Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22514 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22514 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/09/2023 del TRIBUNALE di SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO COGNOME per l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria con la quale l’AVV_NOTAIO insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, con ordinanza in data 27/9/2023, accertata,e dichiarata l’inesigibilità della collaborazione, ha rigettato la richiesta di applicazione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale proposta da COGNOME.
NOME COGNOME è stato condannato alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione per il reato di cui all’art. 74 D.P.R. 309 del 1990 commesso sino all’panno 2003.
Lo stesso, detenuto dal 5 novembre 2019 in esecuzione di tale pena, ha richiesto l’applicazione dell’affidamento in prova al servizio sociale previo accertamento dell’inesigibilità della collaborazione.
Il Tribunale di Sorveglianza ha analizzato le sentenze acquisite e ha accolto la richiesta sul punto dichiarando l’inesigibilità della sua condotta collaborativa.
Il giudice della sorveglianza, però, facendo riferimento ai pareri espressi dalla DNA e dalla RAGIONE_SOCIALE e anche valutando la situazione patrimoniale, ha rigettato la richiesta di applicazione della misura alternativa.
In ordine alla valutazione circa l’assenza di contatti con la criminalità organizzata ovvero della possibilità di ristabilirli, il Tribunale ha valorizzato l relazione della RAGIONE_SOCIALE che, prese le mosse dalla considerazione che il condannato non aveva collaborato, ha dato atto della persistenza e vitalità del traffico di stupefacenti nella zona di Ostia e, nello specifico, nell’area delle case popolari, zona nella quale si trova l’abitazione del condannato.
Quanto alla situazione patrimoniale, il Tribunale ha ritenuto significativi l’acquisto dell’abitazione nell’anno 2014, che comporta un mutuo per 140.000,00, e di un’autovettura nel 2017, per il valore di 19.000,00, ritenuti incompatibili con le capacità reddituali accertate.
3. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’interessato che, a mezzo del difensore, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione quanto al rigetto della richiesta anche per la contraddittorietà con la ritenuta impossibilità della collaborazione. In un unico articolato motivo la difesa -premesso che nel caso di specie, in cui è stata riconosciuta l’inesigibilità della collaborazione, la valutazione avrebbe dovuto essere effettuata solo quanto all’attualità di contatti con la criminalità organizzata e non con riferimento alla possibilità che ciò possa avvenire- ha evidenziato che la conclusione cui è pervenuto il Tribunale rigettando la richiesta di applicazione della misura alternativa sarebbe manifestamente illogica e contraddittoria. La decisione, infatti, si fonderebbe esclusivamente sul parere formulato dalla RAGIONE_SOCIALE che prende le mosse da un presupposto smentito dallo stesso Tribunale, cioè la mancata collaborazione che sarebbe significativa della volontà/possibilità di ristabilire contatti con l criminalità organizzata. Sullo specifico punto, d’altro canto, il Tribunale non avrebbe tenuto in alcuna considerazione il tempo trascorso, ben 16 anni dai fatti, e il radicale cambiamento di vita che il condannato ha avuto da allora e sino alla data di inizio di esecuzione della pena. Del tutto dimenticato, inoltre, sarebbe il percorso trattamentale svolto in carcere e nessuna considerazione, neanche un accenno, vi sarebbe alla favorevole relazione redatta nel carcere con riferimento all’attività svolta e al comportamento tenuto in ambito intramurario. Con specifico riferimento alla situazione patrimoniale, ancora, il Tribunale avrebbe del tutto omesso di considerare che sino all’anno 2019 il condannato ha prestato attività lavorativa presso una società, che peraltro ha dichiarato di essere
disponibile a riassumerlo, conseguendo così redditi, non calcolati e considerati, congrui agli acquisti nel frattempo effettuati per sé e per la famiglia.
In data 22 gennaio 2024 sono pervenute in cancelleria le conclusioni scritte con le quali il AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
In data 22 febbraio 2024 è pervenuta in cancelleria la memoria di replica nella quale l’AVV_NOTAIO insiste per l’accoglimento del ricorso
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
Nell’unico motivo di ricorso, i cui argomenti sono stati ulteriormente approfonditi nella memoria successivamente inviata, la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al rigetto della richiesta d concessione della misura richiesta sia con riferimento all’applicazione di un criterio decisorio errato che per la contraddittorietà della conclusione con la ritenuta impossibilità della collaborazione.
