Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27824 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27824 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/05/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 1544/2025 CC – 02/05/2025
R.G.N. 6057/2025
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trieste del 18/9/2024
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
1.Con sentenza in data 18.9.2024, la Corte d’Appello di Trieste ha definito il giudizio svolto a seguito dell’annullamento con rinvio, ad opera della Quinta Sezione della Corte di cassazione con sentenza del 3.12.2021, della sentenza con cui la stessa Corte d’Appello, riformando parzialmente la condanna di NOME COGNOME inflitta con sentenza di primo grado del Tribunale di Udine del 4.10.2017 per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, aveva riconosciuto all’imputato l’attenuante di cui all’ultimo comma dell’art. 219 l. fall. e aveva rideterminato in melius la durata delle pene accessorie.
2.Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso il difensore di COGNOME articolando tre motivi.
Si tratta – lamenta il ricorso – di una conclusione irragionevole, perchØ l’accettazione di un ruolo meramente formale all’interno della società non Ł di per sØ una condotta illecita.
Anche per la bancarotta documentale, la sentenza impugnata fa ricadere un obbligo giuridico di tenere e conservare le scritture sulla mera posizione formale dell’imputato, senza che sia stata fornita la dimostrazione della consapevolezza dell’amministratore di diritto dello stato delle scritture tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari.
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, poi, la bancarotta documentale richiede il dolo specifico, ma sotto questo profilo nulla Ł stato dimostrato.
Con requisitoria scritta trasmessa il 10.4.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, perchØ, con riguardo all’ipotesi di cui al capo di imputazione sub 1), la Corte d’appello di Trieste non ha adempiuto a quanto richiesto dalla Corte di cassazione, in quanto non ha fornito adeguata motivazione circa l’elemento soggettivo necessario e circa la carenza di prova dell’ascrivibilità della materiale sottrazione dei beni acquistati. Per quanto riguardo il reato sub 2), anche in tal caso la motivazione Ł carente quanto alla prova del dolo specifico, facendola coincidere con l’intenzione di non far emergere l’esistenza dei beni e dei debiti connessi: in realtà, se Ł vero che la dismissione dei beni può essere un indice della fraudolenza, Ł anche vero che la motivazione non ha evidenziato in modo adeguato la consapevolezza dell’imputato circa l’avvenuta dismissione degli stessi, così come circa la rilevanza del passivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł complessivamente infondato per le ragioni che saranno esposte di seguito.
Il primo motivo Ł da considerarsi inammissibile.
Tutto incentrato sulla doglianza globale della violazione, da parte della Corte d’Appello di Trieste, dei principi di diritto dettati dalla sentenza rescindente, il motivo Ł tuttavia generico.
BenchØ lamenti un’assenza di argomentazioni circa l’elemento soggettivo della bancarotta documentale, non contiene, tuttavia, la precisa prospettazione delle ragioni di diritto o degli elementi di fatto da sottoporre a verifica e denuncia a grandi linee l’inadeguatezza della pronuncia, senza che sia possibile enucleare quali ben determinati argomenti della sentenza si criticano.
Per vero, alla contestazione di bancarotta documentale e, dunque, anche al profilo del dolo necessario ad integrarla, Ł piø specificamente dedicato il terzo motivo del ricorso, in occasione del cui successivo esame, pertanto, saranno prese in considerazione anche le doglianze piø precisamente articolate in ordine all’elemento psicologico del reato.
Quanto al secondo motivo di ricorso, la sentenza rescindente aveva annullato la condanna per la bancarotta fraudolenta sul rilievo che la Corte territoriale, una volta affermato il mancato rinvenimento in sede di inventario fallimentare dei beni mobili acquistati da COGNOME durante il periodo in cui ricopriva la carica di amministratore, non avesse offerto alcuna motivazione circa l’elemento soggettivo del reato, limitandosi ad affermarne la sussistenza per omesso controllo da parte dell’imputato – da considerarsi una ‘testa di legno’ – sull’operato dell’amministratore di fatto.
Il ricorso censura che la sentenza impugnata non abbia posto rimedio, in sede di rinvio, al vulnus individuato dalla Quinta Sezione della Corte di cassazione.
A tal proposito, deve ritenersi, invece, che la Corte d’Appello di Trieste abbia adeguatamente provveduto a ricostruire le circostanze fattuali del coinvolgimento del ricorrente nelle vicende della società fallita, onde inferirne poi, con motivazione non censurabile, la sussistenza del necessario elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta.
I giudici di secondo grado, infatti, muovono da due dati di fatto non contestati: COGNOME acquista a titolo gratuito le quote della società e da allora se ne disinteressa, nel senso che la società resta sostanzialmente non operativa e lui stesso rimane alieno da qualsiasi adempimento obbligatorio – compresi quelli contabili – collegato alla vita sociale.
