Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34336 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34336 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nata a Davoli il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Lecce del 29/4/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 29.4.2025, il Tribunale di Sorveglianza di Lecce ha rigettato una richiesta di affidamento in prova di NOME COGNOME, detenuta in espiazione pena per il delitto di favoreggiamento aggravato ex art. 416bis .1 cod. pen.
L’ordinanza premette che la detenuta ha allegato l’occasionalità della propria condotta delittuosa, sostenendo che il favoreggiamento riguardava in realtà la protezione della latitanza del figlio, il quale tuttavia si accompagnava a un terzo estraneo, motivo per cui non era stata ritenuta applicabile la causa di non punibilità dell’art. 384 cod. pen. La COGNOME ha addotto, altresì, di avere sempre
condotto una vita regolare e di essere incensurata, chiedendo di essere ammessa alla misura alternativa previo accertamento della impossibilità della sua collaborazione.
Ciò posto, il Tribunale considera innanzitutto che dalla lettura degli atti risulta che, con la condotta per la quale la COGNOME è detenuta, venne assicurata protezione a soggetti latitanti da un anno e mezzo, i quali furono nascosti dalla condannata e dal marito in un locale sotterraneo realizzato appositamente all’interno della cella frigorifera, a cui si accedeva attraverso una botola nascosta; tra i soggetti favoreggiati, vi era un elemento di spicco di una cosca della ‘ RAGIONE_SOCIALE.
I giudizi di sorveglianza ritengono il fatto di particolare gravità, in quanto sintomatico di una vicinanza ai vertici dell’associazione mafiosa, peraltro dimostrata con la predisposizione di un’impegnativa attività di favoreggiamento.
La collaborazione impossibile richiede di accertare la cessazione di ogni legame con l’associazione criminale, essendo onere dell’istante di indicare gli specifici elementi da cui desumere l’interruzione dei collegamenti, che non può essere desunta dal comportamento tenuto in carcere. Sotto questo profilo, risulta che la detenuta intrattenga rapporti con i suoi stretti congiunti, ma il dato è equivoco se si considera che suo figlio era affiliato a un’associazione mafiosa.
Anche a ritenere che l’attività delittuosa sia stata commessa nell’interesse del figlio, ciò comunque costituirebbe -secondo il Tribunale -la riprova della vicinanza della donna al clan e della sua disponibilità a sostenere gli affiliati. Lo stesso dovrebbe dirsi quand ‘ anche si ritenesse che la donna abbia agito in quanto incapace di sottrarsi all’autorità del marito, perché tale evenienza sarebbe paradossalmente dimostrativa del pericolo che ella possa commettere altri delitti della stessa specie.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME, articolando un unico motivo, con cui deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 4 -bis ord. pen. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla valutazione dei collegamenti con la criminalità organizzata.
Il ricorso lamenta che la motivazione dell’ordinanza è omissiva nella parte in cui, limitandosi ad affermare il difetto di allegazione di elementi specifici, non si confronta con le risultanze istruttorie e, in particolare, con la relazione dell’U epe, che aveva espresso parere favorevole alla misura alternativa. Il Tribunale ha omesso, altresì, di confrontarsi con il dato, evidenziato nell’istanza, della impossibilità di collaborazione della ricorrente in quanto soggetto estraneo ad ambienti di criminalità organizzata; il tribunale non ha tenuto conto
dell’assunzione di responsabilità da parte del figlio dell’istante, le cui dichiarazioni sono riportate nelle relazioni di sintesi e nelle quali egli dice che la madre non avrebbe potuto ribellarsi al padre.
La motivazione è illogica, poi, nella parte in cui non ha dato atto che la COGNOME nel corso della detenzione non ha avuto rapporti con detenuti appartenenti alla criminalità organizzata, non ha ricevuto corrispondenza o rimesse in denaro da soggetti diversi dai congiunti e ha intrattenuto rapporti soltanto con i suoi familiari. La motivazione, infine, è carente nella parte in cui non valuta la documentazione fornita dalla difesa, la quale ha comprovato l’assoluzione del figlio della detenuta dal reato associativo e dai reati aggravati ex art. 416bis .1 cod. pen. nonché la revoca del sequestro di prevenzione nei suoi confronti.
L’o rdinanza, in definitiva, non indica elementi concreti e specifici che comprovino l’attualità dei collegamenti tra la COGNOME e la criminalità organizzata, limitandosi a stigmatizzare le circostanze di fatto relative al reato in esecuzione.
Con requisitoria scritta trasmessa il 4.7.2025, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, osservando che il Tribunale di Sorveglianza, con valutazione non manifestamente illogica né contraddittoria, ha evidenziato la estrema gravità della condotta relativa al titolo in esecuzione, indice di una forte pericolosità, e ha valorizzato gli elementi sintomatici della permanenza del collegamento attuale con la criminalità organizzata, rispetto a cui la ricorren te non ha soddisfatto l’onere di allegare specifici elementi indicativi del contrario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.
