Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1141 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1141 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FIRENZE il 05/05/1967
avverso la sentenza del 10/02/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
Il Difensore NOME COGNOME del foro di FIRENZE si riporta ai motivi del ricorso e insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
Ritenuto in fatto
NOME NOME ha promosso ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze del 10 febbraio 2023, di conferma della sentenza del Tribunale di Firenze, che lo h condannato alle pene di legge, principali ed accessorie, in relazione al delitto di bancar semplice documentale, di cui agli artt. 224 e 217 comma 2 r.d. n. 267/42, ascrittogli in qua di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita il 14 settembre 2016.
Sono stati articolati, tramite difensore, 9 motivi di ricorso.
1.11 primo motivo ha lamentato vizi di motivazione in ordine all’affermazione di re dell’imputato, che avrebbe rivestito il ruolo di amministratore per circa 2 anni, in una f temporale “sotto-soglia” rispetto al “triennio” antecedente alla declaratoria di fallimento società, elemento essenziale del reato contestato; la Corte territoriale avrebbe fa riferimento non appagante a precedenti giurisprudenziali che violerebbero il principio “applicazione analogica” in malam partem ed avrebbe omesso di delineare il ruolo effettivamente svolto dall’amministratore nella commissione del reato contestato.
2.11 secondo motivo ha dedotto vizio di motivazione in relazione alla qualificazio dell’elemento soggettivo del reato. La bancarotta semplice documentale, di cui all’art. 2 comma 2 I.f. “per pacifica giurisprudenza della Suprema Corte” così si esprime testualmente il difensore – è punibile anche a titolo di colpa, ma la sentenza impugnata avrebbe riten configurabile il dolo senza considerare la doglianza difensiva, contenuta nell’atto di grava secondo la quale l’art. 217 della legge fallimentare è “una disposizione a più norme (o norm mista cumulativa)” e contiene “tante distinte incriminazioni quante sono le fattispecie”; ognuna di esse prevede uno specifico illecito “ed ognuna di queste distinte incriminazioni richiede una precisa individuazione del criterio ascrittivo, imponendo di non propendere per una scel generalizzata fondata sull’unitarietà dei reati di bancarotta”; e tanto – scrive la difesa sarebbe stato confermato da “Cass. S.U. 27.01.2011 n.21039”, che ha affermato che “più condotte di bancarotta nello stesso fallimento sono autonome e danno luogo al concorso di reati”. Secondo la difesa, l’omessa tenuta delle scritture – contestata al ricorrente – esigereb il dolo, a differenza dell’irregolare o incompleta tenuta delle stesse, compatibile anche c colpa; e – aggiunge testualmente il difensore “non ravvisandosi il dolo della incriminazione, per quanto spiegato circa la natura dell’art. 217 legge fallimentare quale norma mis cumulativa, l’imputato dovrebbe andare assolto”.
Secondo la difesa non vi è dubbio “che non ricorressero i presupposti per operare in regime di esenzione dall’IVA, non potendo (l’imputato n.d.r.) aver documentato un fatturato relativo all’esportazione, che costituisse requisito legittimante gli acquisti senza applicazione d imposta”, ma tali dati confermerebbero “una omissione connotata da colpa”; anzi “se è verosimile sostiene la difesa che la RAGIONE_SOCIALE fosse strumentalizzata quale cartiera nell’ambito di una più ampia frode fiscale finalizzata alla emissione di fa
soggettivamente false, il passaggio logico successivo è che il COGNOME quale amministratore foss sostanzialmente una “testa di legno” e che la società fosse “gestita da altri”; e, di conseguenza “anche la decisione di ampliare l’oggetto sociale altrettanto verosimilmente non avrebbe potut essere ascrivibile ad una decisione assunta con coscienza e volontà dall’amministratore, in quanto l’imputato quale spettatore silente avrebbe solo potuto verosimilmente limitarsi assistere a ciò che accadeva ed a decisioni prese da altri”.
La motivazione della sentenza impugnata, insomma, sarebbe illogica perché attribuirebbe alla ricorrenza di una frode fiscale l’elemento dimostrativo dell’elemento soggettivo del reato, c confondendo il “fine/movente dell’azione” con il “criterio ascrittivo della condotta”.