In questo contesto, l’imputato, a un certo punto, provvede personalmente – e anche questa evenienza non Ł messa in discussione – all’attivazione di numerosi contratti con operatori telefonici, che comportano l’acquisizione di telefoni cellulari e notebook, da lui
consegnati nella sede sociale, ma mai rinvenuti in seguito dalla curatela e mai pagati.
Dunque, COGNOME, ben consapevole della inattività della società e della conseguente indisponibilità di risorse societarie da destinare ad eventuali acquisti, ha ciò nondimeno attivato contratti e si Ł procurato beni, che poi non ha destinato ad attività della società ma si Ł limitato a consegnare ad altri, peraltro senza lasciare alcuna traccia della loro acquisizione al patrimonio sociale in difetto della tenuta di qualsiasi impianto contabile.
Sulla base di questi elementi, quindi, la Corte d’Appello ha ragionevolmente affermato che il ricorrente, piø volte definito in maniera indiscussa nelle varie sentenze e negli stessi ricorsi presentati nel suo interesse come ‘testa di legno’, abbia consapevolmente concorso nella piø che prevedibile sottrazione dei beni da parte dell’amministratore di fatto.
Il ricorso contrasta questa conclusione come contraddittoria e illogica, sulla base del rilievo che COGNOME, proprio in quanto ‘testa di legno’, non aveva alcuna possibilità di ‘controllare’ la gestione dell’amministratore di fatto e dunque non potrebbe rispondere di ‘omesso controllo’.
Ma l’obiezione trascura di considerare, in primo luogo, che, per come ricostruito dalla Corte d’Appello, il concorso del ricorrente ha assunto i contorni dell’omissione solo nell’ultimo segmento della condotta distrattiva, laddove invece nella prima parte si Ł concretizzato in un contributo materiale attivo arrecato alla realizzazione del fatto delittuoso.
Se, infatti, non Ł contestabile che COGNOME fosse consapevole della inattività della società e della indisponibilità di risorse economiche societarie, non v’Ł dubbio, allora, che l’acquisto di beni di numero e tipologia del tutto estranei al fabbisogno della società in quel momento storico e la loro consegna ad un terzo rispondessero ad un preventivo disegno – a cui il ricorrente partecipò materialmente e consapevolmente con una condotta inseritasi causalmente nella unitaria catena distrattiva – di procurarsi quei beni sotto lo schermo societario e destinarli poi ad un uso incompatibile con la ragione della società, previa sottrazione al suo patrimonio.
In secondo luogo, la sentenza impugnata ha, in ogni caso, fatto corretta applicazione del principio secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta, in caso di concorso ex art. 40, comma secondo, cod. pen., dell’amministratore formale nel reato commesso dall’amministratore di fatto, ad integrare il dolo del primo Ł sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale (Sez. 5, n. 50348 del 22/10/2014, COGNOME, Rv. 263225 – 01).
Sotto il profilo soggettivo, Ł sufficiente che l’amministratore di diritto abbia la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo distragga, occulti, dissimuli, distrugga o dissipi i beni sociali, la quale non può dedursi dal solo fatto che il soggetto abbia accettato di ricoprire formalmente la carica di amministratore; tuttavia allorchØ si tratti di soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico) o l’accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale) possono risultare sufficienti per l’affermazione della responsabilità penale (Sez. 5, n. 7332 del 7/1/2015, COGNOME, Rv. 262767 – 01).
Il secondo motivo, pertanto, Ł infondato e deve essere disatteso.
3. Il terzo motivo di ricorso, pur relativo al dolo della bancarotta documentale, presenta indubbi profili di contatto con il tema trattato nel secondo motivo relativo alla bancarotta fraudolenta.
Si intende dire che la sentenza impugnata ha in modo congruo valutato la gestione contabile della società nel contesto di una complessiva gestione societaria orientata ad una inerzia propedeutica all’effettuazione di operazioni distrattive.
Di conseguenza, ha individuato la ragione della deliberata inesistenza di un impianto contabile con la necessità di non permettere l’emersione di beni societari e dei debiti contratti per conseguirli, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori ovvero di procurarsi un ingiusto profitto, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali.
La motivazione Ł da ritenersi adeguata, in quanto desume il dolo specifico da una complessiva ricostruzione della vicenda, nel contesto della quale sono stati valorizzati in modo congruo una serie di elementi e di circostanze suscettibili di comprovare la valenza fraudolenta dell’omessa tenuta delle scritture contabili.
In questo modo, la Corte di Appello di Trieste ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (Sez. 5, n. 10968 del 31/1/2023, COGNOME, Rv. 284304 – 01).
Anche il terzo motivo, pertanto, deve essere disatteso.
Alla luce di quanto fin qui osservato, dunque, il ricorso Ł da considerarsi complessivamente infondato e deve perciò essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 02/05/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME