Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17321 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17321 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a LUCCA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/01/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Procuratore Generale, COGNOME, che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata quanto alla sospensione condizionale della pena e della non menzione e l’inammissibilità nel resto;
uditi i difensori:
AVV_NOTAIO DEL PIANO, per la parte civile, ha chiesto la conferma della sentenza impugnata anche riguardo alle statuizioni civili ed ha depositato conclusioni scritte alle quali si è riportato e nota spese delle quali ha chiesto la liquidazione;
lAVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha insistito insiste per l’accoglimento del ricorso;
l’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che si è riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza al vaglio odierno del Collegio è stata deliberata il 20 gennaio 2023 dalla Corte di appello di Firenze, che ha riformato la decsione del Tribunale di Lucca che aveva condannato alla pena di due anni e due mesi di reclusione ed al risarcimento del danno a favore della parte civile NOME COGNOME, tratto a giudizio per bancarotta fraudolenta distrattiva in relazione al fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarato dal Tribunale di Lucca il 2 febbraio 2016, di cui l’imputato era stato prima amministratore e poi liquidatore.
La riforma in appello è consistita:
nella riqualificazione in bancarotta preferenziale della porzione di condotta relativa al pagamento a titolo di compenso di 17.360 euro D r lo svolgimento della funzione di amministratore, somma percepita nel 2014 in parte da NOME COGNOME e in parte erogata da quest’ultimo al precedente amministratore NOME COGNOME nonostante l’insolvenza della società;
nella riqualificazione in bancarotta semplice da operazione imprudente ex art. 217, comma 1, n. 2), legge fall. della bancarotta fraudolenta distrattiva originariamente ritenuta in relazione alla cessione del magazzino della società del valore di 120.000 euro alla società RAGIONE_SOCIALE, che poi non aveva pagato il dovuto.
nella rimodulazione in mitius del trattamento sanzionatprio in anni uno di reclusione.
Avverso detta decisione ricorre l’imputato con il ministero dei difensori di fiducia, che hanno affidato le proprie doglianze a tre motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla condanna per bancarotta semplice.
La scelta della Corte di appello di richialificare la bancarotta fraudolenta patrimoniale in bancarotta semplice sarebbe errata – si legge nel ricorso perché la difesa, nell’atto di appello, aveva sostenuto anche la piena legittimità dell’agire del prevenuto; a questo riguardo, la parte osserva che gli stessi indicatori (riassunti a pag. 4 del ricorso) che hanno condotto la Corte distrettuale a riqualificare il fatto in bancarotta semp[ce, avrebbero dovuto portare alla conclusione che l’operato dell’amministratore era stato, appunto, pienamente legittimo in quanto coerente con l’oggetto sociale e con le esigenze di conduzione della società; di contro l’inadempimento da parte della società RAGIONE_SOCIALE è un evento del tutto estraneo alla sfera volitiva dell’imputato e, pertanto, non può essergli addebitato. Scrive, altresì, il ricorrente che le garanzie dell’operazione che sono mancate e che, invece, la Corte di appello avrebbe preteso sono elementi solo accessori ed eventuali rispetto all’obbligazione principale.
Il ricorrente prosegue contestando che l’operazione abbia “consumato” il patrimonio dell’impresa, come richiesto dalla norma incriminatrice, dal momento che il valore pattuito con la RAGIONE_SOCIALE corrispondeva a quello del bene/magazzino ceduto e il corrispettivo della vendita era destinato a comporre il patrimonio sociale, qualora fosse stato incamerato.
Da altro punto di vista, il ricorso – ragionando anche sull’art. 224 legge fall. – sostiene che rientrerebbero nel novero delle operazioni rilevanti ex art. 217 solo quelle assolutamente estranee all’oggetto sociale.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla bancarotta preferenziale concernente i compensi degli amministratori.
La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che i 418 euro mensili corrispondessero a un compenso dell’amministratore, mentre si trattava di un mero rimborso spese, che non costituiva un credito dell’amministratore nei confronti della società, ma una spesa corrente della stessa e, semmai, una forma di ricostituzione del patrimonio personale dell’imputato, che aveva anticipato somme nell’interesse dell’impresa rappresentata.