La Corte di merito non avrebbe risposto al motivo di appello volto ad evidenziar l’insussistenza del “sesto indicatore” e dell – ottavo indicatore” della “sentenza Thyssen” a sostegno della individuazione del “dolo eventuale”, inteso come “congruenza del prezzo connesso all’evento non direttamente voluto rispetto al progetto d’azione”, nel senso che scrive il difensore “anche a voler ritenere presente un progetto d’azione nella mente dell’imputato, esso non avrebbe che potuto apparire incongruente rispetto al prezzo connesso alla causazione della bancarotta ed alla ritenuta verosimile strumentalizzazione della soci agli scopi illeciti di una frode fiscale finalizzata all’emissione di fatture soggettivament E tanto dimostrerebbe l’assenza della prova “che il COGNOME ne fosse autore cosciente”. La sentenza d’appello non avrebbe spiegato perché l’imputato avrebbe corso il rischio di consumare il reato di bancarotta semplice attraverso il “risparmio economico derivante dall’omessa corresponsione dell’imposta IVA”; è dunque chiaro – secondo la difesa – che l’imputato non avrebbe affrontato il pericolo di essere processato per bancarotta “per risparmiare qualche migliaio di euro di IVA”; “pare inverosimile” chiosa la difesa – che il COGNOME, immaginando le conseguenze della propria condotta, avrebbe volontariamente scelto di omettere la tenuta della contabilità.
3.11 terzo motivo ha denunciato inosservanza della legge penale, perché la sentenza avrebbe erroneamente ritenuto la sussistenza del dolo del reato di bancarotta semplice; in realt precisa il difensore – nel reato di bancarotta documentale fraudolenta è necessaria la ricorren dell’elemento soggettivo doloso, mentre nella bancarotta semplice – scrive sempre il difensor -“è sufficiente il dolo o la colpa che sono ravvisabili quando l’agente ometta, rispettivame con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili”; qualora difetti la prova di tale volontà “ricorrerà la meno grave fattispecie di bancarotta semplice”.
4.11 quarto e il quinto motivo di ricorso si sono soffermati sul vizio di inosservanza della penale e di motivazione in ordine alla mancata applicazione della condizione di punibilità dell’art. 131 bis cod. pen., esclusa con riferimento all’entità del passivo fallimentare, avrebbe dovuto essere determinata avuto riguardo al danno patrimoniale provocato dal reato di bancarotta in base ai parametri di regola richiamati dalla giurisprudenza ai fini ravvisabilità del danno economico di rilevante entità o di speciale tenuità.
5.11 sesto motivo si è poggiato sul vizio della motivazione per quanto attiene al mancat riconoscimento delle attenuanti generiche, disatteso a causa dell’assunta entità del danno cagionato dalla condotta dell’imputato, già valutata ai fini della responsabilità me avrebbero dovuto essere apprezzate altre circostanze, come il buon comportamento tenuto dall’imputato, il breve periodo di copertura della carica e la sfavorevole congiunt economica.
6.11 settimo, l’ottavo e il nono motivo si sono appuntati sui vizi di violazione di legg motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, perché la pena irrogata sarebbe sproporzionata, trattandosi di condotta di breve durata e al più di natura colposa, perché determinazione della durata delle pene accessorie – in misura pari alla durata della pen principale – non sarebbe stata motivata e non sarebbe comunque rispettosa dei principi introdotti dalla sentenza della Corte Costituzionale n.222 del 2018.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
1.11 primo motivo è manifestamente infondato.
Il dato testuale dell’art. 217, comma secondo del r.d. n. 267/42 – peraltro riprod integralmente nell’art. 323 comma 2 del D. Lgs. n. 14 del 2019 (il Codice della crisi d’impre e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017 n. 155), in perfetta contin normativa con il medesimo – non consente la lettura attribuitale dalla difesa, circa la configurabilità del delitto di bancarotta documentale semplice quando le condotte relative al tenuta delle scritture non si siano realizzate nell’intero triennio anteriore alla sent fallimento, in quanto la norma così recita: “la stessa pena si applica al fallito che durante i tre anni precedenti alla dichiarazione del fallimento non ha tenuto i libri e le altre contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta”. L’utilizzo della preposizione avverbiale “durante” riferita al triennio mostra come il legislatore abbia in punire la condotta descritta anche se non abbia coperto tutto il periodo in oggetto. Nello ste senso è peraltro l’orientamento costante di questa Corte (sez. 5, n. 37910 del 26/04/2017, COGNOME, Rv. 271218, citata nella sentenza impugnata; Sez. 5, n. 8610 del 20/12/2011, COGNOME, Rv. 251732, citata nella sentenza impugnata; sez. 5, n.38598 del 20/06/2008, P.M. in proc. COGNOME, Rv.242018, sez. 5, n. 8932 del 09/06/2000, COGNOME, Rv. 217725, che ha puntualizzato che la possibilità di ricostruzione contabile del patrimonio del fallito è at ricognitiva che presuppone non solo che i libri e le scritture contabili siano correttamente, ma anche che essi siano tenuti con regolarità e completezza, e cioè senza omissioni o lacune, in modo da rispecchiare, fedelmente ed in maniera continuativa, la
dinamica contabile ed aziendale nel periodo di tempo preso in considerazione dalla norma incriminatrice).
