Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3335 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3335 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LAMEZIA TERME il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/03/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATI -0
Il Tribunale di sorveglianza di Firenze, con il provvedimento in epigrafe, emesso il 28 marzo 2023, ha rigettato l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale proposta da NOME COGNOME, in espiazione di pena detentiva, con conclusione risulta attualmente fissata al 28 marzo 2026.
I giudici di sorveglianza – presa in esame la posizione dell’istante, che sta espiando una pena generata da condanna per il reato di associazione di tipo mafioso (ritenuto commesso fino al 2017, data della sentenza di primo grado), per la sua partecipazione al RAGIONE_SOCIALE, articolazione della ‘ndrangheta di Lamezia Terme – hanno ritenuto assenti le condizioni di ammissione alla misura chiesta, oltre che congrua e non eludibile la proposta trattamentale formulata per il detenuto, connotata dal regime ancora inframurario, dovendo necessariamente proseguirsi nell’analisi della personalità del condannato e nell’opera di approfondimento del confronto con il medesimo su un piano più pertinente ai dati di fatto accertati, nel contempo dovendo sollecitarsi e favorirsi l’attivazione concreta di NOME sul piano riparatorio, così indurlo ad adempiere le statuizioni della sentenza di condanna e dimostrare la sua seria volontà di contribuire alla ricostruzione del patto sociale.
Avverso la suddetta ordinanza il difensore di NOME ha proposto ricorso chiedendone l’annullamento e affidando l’impugnazione a un unico motivo con cui lamenta l’erronea applicazione dell’art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), nonché la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione.
Riportata per esteso la disciplina dell’art. 4-bis Ord. pen., reputata applicabile al caso in esame, la difesa ritiene evidente che la posizione del detenuto presentasse peculiarità tali da non poter essere trattata come quella di un condannato che non aveva preso contezza del reato accertato a suo carico e non aveva provveduto ad adempiere le corrispondenti obbligazioni civili: come era stato dedotto con memoria difensiva, con l’evocazione del parallelismo con l’istituto della liberazione condizionale, appariva evidente l’impossibilità d adempiere totalmente le obbligazioni in questione e, poi, essendo stato COGNOME condannato soltanto per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., non per reati fine, l’iniziativa andava individuata in un generico facere in favore del territorio di riferimento del sodalizio; né era logica la considerazione svolta nel provvedimento impugnato in punto di adempimento delle obbligazioni solidali, giacché il creditore poteva escutere ciascun debitore per l’intero, sicché non poteva farsi carico a un solo debitore del mancato adempimento; e, poi, tale (^ requisito esulava da quelli richiesti dal d.l. 31 ottobre 2022,r). 162.
Secondo la difesa, anche in relazione al pericolo di ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata l’ordinanza impugnata merita censura, giacché i contatti antecedenti rimontavano al 2007, allorché egli si era allontanato dal gruppo mafioso, come aveva evidenziato l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro in data 26.07.2018, che aveva annullato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari; in tal senso erano da intendersi anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, così come nel medesimo senso deponeva l’attività lavorativa a cui NOME si era dedicato dal 2008 in poi.
Pertanto, l’omessa valutazione di quel provvedimento del 2018, dimostrativo dell’assenza di attualità dei collegamenti del condannato con la criminalità organizzata in tempo successivo al 2007, ha reso, secondo la difesa, generica e assolutamente illogica l’ordinanza impugnata.
Il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, avendo il Tribunale di sorveglianza fondato in modo congruo e incensurabile la reiezione dell’istanza di affidamento in prova sulla gravità del reato commesso, sui precedenti penali, dimostrativi di una personalità incline a delinquere, e sull’assenza di un’effettiva revisione critica da parte di NOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte ritiene l’impugnazione connotata dalla prospettazione di questioni che si appalesano, in parte, infondate in modo manifesto e, in parte, volte a sollecitare una rivalutazione di merito dell’oggetto del giudizio: essa, come tale, esorbita dall’ambito configurato dall’art. 606 cod. proc. pen.
Giova rilevare che il Tribunale di sorveglianza ha, con motivazione articolata, considerato i precedenti penali (per reati in materia di armi, ricettazione, falso, usura e in materia di sostanza stupefacenti) connotanti la posizione dell’istante e ha valutato il contenuto delle sentenze di merito che avevano condotto all’accertamento della sua partecipazione all’associazione mafiosa, osservando che l’attività del sodalizio si era protratta almeno fino agli anni 2012 e 2013, quando i principali collaboratori di giustizia, NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME, avevano iniziato a fornire i loro contributi dichiarativi, nonché evidenziando la condanna di NOME alla rifusione delle spese e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili rese nella relativa decisione.