La doglianza è fondata.
2.1. L’art. 4 bis, comma 1, nella formulazione antecedente alla sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale, per quanto interessa ai fini dell’attuale ricorso, prevedeva che i benefici penitenziari potevano essere concessi ai detenuti e agli internati che avevano commesso uno dei delitti tassativamente indicati dalla medesima norma nel solo caso in cui questi “collaborino con la giustizia a norma dell’art. 58 ter”.
La norma, pertanto, in tal modo, stabiliva una presunzione assoluta di pericolosità nei confronti di tutti i soggetti detenuti per uno dei reat espressamente elencati, in caso di non collaborazione (Sez. 1, n. 39190 del 8/7/2022, NOME, n.m.).
Nella prospettiva del legislatore, infatti, solo la collaborazione, per la sua stessa natura, poteva garantire la rescissione radicale di collegamenti con la criminalità.
Il successivo comma 1 bis, nella formulazione antecedente alla modifica di cui al D.L. 162 del 2022 così come convertito in L. 199 del 2022, estendeva la possibilità di concedere i benefici anche ai casi in cui “la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, rendono comunque impossibile
un’utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione viene offerta risulti oggettivamente irrilevante”.
In tali ipotesi, però, non essendo la collaborazione c.d. impossibile o inesigibile idonea a garantire il distacco del detenuto dal contesto criminale di provenienza, la concessione dei benefici era subordinata all’acquisizione di “elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva”.
2.2. La Corte costituzionale, con la sentenza 253 del 2019 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’intera previsione contenuta nel comma 1 dell’art. 4 bis ord. pen. nella parte in cui non prevedeva la concessione dei permessi premio ai condannati dei delitti ivi previsti anche in assenza della collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58 ter ord. pen., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
Nello specifico la Corte costituzionale ha evidenziato che il carattere assoluto anziché relativo della di pericolosità era lesivo dei principi di ragionevolezza e della finalità rieducativa della pena, poiché la sua assolutezza – basata su una generalizzazione che può, invece, essere contraddetta, a determinate e rigorose condizioni, da allegazioni contrarie – impedisce alla magistral:ura di sorveglianza di valutare in concreto e secondo criteri individualizzanti il percorso carcerario del condannato, ai fini dell’ammissione al permesso premio, che ha una peculiare funzione pedagogico – propulsiva.
Il dispositivo della sentenza n. 253, quindi, menziona espressamente le due proposizioni probatorie della “attualità dei collegamenti” e del “pericolo del loro ripristino” con portata additiva, tale da determinare la costruzione di un sistema differenziato quanto alle valutazioni giurisdizionali posteriori alla decisione di incostituzionalità.
2.3. La decisione della Corte costituzionale non ha riguardato le disposizioni contenute nell’art. 4, comma 1 bis, ord. pen. che, sino alle modifiche apportate con il D.L. 162 del 2022, sono rimaste invariate.
Come evidenziato da questa Corte in alcune pronunce immediatamente successive, infatti, «le disposizioni in tema di collaborazione impossibile o inesigibile (tenute espressamente al di fuori dell’oggetto del giudizio) che non solo restano vigenti ma che continuano ad avere una portata precettiva concreta, sia in ragione della diversità parziale delle regole dimostrative della assenza di pericolosità (profilo strettamente normativo), sia in ragione di una percepibile differenza ontologica, posto che l’accertamento in positivo della impossibilità o inesigibilità della collaborazione consente di qualificare in termini univoci (e non connotati da alcun minimo disvalore) la scelta del detenuto di non
fornire informazioni alla autorità giudiziaria», ciò in quanto «in presenza di simile accertamento positivo (spettante ex lege al Tribunale) la scelta di non prestare collaborazione assume un significato del tutto neutro, il che nella logica proposta dalla Corte costituzionale – consente di circoscrivere la dimostrazione probatoria al parametro della esclusione di attualità dei collegamenti». (Sez. 1, n. 5553 del 28/01/2020, COGNOME, Rv. 279783 – 01; Sez. 5, n. 19536 del 28/02/2022, COGNOME, Rv. 283096 – 01).
2.4. A fronte della sentenza 253 del 2019 della Corte costituzionale, come evidenziato dalle pronunce citate e confermato dalla stessa Corte costituzionale nella successiva sentenza n. 20 del 2022, la disciplina, prima della successiva modifica normativa, poteva pertanto essere così sintetizzata.
I permessi premio potevano essere concessi ai detenuti e agli internati che hanno commesso uno dei delitti indicati che avevano collaborato con la giustizia, costituendo la collaborazione una sorta di prova legale di avvenuta rescissione del legame con il contesto criminale di provenienza.
Per i detenuti e internati che non avevano collaborato la presunzione di pericolosità prevista dall’art. 4 bis, comma 1, ord. pen. era di carattere relativo.
La presunzione, infatti, poteva essere superata:
nel caso di mancata collaborazione volontaria: allorché fossero acquisiti “elementi tali da escludere sia l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti” (così la pronuncia additiva di cui alla sentenza n. 253 del 2019);
nel caso in cui la collaborazione era impossibile o inesigibile: se erano acquisiti “elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva” (così l’art. 4 bis, comma 1 bis ord. pen. anteriforma D.L. 162 del 2022).
Come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità immediatamente successiva, pure confermata dalla Corte costituzionale, le due ipotesi di mancata collaborazione, d’altro canto, erano (e sono) apprezzabilmente diverse (Corte cost. n. 20 del 2022; Sez. 1, n. 33743 del 1477/2021, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 23862 del 5/3/2021, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 23859 del 5/3/2021, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 5553 del 28/01/2020, COGNOME, Rv. 279783 – 01).
Nella prima la collaborazione è oggettivamente ancora possibile e viene tuttavia rifiutata (è questa la posizione di chi «oggettivamente può, ma soggettivamente non vuole” ed è silente per sua scelta»)
Nella seconda la collaborazione è oggettivamente impossibile o inesigibile (è questa la posizione di chi «soggettivamente vuole, ma oggettivamente non può» ed è quindi silente suo malgrado).
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La differenza ontologica tra le due situazioni, secondo la Corte costituzionale, si rifletteva necessariamente nel diverso standard probatorio da soddisfare nei due casi per vincere la presunzione di pericolosità.
Il carattere volontario della scelta di non collaborare, infatti, costituisce secondo l’id quod plerumque accidit un sintomo di allarme, tale da esigere un regime rafforzato di verifica, esteso all’acquisizione anche di elementi idonei ad escludere il pericolo del ripristino dì collegamenti con la criminalità organizzata, per cui in questo caso si riteneva coerente che i temi di prova, diversi, fossero due (Sez. 1, n. 33743 del 1477/2021, COGNOME, n.m.).
Il primo costituito dalla tradizionale prova di assenza di contatti perduranti (il fatto positivo, rappresentato dal collegamento, integra la condizione ostativa fattuale) tra il detenuto e il contesto associativo di provenienza.
Il secondo costruito in termini di «negazione» .di qualcosa che non c’è ma che potrebbe avverarsi, trattandosi di un “pericolo” di ripristino (agevolato dal permesso, il che rende doverosa simile prognosi, secondo i contenuti della decisione) di tali collegamenti.
Quando invece la collaborazione non può comunque essere prestata l’atteggiamento del detenuto assume un significato del tutto neutro e quindi, ai fini del superamento del regime ostativo, il tema di prova restava unico ed era circoscritto all’esclusione di attualità dei collegamenti (Sez. 1, n. 4012 del 28/5/2021, COGNOME, n.m.).
2.5. L’art. 1 del D.L. 162 del 2022, così come convertito nella L. 192 del 2022, limitando l’analisi alle parti che rilevano per il presente ricorso, ha modificato i commi 1 e 1 bis dell’art. 4 bis ord. pen.
Il comma 1 ora, analogamente al passato, prevede che i benefici previsti dalla norma (tutti non soltanto i permessi) possono essere concessi ai detenuti e internati che hanno commesso i reati c.d. ostativi di prima fascia quando questi collaborano con la giustizia a norma dell’art. 58 ter ord. pen.
Il comma 1 bis prevede l’ipotesi della mancata collaborazione e, in ossequio alla sent. 259 del 2019 della Corte cost., stabilisce che la presunzione di pericolosità di cui al comma 1 ha natura relativa in quanto può essere superata se i detenuti e gli internati per i reati ostativi ivi elencati:
dimostrino di avere adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento;
alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere:
-b1) l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso,
-b2) il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile;
pongano in essere iniziative a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa.
