Banconote False: quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
L’utilizzo di banconote false è un reato grave che mina la fiducia nel sistema economico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre lo spunto per analizzare cosa succede quando si viene condannati per questo delitto e si tenta di contestare la decisione in ultima istanza. Il caso esaminato riguarda la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso basato sulla presunta inconsapevolezza della falsità del denaro.
I Fatti del Caso
Una donna veniva condannata dalla Corte di Appello per il reato previsto dall’art. 453 del codice penale, ovvero per aver tentato di spendere banconote false. Non accettando la condanna, la donna proponeva ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo: un presunto vizio di motivazione della sentenza d’appello. Nello specifico, la difesa sosteneva che i giudici di secondo grado non avessero adeguatamente motivato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, cioè la piena consapevolezza da parte sua che le banconote fossero contraffatte.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza, ma si concentra sulla validità del ricorso stesso. Secondo gli Ermellini, il motivo presentato era manifestamente infondato. Di conseguenza, la ricorrente è stata condannata non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche a versare una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a causa della palese infondatezza della sua impugnazione.
Le Motivazioni: l’inammissibilità per la gestione di banconote false
Il cuore della decisione risiede nella valutazione del motivo di ricorso. La Cassazione ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse, in realtà, fornito una motivazione logica e coerente per affermare la colpevolezza dell’imputata. I giudici di merito avevano valorizzato un elemento cruciale: il comportamento (“contegno”) tenuto dalla donna al momento dei fatti, ovvero quando si trovava di fronte al commerciante presso cui intendeva spendere il denaro. Questo comportamento, secondo la Corte, era un chiaro indicatore della sua consapevolezza della falsità delle banconote.
La Cassazione sottolinea che il ricorso proposto non si confrontava efficacemente con questa argomentazione, limitandosi a riproporre una tesi difensiva già confutata. Quando un ricorso è così palesemente privo di fondamento, la legge prevede che venga dichiarato inammissibile. La Corte ha inoltre richiamato il principio secondo cui l’evidente inammissibilità dell’impugnazione configura un profilo di colpa in capo al ricorrente, giustificando così l’ulteriore sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Le Conclusioni: le implicazioni pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del processo penale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti. Il suo scopo è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. Se la motivazione dei giudici di merito è congrua, logica e ben argomentata, come nel caso di specie, un ricorso che non la scalfisce con critiche pertinenti e specifiche è destinato all’inammissibilità.
In pratica, per contestare l’elemento soggettivo nel reato di spaccio di banconote false, non è sufficiente negare la consapevolezza. È necessario dimostrare che la motivazione del giudice che afferma tale consapevolezza è illogica, contraddittoria o carente. In assenza di tali vizi, il ricorso si rivela un’azione temeraria, con conseguenze economiche negative per chi lo propone.
Perché il ricorso riguardante le banconote false è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo presentato, relativo a un presunto vizio di motivazione sull’elemento soggettivo, è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte di merito aveva già fornito una spiegazione logica e congrua che non è stata validamente contestata.
Quale elemento è stato decisivo per confermare la consapevolezza della falsità del denaro?
L’elemento decisivo è stato il comportamento (il “contegno”) tenuto dalla ricorrente di fronte al commerciante al momento del tentativo di spendita delle banconote. Questo atteggiamento è stato ritenuto dalla Corte un indicatore della sua consapevolezza.
Quali sono state le conseguenze economiche per la ricorrente dopo la decisione della Cassazione?
La ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa ravvisata nell’aver proposto un’impugnazione evidentemente inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6683 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6683 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME natct a POTENZA il 17/05/1973
avverso la sentenza del 12/04/2024 della CORTE APPELLO di POTENZA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Potenza che ne ha confermato la condanna per il reato di cui all’art. 453 cod. pen.;
considerato che l’unico motivo di ricorso, che denuncia il vizio di motivazione in ordine all sussistenza dell’elemento soggettivo (alla luce di quanto dedotto con secondo motivo di appello), è manifestamente infondato in quanto la Corte di merito ha confutato la prospettazione difensiva (volta a escludere la consapevolezza, da parte della ricorrente, della falsità delle banconote) valorizzando il contegno tenuto dalla Messina innanzi al commerciante presso il quale ella aveva inteso spenderle, così rendendo una motivazione congrua e logica e, dunque, qui non sindacabile, a fortiori sulla scorta della prospettazione difensiva che con essa non si confronta (cfr. Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 – 01);
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. Co cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 267585 – 01) – a versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 29/01/2025.