Posto ciò, i giudici di sorveglianza, dopo aver preso atto anche dell’integrazione della domanda con allegazioni ulteriori d GLYPH arte dell’istante, in
relazione all’effetto dell’entrata in vigore del d.l. n. 162 del 2022, hanno ritenut la misura alternativa dell’affidamento in prova non concedibile a NOMENOME
Si è considerato, fra l’altro, che: la dichiarazione del condannato di trovarsi nell’assoluta impossibilità di adempiere le obbligazioni civili e gli obblighi riparazione pecuniaria non risultava supportata da elementi decisivi e, anzi, le informazioni trasmesse dalla DNA e dalla DDA non facevano propendere per la sua totale incapacità economica, anche perché le spese processuali ammontavano a importo non particolarmente elevato (euro 3.000,00) e le poste risarcitorie, a suo carico in solido con gli altri condannati, avrebbero potuto essere soddisfatte almeno in parte da chi, come il ricorrente, aveva dichiarato di aver lavorato fino all’arresto.
Ulteriore notazione è stata svolta sul piano della verifica della progettualità risocializzante, avendo il Tribunale osservato che non poteva ritenersi immune da rischi la scelta di avallare il ritorno immediato del condannato nel territorio d provenienza e di commissione dei reati, ambito nel quale permaneva un contesto del tutto analogo a quello in cui si era manifestata la condotta deviante di NOME: situazione determinativa del pericolo di ripristino dei legami interrotti dall carcerazione e di recidiva, tenuto conto della biografia criminale del medesimo.
Inoltre, assodata, sulla scorta delle richiamate fonti informative, la persistenza delle cosche di ‘ndrangheta nel territorio di interesse, si è evidenziato che il distacco da quegli ambienti da parte del condannato non appariva sufficientemente comprovato, in considerazione della sua pregressa appartenenza per oltre un decennio alla cosca e dell’assenza di segnali specifici e certi di un suo cambiamento di rotta, non potendo trascurarsi che l’osservazione penitenziaria aveva messo in chiaro la sua posizione, tesa a negare l’avvenuta partecipazione al RAGIONE_SOCIALE, con la sola ammissione dei primi reati, e la prospettazione da parte sua di essere stato accusato ingiustamente, per finalità ritorsiva, prospettazione che, però, non trovava riscontro nemmeno nelle sue dichiarazioni all’autorità procedente.
Tali essendo i fattori oggetto di ponderazione, i giudici specializzati hanno stimato del tutto conseguente la proposta di trattamento riferita a NOME contemplante la prosecuzione dell’osservazione in regime inframurario, con lo svolgimento dei colloqui e delle attività interne alla struttura, proposta condivisa dal Tribunale, che ha rimarcato la persistente necessità di condurre una verifica più approfondita della sua personalità al fine di accompagnare l’interessato all’avviamento di una revisione realistica delle sue scelte e dei suoi comportamenti pregressi, rispetto ai quali egli si era limitato ad analizzare uno soltanto dei tre episodi per i quali era stato condannato in materia di armi, nulla aveva osservato quanto alle usure, non si era confrontat con la pregressa
revoca della misura alternativa della semilibertà e aveva manifestato un approccio del tutto riduttivo con il reato in materia di sostanze stupefacenti, sicché la ricognizione del vissuto deviante appariva tuttora lacunosa e parziale.
Nella descritta situazione, pertanto, i giudici di sorveglianza hanno ritenuto congrua la suindicata proposta trattamentale, non risultando dimostrate, nell’attuale stadio, le condizioni necessarie per l’ammissione del detenuto alla chiesta misura alternativa alla detenzione.
La risposta fornita nel provvedimento è adeguata e coerente.
3.1. Si rivela determinante, anzitutto, la constatazione del mancato riscontro, quanto alla sfera di NOME, delle condizioni previste dall’art. 4 -bis Ord. pen. per l’accesso alle misure alternative alla detenzione.
Preso atto che il ricorrente è in espiazione di pena detentiva determinata dalla condanna per il reato di associazione di tipo mafioso, reato ostativo all’incondizionata concessione dei benefici penitenziari enunciati nel comma 1 della citata disposizione, il Tribunale ha dato per assodato, senza susseguenti contestazioni dell’interessato, che NOME non rientra fra i condannati per uno fra i suddetti reati per i quali la collaborazione, pacificamente non resa, sia da considerarsi impossibile o irrilevante.
Invero, l’art. 3, comma 2, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, stabilisce che ai condannati e agli internati che, prima della data di entrata in vigore del suddetto decreto, abbiano commesso delitti previsti dal comma 1 dell’art. 4 -bis cit., nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendano comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’art. 62, n. 6, anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’art. 114 ovvero dall’art. 116, secondo comma, cod. pen., i benefici di cui al comma 1 dell’art. 4 -bis cit. e la liberazione condizionale possono essere concessi, secondo la procedura di cui al comma 2 dello stesso art. 4 -bis, purché siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, con le ulteriori specificazioni fissate dalla norma.
A NOME deve applicarsi, pertanto, il disposto dell’art. 4 -bis, com GLYPH 1-bis, Ord. pen., come sostituito dal d.l. n. 162 del 2022, convertito con mociffazioni dalla legge n. 199 del 2022.