2.6. A fronte dell’attuale formulazione la distinzione “normativa” tra la mancata collaborazione volontaria e quella c.d. impossibile o inesigibile risulta essere venuta meno tanto che il regime probatorio differenziato richiesto nei due casi per superare la presunzione relativa di pericolosità sembrerebbe a prima lettura avere perso ragione di essere.
La norma, infatti, impone al giudice di fare riferimento a una griglia di criteri che complessivamente si compone in un unico, e partic:olarmente gravoso, standard probatorio nel quale, comunque, si deve tenere conto “delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione”.
2.7. L’art. 3 D.L. 162 del 2022 prevede la disciplina applicabile ai detenuti e internati che hanno commesso i reati ostativi prima dell’entrata in vigore della norma la cui collaborazione sia impossibile o inesigibile.
Per questa specifica ipotesi la disposizione transitoria stabilisce che al fine della concessione dei benefici il giudice di sorveglianza, seguita la procedura di cui al comma 2 dell’art. 4 bis ord. pen., deve verificare esclusivamente l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e non anche che non sussista il pericolo che tali collegamenti siano ripristinati.
In virtù del tenore letterale della norma (“i benefici di cui al comma 1 dell’articolo 4 bis della citata legge n. 354 del 1975 e la liberazione condizionale possono essere concessi, secondo la procedura di cui al comma 2 dell’articolo 4 bis della medesima legge n. 354 del 1975, purché siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva”), infatti, si deve ritenere che il tema di prova sul quale si deve pronunciare il Tribunale di sorveglianza sia quello relativo all’esistenza o meno di contatti perduranti tra il detenuto e il contesto associativo di provenienza e sia quindi circoscritto all’esclusione dell’attualità dei collegamenti (Sez. 1, n. 4012 del 28/5/2021, Di COGNOME, n.nn.).
2.8. Nel caso di specie NOME COGNOME sta espiando la pena in relazione a un reato commesso prima dell’entrata in vigore del D.L. 162 del 2022.
Al ricorrente, pertanto -prescindendo in questa sede da ogni approfondimento interpretativo circa il rilievo da attribuire alla collaborazione c.d. impossibile o inesigibile nell’attuale panorama normativo- si deve applicare il criterio decisorio previsto dalla norma transitoria sopra citata e non il diverso e più gravoso standard probatorio contenuto nell’art. 4 bis, comma 1 bis, ord. pen. ora vigente.
In virtù di ciò il Tribunale di Sorveglianza, che pure ha fatto riferimento a quanto previsto dall’art. 3, comma 2 1 de1 D.L 162 del 2022, ac:certato e dichiarato che la condotta collaborativa era inesigibile, avrebbe dovuto circoscrivere il giudizio alla verifica in ordine all’acquisizione o meno di concreti “elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva” e rendere un’adeguata e specifica motivazione in riferimento a tale parametro, risultando, di contro, del tutto inconferente o, comunque, priva di effettivo rilievo, ogni ulteriore e diversa considerazione circa il pericolo di ripristinare i medesimi collegamenti.
Sotto tale profilo, pertanto, la conclusione cui è pervenuto il giudice della sorveglianza, che ha fondato il rigetto esclusivamente sulla base del secondo parametro, ritenendo cioè di non poter escludere il pericolo che i collegamenti con il contesto criminale di riferimento siano ripristinati, risulta resa sulla base del presunto accertamento di un presupposto errato (cfr. pag. 3 del provvedimento impugnato e incipit del punto § a pag. 6).
2.9. A ben vedere, d’altro canto, la motivazione, oltre a fare riferimento a uno standard probatorio non applicabile al caso di specie, è comunque manifestamente illogica e carente.
2.9.1. Una volta riconosciuta l’inesigibilità della collaborazione, pagine da 4 a 6 dell’ordinanza, il Tribunale ha dato atto di dover affrontare la questione relativa alla sussistenza o meno di collegamenti o meno con la criminalità organizzata “e al pericolo del loro ripristino”.
Prese le mosse da tale premessa errata la motivazione si è sviluppata attribuendo rilievo centrale al parere espresso dalla RAGIONE_SOCIALE, di concerto con la competente DDA.
Il rinvio al contenuto di tale parere, per sua natura autorevole ma che non è vincolantt e non esime il giudice dal dovere di procedere a un attento vaglio critico di quanto in questo evidenziato e ritenuto, (Sez. 1, n. 11208 deW8/2/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 41361 del 29/10/2021, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 40823 del 05/06/2013, COGNOME, Rv. 257532 – 01), non è soddisfacente quanto all’accertamento dell’attualità dei collegamenti del ricorrente con la criminalità
Il citato parere, infatti, si esprime esclusivamente in merito al pericolo che il ricorrente ripristini collegamenti con il contesto criminale di riferimento, senza evidenziare nulla in ordine all’attualità, ora e in concreto, di tal collegamenti.
La stessa conclusione in ordine alla sola sussistenza del pericolo contenuta nell’atto, d’altro canto, è resa in termini astratti e generici: «le indagini più recenti dimostrano che in territorio di Ostia, nel quale opera il COGNOME, risulta particolarmente attivo il fiorente traffico di sostanze stupefacenti; che tali emergenze investigative hanno evidenziato incontrovertibili elementi che denotano l’esistenza di un attuale e concreto pericolo di ripristino dei contatti di COGNOME, finalizzato a riavviare l’attività delittuosa per la quale è stat condannato» (cfr. pag. 6, anche per come espressamente richiamato a pag. 9 del provvedimento impugnato).
Ciò anche senza voler considerare quello che è un profilo dirimente, cioè che la conclusione della RAGIONE_SOCIALE si prende le mosse e si fonda su di un’affermazione, la mancata collaborazione del ricorrente, c:he è in evidente e insanabile contraddizione con quanto accertato dallo stesso Tribunale, che ha ritenuto e dichiarato che la collaborazione del ricorrente era inesigibile.
2.9.2. Sotto altro profilo, comunque, il Tribunale, non ha evidenziato alcun elemento dal quale poter inferire l’attualità dei collegamenti con la criminalità.
Al di là dell’astratto pericolo ritenuto sulla base dell’acritica adesione alle considerazioni astratte della RAGIONE_SOCIALE, infatti, la motivazione del provvedimento impugnato è inesistente quanto al tempo trascorso dal reato all’emissione dell’ordine di esecuzione, sedici anni, e circa l’assenza in tale lungo periodo di qualsivoglia segnalazione a carico del ricorrente, sia essa relativa a comportamenti penalmente rilevanti che a contatti con contesti criminali.
Nella motivazione dell’ordinanza, inoltre, escluso il rinvio incidentale contenuto a pag. 8, non risulta alcun riferimento al contenuto della relazione Uepe e ai documenti a questa allegati, dai quali pure, sempre per quanto incidentalmente citato a pag. 8 del provvedimento impugnato, sembra risultare che il condannato nel corso del tempo abbia intrapreso un diverso percorso di vita e che la sua condotta intramuraria sia positiva.
2.9.3. La motivazione, sempre in termini di attualità dei collegamenti, infine, è carente anche in ordine alla parte resa in relazione alla situazione patrimoniale del ricorrente.
Sul punto il Tribunale, facendo riferimento alle circostanze relative all’acquisto della casa -comunque avvenuto undici anni dopo i fatti e con il riconosciuto contributo finanziario del padre della nuova compagna e con
l’accollo di un mutuo bancario ipotecario- e dell’autovettura, infatti, ha omesso di considerare quanto emerge dalla relazione di sintesi redatta nell’ottobre 2022 e di confrontarsi con la documentazione prodotta dalla difesa, cioè con il fatto che il ricorrente prima dell’inizio dell’esecuzione della pena ha svolto attività lavorativa presso un supermercato (cfr. pag. 8 dell’ordinanza impugnata nella quale sono incidentalmente sia la relazione di sintesi allegata alla relazione Uepe che il carteggio prodotto dalla difesa) e ha pertanto conseguito dei redditi dei quali si sarebbe dovuto tenere conto ai fini del giudizio e nella motivazione.
Alla luce delle ragioni esposte l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio affinché il Tribunale di Sorveglianza, applicato il criterio decisorio corretto, libero nel merito, proceda a un nuovo giudizio sul punto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Sorveglianza di Roma.
Così deciso a Roma il 28 febbraio 2024.