2.11 secondo e il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, non sono consentiti dalla legge, sono aspecifici e manifestamente infondati.
Occorre in premessa rilevare come ci si trovi in presenza di una c.d. “doppia conforme” sull responsabilità penale, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente dalla Corte di Cassazione, costituendo un unico corpo decisionale, nel cui ambito la sentenza d’appello si richiama alla decisione del tribunale ed entrambe le sentenze d merito adottano gli stessi criteri nella valutazione delle prove (Cass. sez. 3, n.44418 del 2 Argentieri, Rv. 257595; Cass. sez. 2, n.51192 del 2019, Rv. 278368).
Mette conto poi ricordare che, per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, inammissibile il ricorso per cassazione fondato sui motivi che si risolvano nella pedisseq reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di meri quanto i medesimi, omettendo di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza impugnata, devono considerarsi non specifici e dunque soltanto apparenti (Cass. sez.2, n.42046 del 17/7/19, Boutartour, rv.277710; sez.6, n. 20377 del 2009, rv 243838; sez. 5, n. 28011 del 2013, rv. 255568; sez.2, n. 11951 del 2014, rv. 259425).
3.Ebbene, la sentenza di primo grado – pag. 3 – con inferenza razionale e logica, h sottolineato che l’imputato, regolarmente convocato per l’udienza prefallimentare ai sen dell’art. 15 I.f. e – dunque – correttamente informato della pendenza della procedura, non consegnato alcuna documentazione contabile alla curatela; che il prevenuto, divenuto titolare del capitale di rischio della società nel giugno 2014 e nominato amministratore unico in da 11 luglio 2014, non ha fornito alcuna collaborazione agli organi della procedura, non h depositato i bilanci di esercizio e le dichiarazioni tributarie per le annualità 2014,2015 e che il curatore, attraverso il “cassetto fiscale”, ha rinvenuto quattro dichiarazioni d’int fini IVA per il 2015 ed il 2016 – relative alla qualifica di esportatore abituale medesimo non avrebbe potuto formalizzare in assenza di fatturato all’esportazione e che tale precostituzione documentale, ideologicamente fasulla, deponesse per un coinvolgimento dell’attività da lui svolta in un contesto di “frodi carosello”, ulteriormente comp dall’accertato, illecito e corposo acquisto di prodotti petroliferi in regime di non imponi fini IVA, di ignota, successiva destinazione proprio a causa della totale mancanza dell’impian contabile; l’univoco compendio ricostruttivo è stato arricchito dal rilievo attinente il re mutamento dell’oggetto sociale, consentaneo all’avvento dell’impul:ato in società, transita dalla gestione e locazione d’immobili all’eterogeneo settore delle pulizie industriali e re servizi, significativamente integrato dal “commercio all’ingrosso di prodotti petrol lubrificanti e combustibili”, al quale sono invero risultate funzionali le dichiarazioni d artefatte.
Tali elementi, esaminati non atomisticamente ma nella loro intima fusione e concatenazione, sono stati valutati, con motivazione piana, giuridicamente corretta e persuasiva, come dimostrativi di “una condotta certamente commessa con coscienza e volontà” (pag.4).
Le conclusioni così rassegnate dal primo giudice sono state in toto fatte proprie dalla sentenza della Corte territoriale, che – pagg. 5 e 6 – si è testualmente espressa come debb “condividersi l’assunto del giudice di prime cure secondo il quale, nel caso di spec ricorrerebbe comunque l’elemento soggettivo del dolo. A prescindere infatti se la societ fungesse effettivamente da cartiera, deve essere esaminato il contenuto delle dichiarazion d’intenti a fini IV, già di per sé dirimente nella prospettiva dell’infondatezza dell’a difensivo. In particolare, come esposto dal curatore nel corso dell’audizione dibattimentale, dichiarazioni d’intenti in esame – finalizzate a chiedere di acquistare prodotti (nella s carburanti) senza applicazione dell’Iva – presuppongono la presentazione negli anni precedenti di dichiarazioni IVA dalle quali emerga un’attività di esportazione o comunque un’attività no soggetta ad imposta, presupposto che nella specie difettava Svolte tali considerazioni, contesto in precedenza esposto, l’omessa tenuta della contabilità da parte dell’amministratore unico è stata compiuta con coscienza e volontà avendo consentito di “mascherare” la reale natura delle operazioni di acquisto di carburante e, comunque, di fruire di un vantaggi indebito quale l’omessa corresponsione della predetta imposta che, evidentemente, sarebbe stata resa palese da una regolare tenuta della contabilità, dovendosi quindi escludere l’elemento soggettivo della colpa, ricorrendo, invece, quello del dolo”.
