Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38853 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38853 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a VILLA DI BRIANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l’istanza, proposta dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME, volta ad ottenere la detenzione domiciliare ex artt. 47 -ter I. 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.) e 16-nonies dl. 15 gennaio 1991, n. 8.
A ragione della decisione osservava che, nonostante il detenuto avesse intrapreso un positivo percorso inframurario, l’accesso al beneficio era ancora prematuro in considerazione: – del percorso di gravissima devianza; – della pena concretamente espiata; – dell’epoca di inizio della collaborazione; – dell’effettiv stato di ravvedimento e revisione critica, ancora da verificare nel tempo con la sperimentazione dei benefici dei permessi premio, avviata da appena due anni.
Avverso il provvedimento, COGNOME, a mezzo del difensore fiduciario, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi trattati congiuntamente, con cui denuncia erronea applicazione della legge nonché vizio di motivazione.
Lamenta che il Tribunale di sorveglianza, discostandosi dai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui è sufficiente per l’accesso al beneficio invocato, pur sempre a contenuto detentivo, l’inizio di un percorso di ravvedimento ed una valutazione globale proiettata nel futuro, ha fondato il rigetto dell’istanza in via esclusiva sulla gravità dei reati commessi nel passato, del tutto omettendo di considerare una serie di risultanze favorevoli al condannato e non valutando correttamente quelle prese in esame.
Secondo il ricorrente, sono stati trascurati: – il periodo di detenzione ininterrotto già a partire a partire dal 2008; – l’astensione da attività illecite nell’altrettanto lungo periodo successivo alla scelta collaborativa; – l’importanza ed efficacia dlela collaborazione. E’ stata ingiustificatamente considerata ancora insufficiente la fruizione per un biennio di permessi premio nonostante, grazie al positivo comportamento del detenuto, tali benefici siano stati progressivamente ampliati, consentendo sempre maggiori margini di libertà.
Così operando, il Tribunale ha finito per introdurre un ulteriore presupposto per l’ammissione alla misura in aggiunta a quello della porzione di pena scontata, finalizzato proprio a consentire un’osservazione accurata della personalità in regime carcerario, ed ha negato valenza, effettiva e reale, alle valutazioni ampiamente positive sul ravvedimento e sull’avvenuta rivisitazione critica del passato deviante espresse nelle relazioni di sintesi più aggiornate e confermate dai pareri della DNA. Questi ultimi, in particolare, danno atto della rescissione dei legami con il gruppo mafioso cui COGNOME era appartenuto in passato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Va premesso che la normativa in materia di concessione dei benefici penitenziari ai collaboratori di giustizia non può essere intesa nel senso che il legislatore abbia voluto eliminare tutti i requisiti richiesti dalla legge penitenzia obbligando il giudice ad accordarli solo in funzione di una collaborazione che ne abbia messo a repentaglio la sicurezza personale così da rendere necessario uno speciale programma di protezione. Essa, al contrario – fermi restando i limiti di pena previsti dall’art. 16-nonies d.l. n. 8 del 1991 (introdotto dalla legge 1 febbraio 2001, n. 45) e, in particolare, dal comma 4 di detto articolo con riguardo ai limiti temporali di minima detenzione in carcere – amplia, non limita o addirittura esclude la discrezionalità della ‘magistratura di sorveglianza, concedendole, in
presenza di un contributo di rilevante spessore dato alla giustizia, di superare i requisiti, formali e sostanziali, richiesti nei casi ordinari.
1.1. La giurisprudenza di legittimità, chiamata a circoscrivere l’ambito della verifica demandata alla magistratura di sorveglianza in vista dell’ammissione dei collaboratori di giustizia alle misure alterative, ha costantemente ritenuto che, pur non essendo necessario verificare la sussistenza delle condizioni indicate nell’art. 47-ter della legge 26 luglio 1975 n. 354, occorre, comunque, che il giudice verifichi l’opportunità della concessione del beneficio in relazione alla personalità del richiedente e alla finalità dell’istituto (Sez. 1, n. 36141 del 30/06/2004, Dell’Art Rv. 229581).
A tal fine, si è rilevato, in specie, che l’istituto disciplinato dall’art. 16dl. n. 8 del 1991 non è applicabile indiscriminatamente, giacché presuppone l’espressione di un giudizio favorevole in ordine al ravvedimento del soggetto che si apre alla collaborazione con l’autorità giudiziaria, fondato sulla «condotta complessiva del collaboratore di giustizia » e sul convincimento che l’azione rieducativa svolta abbia avuto come risultato il compiuto ravvedimento, all’esito di una revisione critica della vita anteatta (Sez. 1, n. 9887 dell’01/02/2007, COGNOME, Rv. 236548; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 43207 del 16/10/2012, COGNOME, Rv. 253833; Sez. 1, n. 3422 del 14/01/2009, COGNOME, Rv. 242559).
Il requisito del “ravvedimento” previsto dall’art. 16-nonies, comma 3, del d.l. n. 8/1991 non può, di conseguenza, essere oggetto di una sorta di presunzione, formulabile sulla «sola base dell’avvenuta collaborazione e dell’assenza di persistenti collegamenti del condannato con la criminalità organizzata, ma richiede «la presenza di ulteriori, specifici elementi, di qualsivoglia natura, che valgano a dimostrarne in positivo, sia pure in termini di mera, ragionevole probabilità, l’effettiva sussistenza» (cfr. Sez. 1, n. 43256 del 22/05/2018, Sarno, Rv. 274517; Sez. 1, n. 48891 del 30/10/2013, Marino, Rv. 257671).