In virtù di tale disposizione, se è vero che i benefici penitenziari per gl autori di reati ostativi rientranti nella corrispondente prima fascia possono essere concessi “anche in assenza di collaborazione con la giustizia”, è del pari certo che per accedere a tali misure l’interessato deve soddisfare determinati oneri di specifica allegazione e, per alcuni aspetti, di prova, in modo da consentire la concreta possibilità dell’emersione della corrispondente dimostrazione dei necessari parametri valutativi, fissato dalla medesima disposizione.
Per i condannati che non abbiano acceduto alla collaborazione con la giustizia e non rientranti nelle categorie assimilate nei sensi suindicati, occorre, infatti, dimostrare l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi d riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna, salva assoluta impossibilità, che deve risultare idoneamente provata.
Occorre, poi, assolvere l’onere di specifica allegazione – non soddisfatto dall’indicazione, anche cumulativa, della regolare condotta e della partecipazione al percorso trattamentale inframurario, della dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione di appartenenza – di elementi, diversi e ulteriori, che siano idonei a escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terz
Nella corrispondente valutazione, il giudice deve tener conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile, nonché accertare la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nella form risarcitoria che in quella della giustizia riparativa.
Il percorso procedimentale è quello segnato dal comma 2 della medesima norma, così da determinare un assetto in relazione al quale si ribadisce che, in tema di misure alternative alla detenzione in favore di soggetto condannato per reati ostativi definiti di prima fascia, per effetto delle modificazioni apporta all’art. 4-bis Ord. pen. con il d.l. n. 162 del 2022 cit., non assume rilievo decisiv la collaborazione con l’autorità giudiziaria, ma è demandata al giudice, alla luce della mutata natura della presunzione – divenuta relativa – di mantenimento dei collegamenti con l’organizzazione criminale, la valutazione del percorso rieducativo del condannato e dell’assenza di collegamenti, attuali o potenziali, con la criminalità organizzata e con il contesto mafioso, mediante gli ampliati poteri istruttori di cui all’art. 4 -bis, comma 2, cit. (Sez. 1, n. 35682 del 23/05/2023, Catarisano, Rv. 284921 – 01).
3.2. In relazione alla cornice normativa indicata, si rileva in modo evidente che – contrariamente alle prospettazioni svolte dal ricorrente nel motivo
complessivamente articolato – il discorso giustificativo svolto dai giudici di sorveglianza per negare l’affidamento in prova esprime con chiarezza le ragioni che li hanno condotti a ritenere insussistenti i presupposti per l’ammissione alla misura stabiliti dalla suddetta disciplina per gli autori di reati compresi ne catalogo ostativo, oltre che a formulare una generale prognosi di attuale inadeguatezza della misura alternativa suddetta in vista dell’indefettibile funzione risocializzante che essa deve avere.
Sia per ciò che concerne il – considerato mancato, senza che vi fosse l’assoluta impossibilità – adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria, sia per quanto riguarda il – ritenuto persistente (non dimostrando il contrario la succitata ordinanza liberatoria emessa nel 2018 in sede cautelare, assorbita dalla successiva pronuncia di condanna) – pericolo di ripristino dei collegamenti, anche indiretti, con la criminalità organizzata, sia co riferimento alla complessiva valutazione delle circostanze del caso concreto, ritenute, all’esito di accurata ponderazione, rivelatrici del mancato avviamento da parte del condannato di un’effettiva revisione critica delle sue scelte antisociali e della sua pregressa condotta deviante, la verifica di tutti i parametri rilevanti (in relazione ai quali i risultati dell’istruttoria e le informazioni as non hanno confortato le prospettazioni dell’istante) risulta essere stata operata dal Tribunale di sorveglianza con ragionamento congruo e privo di cesure logiche, con univoco esito sfavorevole alla posizione di NOME.
Il quadro di elementi esposti dai giudici di sorveglianza è, quindi, senz’altro adeguato a dare conto della determinazione assunta.
Il ricorrente, d’altronde, al di là della deduzione, priva però di concret agganci, relativa alla predicata sussistenza delle condizioni di ammissione alla misura alternativa e dell’affermazione, corredata tuttavia da argomentazioni meramente rivalutative, della sua adesione al trattamento risocializzante, non ha offerto elementi radicati su circostanze di fatto tali da dimostrare che la valutazione del Tribunale sia stata inadeguata, stanti le enumerate carenze che la posizione del condannato presenta e l’argomentato impiego della discrezionalità dimostrato dai giudici di sorveglianza nel verificare – con esito negativo – i requisiti di ammissione alla misura alternativa richiesta.
4. In definitiva, il discorso giustificativo è risultato – in modo evident osservante della disciplina applicata, in specie dell’art. 4 -bis, prima ancora che dell’art. 47, Ord. pen., e immune dal denunciato vizio di motivazione, essendo la generale valutazione operata dal Tribunale congruamente sfociata nel mancato riscontro delle condizioni di ammissione del condannato all’affidamento in prova al servizio sociale.
Il ricorso, quindi, deve essere dichiarato inammissibile.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost., sen 186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione del contenuto dei motivi dedotti, si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 9 novembre 2023
Il Consi liere e ensore y
GLYPH
Il President