A fronte delle argomentazioni, ragionate e coerenti, formulate dal doppio grado di merito, ricorrente ha opposto obiezioni in parte generiche, non pertinenti e fuori fuoco, in pa finalizzate a richiedere, sostanzialmente, una non autorizzata, in sede di legittimità, ril degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e dive parametri di ricostruzione e valutazione (cfr. tra le molte SS.UU. n. 6402 del 30.4.9 Dessimone e altri, Rv. 207944) e infine critiche, nel complesso, manifestamente infondate.
L’elemento soggettivo del reato di bancarotta semplice documentale – di cui all’art. 21 comma 2 I.f. – può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, per consolida orientamento della giurisprudenza di legittimità (per tutte sez. 5, n. 2900 del 02/10/20 COGNOME, Rv. 274630) – come del resto riconosciuto dal ricorrente nel corpo del terzo motivo tra l’altro singolarmente in conflitto “interno” con quanto dedotto nel secondo motivo pronunce di merito hanno dato ampiamente conto, come detto, della ravvisabilità, nel caso concreto, dell’elemento soggettivo doloso, in serena armonia con il “criterio ascrittivo” della responsabilità penale, ripetutamente richiamato dal ricorso per cassazione ; solo assertive ed inconcludenti, per di più espresse in forma perplessa, sono le osservazioni che investono la “plausibilità” della scelta criminale dell’imputato e del tutto prive di riscontro ne processuali le proposizioni che ne sostengono un ruolo di “prestanome” per conto di figure tuttora “oscure” e solo vagamente citate dall’atto d’impugnazione.
4.11 quarto e il quinto motivo sono aspecifici e manifestamente infondati.
Il ricorrente omette di confrontarsi con la ratio decidendi della sentenza impugnata, che, per un verso, nel diniego dell’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità fatto, non si è affatto limitata a rimarcare in via esclusiva l’entità del passivo accumulato procedura fallimentare, ma ha effettuato una valutazione globale della condotta sotto il prof soggettivo e oggettivo, sottolineando la peculiarità decettiva, rispetto al passato, della ome tenuta della contabilità nel periodo di amministrazione dell’imputato, strumentale a perpetrazione di illeciti di natura fiscale e, più in generale, la mala gestio a lui attribuibile nel raffronto con le iniziative adottate dalla pregressa compagine amministrativa, che, in presenz di una perdita emergente dall’ultimo bilancio regolarmente depositato, ha provveduto a ricostituire una condizione di equilibrio patrimoniale significativamente “stravolta” nella del suo subentro.
Tali argomentazioni sono in linea con l’insegnamento della sentenza delle Sezioni Unite Tushaj (n. 13681 del 25/02/2016), le quali hanno chiarito che il giudizio sulla tenuità del fatto ri una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133 cod.pen. primo comma, richiedendosi un equilibrata considerazione di tutte le particolarità della fattispecie concreta, e non solo di attinenti alla entità dell’aggressione del bene giuridico protetto, e tanto sul fondamen rilievo che il disvalore penale del fatto, per assegnare allo stesso l’attributo della part tenuità, dipende dalla concreta manifestazione del reato, che ne segna perciò i confini.
L’art. 131-bis cod.pen., infatti, fa riferimento testuale alle modalità della condotta, d potendosi inferire – continuano le Sezioni Unite – che tale disposizione non si interessa t della condotta tipica, bensì ha riguardo alle modalità di estrinsecazione del comportamento, anche in considerazione delle componenti soggettive della condotta stessa, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente bisogno di pena.
In altre parole, i criteri indicati nel primo comma dell’art. 131-bis cod.pen. sono cumul quanto al giudizio finale circa la particolare tenuità dell’offesa ai fini del riconoscimen causa di non punibilità, e alternativi quanto al diniego (sez. 5, n. 16537 del 11/01/2023, de 18/04/2023, Leveque, non nnassimata), nel senso che l’applicazione della causa di non punibilità in questione è preclusa dalla valutazione negativa anche di uno solo di essi ( invero, secondo il tenore letterale dell’art. 131-bis cod.pen. nella parte del primo comma, rilevante, la punibilità è esclusa quando per le modalità della condotta e per l’esiguità danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità (Sez. 3 n. 893 del 28/06/2017, 272249; Sez. 6 n. 55107 del 08/11/2018, Rv. 274647; Sez. 3 n. 34151 del 18/06/2018, Rv. 273678; Sez. 7, Ord.n. 10481 de/ 19/01/2022, Rv. 283044).