La condotta collaborativa, anche se indicativa di una revisione critica, non deve, quindi, essere tenuta presente da sola, ma va sempre posta in relazione ad altri determinanti parametri, come la gravità dei reati in espiazione (Sez. 1, n. 1960 del 03/04/1998, COGNOME, Rv. 210421; Sez. 1, n. 8721 del 03/12/2003 dep. 2004, Garofalo, Rv. 228002), il percorso di ravvedimento compiuto e la fruizione di margini di libertà da cui possa desumersi un effettivo, seppure iniziale, reinserimento sociale.
Del resto, il Tribunale di sorveglianza non è vincolato al parere (obbligatorio) espresso dal Procuratore nazionale antimafia e 3 antiterrorismo (Sez. 1, n. 40823 del 05/06/2013, Lombardi, Rv. 257532), ma, tenuto conto che detta autorità è chiamata a esprimere una valutazione motivata in ordine all’attualità dei
collegamenti tra il condannato e la criminalità organizzata, non può apoditticamente tralasciarle e non considerarle, ferma restando la sua libertà di giudizio in merito alla concessione dei benefici penitenziari.
Conclusivamente, la facoltà di ammettere alle misure alternative i soggetti sottoposti a programma di protezione a norma della legge n. 82 del 1991, con le previste deroghe alle disposizioni ordinarie, non si estende ai presupposti relativi all’emenda di tali soggetti e alla finalità di conseguire la loro stabile rieducazion per cui tali benefici postulano – fermo restando l’indefettibile accertamento delle condizioni soggettive di ammissibilità – che comunque si tratti di persone per le quali si riscontrino le premesse meritorie e l’applicabilità in concreto del beneficio in relazione alla loro personalità, che consenta di escludere ragionevolmente la persistenza di un apprezzabile margine di pericolosità sociale e la conseguente probabilità di reiterazione di comportamenti penalmente illeciti, affinché risultino assicurate le condizioni relative all’emenda del soggetto e alle finalità d conseguirne la stabile rieducazione (per tutte, Sez. 1, n. 35915 del 11/11/2014, dep. 2015, COGNOME, n. m.; Sez. 1, n. 5110 del 22/11/2011, dep. 2012, COGNOME, n. m.; Sez. 1, n. 5523 del 24/10/1996, COGNOME, Rv. 206185).
Ritiene il Collegio che il Tribunale di sorveglianza non si sia conformato ai richiamati canoni ermeneutici ed abbia, comunque, seguito un percorso motivazionale illogico.
Come si desume dal testo dell’ordinanza impugnata, gli atti acquisiti a seguito della proposizione dell’istanza di ammissione alla detenzione domiciliare attestano concordemente che COGNOME ha avviato la collaborazione con l’autorità giudiziaria sin dal 2016 e che durante la condizione detentiva ha intrapreso un percorso che lo ha portato, secondo quanto attestato dagli operatori, ad una stabile revisione critica della propria storia deviante. Proprio in considerazione di tale positiv evoluzione della personalità e dell’assenza di attuale pericolosità sociale a COGNOME sono stati concessi numerosi permessi premio nel corso dell’ultimo biennio con sempre maggiori spazi di libertà.
La Procura Nazionale Antimafia e quella distrettuale, dal canto loro, hanno espresso un giudizio ampiamente positivo in ordine alla collaborazione prestata nell’arco di circa otto anni, precisando che il contributo informativo fornito si e rivelato di grande utilità e che la condotta processuale di COGNOME era stata sempre improntata a lealtà e correttezza, confermando il consolidato allontanamento da logiche di tipo mafioso.
Cionondimeno il Tribunale di sorveglianza ha rigettato l’istanza di ammissione alla detenzione domiciliare, in ragione della gravità dei reati, del periodo limitat di espiazione in carcere della pena e, soprattutto, della necessità di sperimentar I
in maniera graduale l’effettività dell’avviato processo di risocializzazione attraverso l’esperienza di permessi premio, ancora troppo breve.
Siffatta valutazione appare frutto di una parziale considerazione delle evidenze disponibili e, in particolare, ignora l’evoluzione della personalità de condannato durante la detenzione protrattasi ininterrottamente per sedici anni in cui si è reso protagonista, secondo quanto attestato dagli operatori, di una maturazione che lo ha condotto a rivedere le passate scelte devianti.
Al cospetto, allora, di una revisione critica ampiamente consolidata, appare contraddittoria l’attestazione della carenza del requisito del ravvedimento e manifestamente illogica l’esaltazione della verifica intermedia, affidata a permessi premio dei quali COGNOME risulta avere già fruito numerose volte, al momento dell’emissione del provvedimento impugnato, dimostrando sempre maggiore affidabilità, ovvero ad una sperimentazione che avrebbe dovuto essere vagliata con riferimento sia alla necessità che alla durata – in combinazione con le informazioni relative al contegno serbato dal condannato in costanza di esecuzione della pena in regime intramurario.
I precedenti rilievi impongono, in definitiva, l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma in vista di un nuovo giudizio che, libero nell’esito, sia scevro dai vizi riscontrati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.
Così deciso, in Roma 18 settembre 2024.