla lettura dell’art. 25, comma secondo, Cost., come indicata dalla Corte costituzionale e così rivista la precedente interpretazione dell’art. 4-bis Ord. pen. riguardo al regime intertemporale della sua applicazione, ritiene che le novelle al testo normativo di cui all’art. 4-bis Ord. pen. per l’accesso alle misure alternative alla detenzione e le limitazioni ai benefici penitenziari che consentono di ridurre i tempi di permanenza in carcerazione debbano essere valutate in concreto rispetto alla particolare situazione individuale del detenuto in relazione alla data di commissione del reato per cui è stata disposta la condanna e la conseguente carcerazione. In particolare, le modifiche normative non possono operare retroattivamente, estendendosi a fatti commessi prima dell’entrata in vigore delle relative modifiche che rendono più gravoso l’accesso alle misure alternative alla detenzione e ai benefici penitenziari extra-moenia, tenuto conto che, in materia di successione di leggi penali, una volta individuata la disposizione complessivamente più favorevole con riferimento al caso concreto, il giudice deve applicarla nella sua interezza, essendo fatto divieto, in ossequio al principio di legalità, di combinare frammenti normativi dell’una e dell’altra, così da delineare una terza disciplina (Sez. 4, n. 13207 del 27/01/2022, Premoli, Rv. 282936).
3. Nel caso in esame, con le modifiche apportate all’art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), per effetto dell’entrata in vigore del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con legge 30 dicembre 2022, n. 199, diversamente da quanto affermato dal provvedimento impugNOME senza dimostrazione alcuna, si sono peggiorate le condizioni per l’accesso e la fruizione della semilibertà richiesta dal ricorrente. Egli, infatti, risulta essere detenuto dal 24 ottobre 1991 per fatti ricondotti 416-bis cod. pen. compiuti sino e non oltre quella data, come affermato dal Tribunale sulla base della lettura delle sentenze di condanna (pag. 3, secondo periodo).
Secondo il testo dell’art. 4-bis ord. pen. in vigore nel 1991 (versione di cui al d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla I. 12 luglio 1991, n. 203) per accedere alla semilibertà era sufficiente acquisire solo elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti dell’istante con la criminalità organizzata o eversiva, limitandosi a richiedere tali informazioni “per il tramite del RAGIONE_SOCIALE competente in relazione al luogo di detenzione del condanNOME“. Attualmente, la nuova normativa intervenuta con il decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia…), poi convertito con modificazioni dalla legge n. 199 del 2022, ha apportato modifiche alla disciplina prevista dall’art. 4-bis legge n. 354 del 1975 (Ord. pen.), ravvisando i presupposti di straordinaria necessità e
urgenza nei «moniti rivolti dalla Corte costituzionale al legislatore per l’adozione di una nuova regolamentazione dell’istituto al fine di ricondurlo a conformità con la Costituzione». Ha così inciso proprio su’lle disposizioni sottoposte a scrutinio di costituzionalità, specificamente sostituendo integralmente il comma 1-bis dell’art. 4-bis Ord. pen., a cui ha pure aggiunto due nuovi commi (1-bis.1 e 1-bis.2). La novità principale della nuova disciplina è stata rinvenuta nella trasformazione da assoluta in relativa della presunzione di pericolosità ostativa alla concessione dei benefici e delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti. Costoro, infatti, sono ora ammessi alla possibilità di proporre richiesta, che può essere accolta in presenza di stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati per i quali è intervenuta condanna.
Come correttamente evidenziato in ricorso, la differenza tra le due discipline, nel senso che la precedente fosse chiaramente di maggior favore, è evidente, non solo sul tema dell’introdotto adempimento delle obbligazioni civili che è chiaramente gravosa per un soggetto detenuto da 32 anni, ma anche per gli altri elementi che caratterizzano sia gli oneri di allegazione dell’istante che l’istruttoria da svolgere ed è tale da influire in maniera evidente sulla possibilità di ritorno in libertà del ricorrente. A ciò va aggiunto che la novella legislativa ha inciso in modo fortemente deteriore sulla prospettiva del condanNOME di essere ammesso ad espiare la pena al di fuori del circuito carcerario rispetto a quanto disposto dalla legge in vigore al momento del fatto per cui è stato condanNOME.
Tra i reati per cui il COGNOME è stato condanNOME, senza poi aver collaborato con la giustizia, vi è l’art. 416-bis cod. pen. il quale rientra nel catalogo dei reati di cui all’art. 4-bis, commi 1 (richiamati dal comma 1-bis), Ord. pen., in relazione al quale oggi, in virtù della novella già citata, si è previsto che, anche in assenza di collaborazione con la giustizia, ai detenuti possono essere concessi i benefici penitenziari a condizione che: – dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di adempimento; – alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e con il contesto nel quale il reato è stato commesso,, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di altra informazione disponibile; – il giudice accerti la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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Va conseguentemente affermato che l’entrata in vigore del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con legge 30 dicembre 2022, n. 199, ha realizzato un effetto di trasformazione della pena inflitta, realizzando una concreta incidenza sulla libertà personale, rispetto al quadro normativo vigente al momento di commissione del fatto da parte del COGNOME. Da tali considerazioni deriva l’inapplicabilità della nuova disposizione e di quelle precedenti pur successive a quella sinora ritenuta applicabile (versione di cui al d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla I. 12 luglio 1991, n. 203) al COGNOME dal Tribunale di sorveglianza in relazione a precedenti istanze di cui agli art. 21 e 30 Ord. pen., ai sensi dell’art. 25, comma secondo, Cost., trattandosi di condanna per reati commessi anteriormente all’entrata in vigore delle successive novelle legislative da ritenersi di maggior sfavore in relazione alla sua concreta condizione di detenzione.
I principi di cui alla sentenza Corte costituzionale n. 32 del 2020 devono, pertanto, trovare applicazione anche nel caso in esame dovendosi richiamare un concetto “sostanziale” anche nell’esecuzione della pena, rispetto al procedimento interpretativo della modifica normativa, in difetto di una disciplina transitoria.
Il concetto di legalità della pena, dunque, si estende e comprende non la sola pena in astratto prevista per il fatto all’epoca in cui esso è stato commesso, ma anche quella che “in concreto” viene posta in esecuzione con modalità che incidono direttamente sulla libertà personale non solo al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna bensì anche nel corso della sua espiazione.
Dalle considerazioni ora esposte deriva l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Sassari.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Sassari.
Così deciso il 16/4/2024