In secondo luogo, il ricorrente lamenta che, nella sentenza, non sarebbero stati individuati i creditori pretermessi o danneggiati
2.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata applicazione della sospensione condizionale della pena e della non menzione, benefici non concessi nonostante l’incensuratezza, la risalenza dei fatti e la rimodulazione in mitius della pena e richiesti nelle conclusioni dell’appello rispetto ai quali vi sarebbe stata anche la possibilità, per la Corte di merito, di procedere di ufficio ex art. 597, comma 5, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato e va, pertanto, respinto.
Il primo motivo di ricorso – che contesta la condanna per il reato di cui all’art. 217, comma 1, n. 2), legge fall. sub specie della vendita dell’intero magazzino alla società estera RAGIONE_SOCIALE – è nel suo complesso infondato benché esso presenti anche aspetti di aspecificità.
1.1. Non ha pregio la tesi del ricorrente secondo cui, poiché la vendita del magazzino alla RAGIONE_SOCIALE era un’operazione attuata nell’interesse della società e coerente con il suo oggetto sociale, ciò escluderebbe la rilevanza penale della condotta, così come riqualificata dalla Corte territoriale. L’argomento difensivo,
infatti, non vale a sostenere la tesi della liceità penale della condotta, dal momento che la direzione di quest’ultima nel senso del perseguimento dell’interesse sociale non serve ad escluderne in termini assoluti la rilevanza penale quanto, piuttosto, ad impedire che operazioni rischiose vengano ricondotte, piuttosto che alla bancarotta semplice, alla bancarotta fraudolenta per distrazione o per dissipazione. In questo senso va ricordato che questa Corte ha ritenuto non ricorrere l’ipotesi di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma primo, n. 2, legge fall., integrata da operazioni di manifesta imprudenza, ma quella più grave della bancarotta fraudolenta, allorché si tratti di operazioni che comportino un notevole impegno sul patrimonio sociale, essendo quasi del tutto inesistente la prospettiva di un vantaggio per la società, mentre le operazioni realizzate con imprudenza costitutive della fattispecie incriminatrice della bancarotta semplice sono quelle il cui successo dipende in tutto o in parte dall’alea o da scelte avventate e tali da rendere palese a prima vista che il rischio affrontato non è proporzionato alle possibilità di successo, fermo restando che, in ogni caso, si tratta pur sempre di comportamenti realizzati nell’interesse dell’impresa (Sez. 5, n. 35716 del 09/06/20:15, COGNOME, Rv. 265871; Sez. 5, n. 6462 del 04/11/2004, dep. 2005, COGNOME ed altro, Rv. 231394); si è altresì sostenuto che la fattispecie di bancarotl:a fraudolenta per dissipazione si distingue da quella di bancarotta semplice per consumazione del patrimonio in operazioni aleatorie o imprudenti, sotto il profilo oggettivo’ per l’incoerenza, nella prospettiva delle esigenze dell’impresa, delle operazioni poste in essere e, sotto il profilo soggettivo, per la consapevolezza dell’autore della condotta di diminuire il patrimonio della stessa per scopi del tutto estranei alla medesima (Sez. 5, n. 47040 del 19/10/2011, Presutti, Rv. 251218; Sez. 5, n. 34979 del 10/09/2020, COGNOME, Rv. 280321). Il principio è stato ancora di recente ribadito, nel senso che la consumazione del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti integra il delitto di bancarotta semplice nel caso in cui tali operazioni si inquadrino nell’ambito di condotte tenute comunque nell’interesse dell’impresa, configurandosi, invece, il delitto di bancarotta fraudolenta nel caso in cui l’agente abbia dolosamente perseguito un interesse proprio o di terzi estranei all’impresa (Sez. 5, n. 7417 del 01/02/2023, Vecchio, Rv. 284230). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2. Ferma restando, quindi, l’irrilevanza a discarico della tesi secondo cui l’imputato aveva perseguito l’interesse dell’impresa, il ricorso è altresì infondato in quanto “liquida” il tema della mancata prestazione di garanzie da parte della società acquirente NOME con un’argomentazione inconferente, secondo cui questa sarebbe una pattuizione esterna al contratto. Ebbene, il Collegio reputa che la sentenza impugnata abbia, invece, interpretato razionalmente tale
evenienza come sintomo dell’imprudenza dell’imputato, giacché l’ha collocata tra gli indicatori della colpa che l’avevano caratterizzato, laddove COGNOME, in una fase in cui la ARAGIONE_SOCIALE. aveva già maturato un grosso debito verso l’Erario, aveva venduto il magazzino alla società estera RAGIONE_SOCIALE senza effettuare alcun accertamento circa la solvibilità di quest’ultima e senza pretendere garanzie, benché si trattasse di un’impresa con c:ui non aveva mai avuto rapporti commerciali e della cui affidabilità, quindi, non aveva avuto prova.
1.3. In ordine alla questione della “consumazione del patrimonio” a cui accenna il ricorso – in tesi non avvenuta nonostante l’operazione “incriminata” – la doglianza è generica e, comunque, si basa su un presupposto fallace, ossia che l’operazione aveva comunque creato una posta attiva per la società, costituita dal credito verso NOME, trascurando che il presupposto della contestazione è proprio che questo credito non era stato soddisfatto e che, per prevenire il riverbero negativo sul patrimonio dell’impresa che poi vi era stato, l’imputato avrebbe dovuto effettuare delle verifiche preliminari sull’affidabilità del nuovo contraente e pretendere da quest’ultimo delle garanzie.
1.4. Quando, infine, il ricorrente ragiona sui rapporti tra gli artt. 217 e 224 legge fall., esso è generico perché non lascia comprendere, con la dovuta chiarezza, se formuli una censura circa l’applicabilità della disposizione incriminatrice agli amministratori di società. In ogni caso, a questo proposito appare utile un richiamo ai persuasivi argomenti della sentenza Vecchio sopra citata, secondo cui «Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, premesso che il combinato disposto degli artt. 224 e 217 I. fall, prevede il reato di bancarotta semplice, o impropria, in cui l’attività criminosa ha ad oggetto il patrimonio sociale, mentre non assume alcuna rilevanza il patrimonio personale dei soggetti titolari delle qualifiche indicate dalla disposizione non pu ritenersi tuttavia che il rinvio operato dalla prima disposizione non sia applicabile alle ipotesi di cui all’art. 217, primo comma n.2, I. fa/I.: la circostanza che quest’ultima disposizione usi il possessivo “suo” – riferendosi al patrimonio che l’imprenditore individuale abbia consumato in notevole parte in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti – non è di per sè sufficiente per ritenere la norma non applicabile alle società, essendo evidente che il legislatore, mediante il rinvio dell’art. 224 I. fall., ha inteso far riferimento al patrimoni della società e non certo ai patrimoni personali degli amministratori, direttori, sindaci o liquidatori, che non hanno rilevanza alcuna nelle ipotesi di bancarotta impropria, sicché ben può ritenersi ipotizzabile in astratto il reato di bancarotta semplice impropria nel caso in cui l’amministratore e i soggetti ad esso assimilati dall’art. 224, abbiano consumato una notevole parte del patrimonio sociale in
operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti (Sez. 5, n. 894 del 05/12/1996, dep. 1997, COGNOME, Rv. 206910).
Il terzo motivo di ricorso – che lamenta la mancata concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione – è infondato dal momento che tali benefici non erano stati specificamente richiesti nell’atto di appello né tale richiesta è stata formulata in sede di conclusioni scritte dinanzi alla Corte di merito. Quanto al primo aspetto, infatti, l’allora appellante avrebbe dovuto invocare espressamente i benefici nel gravame, dal momento che chiedeva una modifica in bonam partem della sentenza impugnata che avrebbe potuto portare la pena – come poi è avvenuto – al di sotto del limite di legge; a tal proposito, la richiesta, che si apprezza in calce all’atto di appello, di «ogni consequenziale provvedimento di legge» non è un’indicazione sufficiente ed univoca tale da ritenere elficamente stimolato il potere di uflcio della Corte di appello di cui all’art. 597, ultimo comma, cod. proc. pen. s’i da legittimare la parte a dolersi della mancata statuizione con ricorso per cassazione. A questo riguardo, il Collegio intende dare seguito alla giurisprudenza di questa Corte a Sezioni Unite, secondo cui «In tema di sospensione condizionale della pena, fermo l’obbligo del giudice d’appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione di detto beneficio in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito» (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che la Corte liquida in 3500,00 euro, oltre accessori di legge.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 26/03/2024.