In definitiva, come correttamente puntualizzato dalla Corte territoriale, l’apprezzamento d profilo riguardante le modalità del comportamento tenuto dall’imputato è sufficiente al dinieg di per sé solo, del riconoscimento della “particolare tenuità del fatto”.
Per altro verso, si rivelano improprie anche le doglianze difensive che si concentrano sul valorizzazione del “danno” cagionato dalla condotta del prevenuto, perché le massime giurisprudenziali ivi richiamate riguardano la configurabilità stricto sensu delle circostanze aggravanti o attenuanti di cui all’art. 219 I.f., evidentemente governate da paramet ermeneutici distinti ed inconciliabili con quelli sottesi alla delibazicne della sussiste presupposti di cui all’art. 131 bis cod. pen., che non esigono il vaglio dell’entità del pregi economico cagionato ai creditori dal reato di bancarotta, ma un esame del fatto storico, e de suoi effetti, nel suo complesso, che certamente consente di estendere il perimetro del giudizi anche alla quantificazione del passivo, non indifferente, accumulato ed insinuato nell procedura concorsuale.
5.11 sesto motivo di ricorso, che investe la mancata concessione delle attenuanti generiche, non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato in presenza (si veda pag. 8 e 9 della sentenza impugnata, a riguardo, in particolare, della gravità della manca ostensione di tutte le scritture contabili obbligatorie, della rilevanza del debito comples dell’accertato confezionamento di false dichiarazioni d’intento, della connotazione globalmente illecita che ha permeato la fase gestoria di pertinenza dell’imputato) d i una motivazione esente da evidenti illogicità, anche considerato il principio affermato da questa Corte, secondo cui n è necessario che il giudice di merito, nel motivare la reiezione della richiesta di concessi delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorev dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a quell decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazi
6.11 settimo, l’ottavo e il nono motivo di ricorso, inerenti al dato dosinnetrico della pena, generici e manifestamente infondati.
Il motivo di ricorso che contesta l’eccessività della pena non è consentito dalla legge in sede legittimità ed è manifestamente infondato perché, secondo il consolidato indirizzo dell giurisprudenza la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudi merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione può dar conto dell’impiego criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equ “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (ex multis, Cass. sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME e altro, Rv.271243).
Nella specie, l’onere argomentativo del giudice – in relazione al quale le lagnanze del ricor hanno formulato soltanto rilievi indeterminati e di stile GLYPH è stato adeguatamente assolto attraverso un congruo appiglio agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti, anch considerazione della irrogazione di una pena contenuta, tendente al minimo di legge (si veda,
in particolare pag. 4 della sentenza di primo grado, pag. 8 e 9 della sentenza impugnata) e ben potendo, l’organo giudicante, in particolar modo quando gli indicatori di riferimento si plurimi – come avvenuto nel caso in scrutinio – valutare gli stessi elementi una prima volta negare le attenuanti generiche e una seconda volta per calibrare il trattamento sanzionatorio (Cass. sez. 6, n. 14414 del 19/12/1989, COGNOME, Rv. 185648).
Quanto, da ultimo, alla determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari, sentenza del giudice di prime cure, a differenza di quanto affermato dal ricorrente, ha forn sufficiente contezza dei parametri discrezionali utilizzati, di cui all’art. 133 cod. pen. punto 3.3, ove, peraltro, la parte motiva è agganciata ai criteri sceverati al punto 3.2 adesione ai principi fissati dalla sentenza delle Sez.. U. n. 28910 del 28/02/2019, Surac cristallizzandola, peraltro, nella stessa, modesta misura della pena principale – e la sente di secondo grado non vi si è soffermata in quanto la violazione di legge non è stata dedott con i motivi di appello (cfr., in particolare, il terzo motivo di gravame, che non cen specificamente, il profilo della irrogazione delle sanzioni accessorie comminate in primo grado) essa rivelandosi così vieppiù inammissibile in questa sede, a norma dell’art. 606 comma 3 cod. proc. pen..
7.Alla declaratoria d’inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volon quindi a colpa, del ricorrente: Corte Cost. n.186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7/11/2023
Il consigliere estensore
Il Presidente