Alla ricorrente deve applicarsi la disciplina transitoria di cui all’art. 3 D.L. n. 162 del 2022 (in quanto condannata prima dell’entrata in vigore del decreto stesso), in base alla quale per i condannati per reati previsti dall’art. 4 -bis ord. pen. i benefici possono essere concessi in caso di collaborazione impossibile e purché siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.
Quanto alla impossibilità di un’utile collaborazione con la giustizia, l’ordinanza impugnata è nella sostanza evasiva e, più che altro, opera un riferimento alla gravità del fatto.
Si tratta di una valutazione, che, tuttavia, non rileva in proposito, a meno che non si debba trarre da essa la conseguenza che nella sentenza di condanna non vi sia stato ‘l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità’.
Ma questo, per vero, il Tribunale non lo evidenzia espressamente e non indica se, ed eventualmente in base a quali elementi, una collaborazione della RAGIONE_SOCIALE sia ancora possibile.
Di contro, dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta una sia pur sommaria ricostruzione del fatto, che, in mancanza di ulteriori precisazioni, non autorizza affatto a ritenere che l’accertamento dei fatti e delle responsabilità non sia completo.
Si tratta, pertanto, di una motivazione quantomeno carente, che non si concilia con il principio secondo, cui, ai fini della concessione dei benefici penitenziari alle persone condannate per taluno delitti indicati nell’art. 4bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, l’eventuale dubbio sulla sussistenza del presupposto dell’impossibilità o dell’irrilevanza della collaborazione dell’interessato con la giustizia per la limitata partecipazione al fatto o per l’avvenuto integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità non può risolversi in danno dell’istante (Sez. 1, n. 29869 del 16/4/2019, COGNOME, Rv. 276405 -01; Sez. 1, n. 7409 del 5/10/2017, 2018, COGNOME, Rv. 272059 -01).
Quanto al secondo profilo dei collegamenti con la criminalità organizzata, l’ordinanza si limita sostanzialmente a ribadire che dal fatto per cui la ricorrente è stata condannata sia possibile ricavare elementi indicativi della sua vicinanza ad ambienti di ‘RAGIONE_SOCIALE.
In questo modo, tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza non fa più che ribadire quanto già evidentemente affermato dai giudici di cognizione in sede di accertamento della responsabilità penale della COGNOME e non adempie specificamente al proprio diverso e successivo compito di verificare che quella contiguità sia attuale a distanza di anni dalla commissione del delitto.
Anzi, i giudici danno atto che le informazioni più recenti, richieste alla Casa circondariale ove la donna è detenuta, indicano che la COGNOME abbia rapporti solo con i più stretti congiunti, superando tuttavia questo dato con la considerazione che il f iglio era ‘affiliato o comunque vicino ad un’associazione mafiosa’.
Senonché, l’ ordinanza non si confronta con la circostanza allegata dalla difesa, secondo cui il figlio della condannata, nel procedimento in cui si era dato alla latitanza, è stato nel frattempo assolto dal reato di associazione di stampo mafiosa e dai reati aggravati ex art. 416bis .1 cod. pen.: circostanza, questa, che, ininfluente su quanto accertato nella condanna irrevocabile della COGNOME, è
nondimeno influente quando si tratta di valutare se il suo perdurante legame di tipo affettivo-familiare con il figlio, successivo al fatto, sia ancora suscettibile di evocare ex se l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata.
Non v’è dubbio che la vicenda per la quale è stata condannata la ricorrente abbia connotati di non marginale gravità, perché significativa del fatto che la sua abitazione familiare fosse stata non occasionalmente adibita a luogo di copertura della latitanza di ricercati in un territorio indiscutibilmente permeato dal fenomeno mafioso.
Tuttavia, la sopravvenienza di elementi indicativi di una sostanziale distanza della sua persona da ambienti mafiosi non è stata concretamente presa in considerazione dal Tribunale di Sorveglianza, che, nell’apprezzare la attualità dei collegamenti della COGNOME con la criminalità organizzata, avrebbe anche dovuto misurarla con la circostanza che nell’attività delittuosa per cui fu condannata erano coinvolti il marito e il figlio.
Si tratta di un dato che, non certo idoneo ad escludere il suo concorso nel favoreggiamento aggravato, è nondimeno suscettibile di fornire una possibile chiave di lettura circa l’originario grado di coinvolgimento della donna nel rapporto con la criminalità organizzata e di orientare la valutazione in sede di concessione dei benefici penitenziari (da operarsi secondo il disposto testuale delle disciplina transitoria di cui all’art. 3, comma 2, d.l. n. 162 del 2022), la quale deve consistere nell’esame in concreto degli elementi “individualizzanti” che caratterizzano il percorso del singolo detenuto istante, da cui si possa eventualmente desumere la proiezione attuale a recidere i collegamenti criminali mafiosi e a non riattivarli in futuro.
Alla luce di quanto fin osservato, pertanto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Lecce, per un nuovo esame della richiesta che tenga conto dei principi sopra ricordati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Lecce.
Così deciso il 19.9.2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME