Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 42635 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 42635 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/09/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TODI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/11/2023 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta del Procuratore generale, COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
lette le conclusioni scritte dei difensori, AVV_NOTAIO ( nell’interesse di NOME) e dell’AVV_NOTAIO ( nell’interesse di NOME COGNOME), i quali con separata memoria hanno insistito chiedendo l’accoglimento del ricorso e valutarsi l’intervenuta prescrizione per il reato di bancarotta documentale, già riqualificato in bancarotta semplice.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, emessa in data 21 novembre 2023, la Corte di Appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Terni del 25/05/2021, riqualificato l’addebito di bancarotta fraudolenta documentale ascritto ad entrambi gli imputati nella meno grave ipotesi delittuosa di cui agli artt. 217 e 224 legge fall., e riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 219, ult. comma, legge fall. in favore di entrambi gli imputati, prevalente quanto all’COGNOME sulla contestata aggravante della pluralità dei fatti, assolto COGNOME NOME dall’addebito di bancarotta per distrazione per non avere commesso il fatto, ha rideterminato il trattamento sanzionatorio irrogato all’imputato COGNOME NOME in anni due di reclusione, e a COGNOME NOME in mesi sei di reclusione, stabilendo la durata delle pene accessorie di legge in misura corrispondente all’entità della pena principale. Con il beneficio della sospensione condizionale della pena per il COGNOME, e revoca del medesimo beneficio, precedentemente concesso, nei confronti di COGNOME.
IL Tribunale di Terni aveva ritenuto NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del reato di bancarotta fraudolenta documentale e del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ( in relazione alla distrazione della somma di euro 17.666,51, corrispondente ai compensi percepiti dalla società fallita, a titolo di contratti di locazione di immobili, incassati personalmente dall’amministratore COGNOME) ) e condannato COGNOME – quale amministratore unico dal 14/10/2013 e fino al 14/02/2014 e successivamente, fino alla dichiarazione di fallimento, quale Presidente del Consiglio di Amministrazione- e COGNOME – quale consigliere di amministrazione e quale amministratore delegato dal 14/02/2014 al fallimento della società RAGIONE_SOCIALE– alla pena di anni 3 e mesi 2 di reclusione ciascuno.
GLYPH Avverso la sentenza indicata ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per il tramite del proprio difensore.
2.1. Con primo motivo, censura violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod.proc. pen. in relazione all’art. 131 bis cod. pen, per la mancata valutazione, a seguito della riqualificazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale in bancarotta semplice, dei presupposti di cui all’art. 131 bis cod.pen. e per non avere provocato il contraddittorio, sul punto, in ordine alla possibile applicazione della norma. La Corte di appello avrebbe dovuto valutare, comunque, anche d’ufficio la sussistenza, o meno, dei presupposti di cui all’art. 131 bis cod.pen. Ha chiesto, in ogni caso, l’applicazione della causa di non punibilità e che, a tal fine, siano valorizzate le medesime circostanze che hanno indotto la Corte territoriale ad una diversa qualificazione giuridica della condotta oltre che a ritenere configurabile la circostanza attenuante di cui all’art. 219 della legge Fall.. Evidenzia, sul punto, che l’unica condotta ascritta al RAGIONE_SOCIALE., a titolo di bancarotta documentale, è stata
i
la mancata regolare tenuta della contabilità nell’ultimo periodo di vita della società quando la medesima non svolgeva più alcuna attività economica senza alcun pregiudizio per le ragioni dei creditori.
2.2. Con secondo motivo censura la violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 516,519,521 e 522 cod.proc.pen.: per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e mancata instaurazione del contraddittorio a seguito della riqualificazione del reato contestato in bancarotta semplice documentale, in ordine ai benefici applicabili al fatto riqualificato. Deduce, in particolare, che gli artt. 516, 519, 520 e 521 cod.proc.pen. non possono ritenersi conformi all’art. 6, par. 4, della direttiva 2012/13/UE laddove interpretati nel senso di distinguere tra modifiche “fattuali” dell’imputazione rispetto a modifiche “solo giuridiche”. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza con rinvio alla Corte di appello; in via subordinata che venga proposta questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia sull’Unione Europea per verificare se l’art. 521 cod.proc.pen.- come interpretato dalla giurisprudenza nazionale, consentendo una riqualificazione giuridica dell’originaria imputazione senza una preventiva informazione all’imputato- osti all’art. 6, par.4, della Direttiva 2012/13 UE del Parlamento europeo; ovvero che ai sensi e per gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 269/2017, venga sollevata questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 111, 117 Cost. dell’art. 521 cod.proc.pen., ove interpretato in senso non conforme alle norme comunitarie applicate dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza 9 novembre 2023, BK, causa C-175/22, in relazione all’art. 6, par. 4, della direttiva 2012/13/UE.
2.3. Con terzo motivo, in via subordinata rispetto ai precedenti due motivi, censura la violazione dell’art. 606 lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’art. 111 Cost., e agli artt. 432 e 438 commi 4 e 6 ter cod. proc.pen. e all’art. 135 disp. att. cod.proc.pen., per la mancata decisione in ordine al motivo di appello concernente la mancata ammissione al giudizio abbreviato, chiesta in primo e secondo grado. Il GUP avrebbe dovuto valutare la richiesta di rito abbreviato solo con riferimento alla prova per testi e sarebbe stato ben possibile, per il P.M., chiedere sul punto prova contraria: successivamente anche il Tribunale e la Corte di appello avrebbero dovuto valutare la richiesta sulla base dei medesimi presupposti.
Il difensore di NOME COGNOME ha articolato quattro motivi di ricorso.
3.1. Con primo motivo denuncia vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione all’art. 131 bis cod.pen, deducendo, in particolare, che gli unici movimenti della società fallita, per l’anno 2017, erano documentati da n. 12 fatture passive, ed una attiva, tutte regolarmente consegnate al curatore, il quale aveva
ben potuto ricostruire la situazione contabile. Non sarebbe configurabile, peraltro, alcun dolo in capo all’imputato, in quanto la società, nel periodo in considerazione, non era più dotata di computer sui quali registrare la contabilità e la condotta è stata, comunque, inoffensiva.
3.2. Con secondo motivo censura vizi di violazione di norme processuali, degli artt. 516,519,521 e 522 cod.proc.pen. per mancata instaurazione del contraddittorio a seguito della riqualificazione della condotta in bancarotta semplice documentale, e vizi di motivazione.
3.3. Con terzo motivo denuncia vizio di violazione di legge, oltre che vizio di motivazione, in relazione al reato di bancarotta distrattiva, in quanto non sussistente e per la mancata derubricazione nel reato di bancarotta preferenziale, oltre che per l’omessa applicazione dell’art. 131 bis cod.pen. IL credito dell’imputato derivava dall’attività professionale svolta dal medesimo in virtù del contratto di consulenza legale, stipulato nel 2014 e rinnovato tacitamente ogni anno: credito documentato attraverso le relative fatture. Dal luglio 2015 al febbraio 2017, l’imputato non ha percepito alcun compenso ed anche il rimborso spese originariamente concordato è risultato non più idoneo a coprire le spese effettivamente sostenute. La condotta contestata non ha, peraltro, determinato alcun impoverimento patrimoniale né alcuna violazione della par condicio. A fronte di un passivo superiore a quattro milioni di euro, è stato accertato un attivo superiore a 15 milioni di euro e la stessa Corte di appello ha ritenuto applicabile l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità. Tale situazione avrebbe dovuto indurre la Corte di appello a escludere la punibilità della condotta ai sensi dell’art. 131 bis cod.pen. Manca il dolo del reato contestato in quanto la società era solida e l’imputato ha agito nella convinzione di un suo acquisto da parte degli originari proprietari.
3.4. Con quarto motivo denuncia vizio di violazione dell’art. 168, commi 1 e 2, cod.pen. per mancanza dei presupposti per la disposta revoca della sospensione condizionale della pena, concessa con precedente sentenza.
4.11 ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, per la trattazione dei ricorsi presentati fino al 30 giugno 2024.
Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
I difensori degli imputati, AVV_NOTAIO, nell’interesse di NOME, e AVV_NOTAIO, nell’interesse di NOME COGNOME, hanno depositato memorie insistendo nell’accoglimento del ricorso e chiesto valutarsi l’intervenuta
prescrizione per il reato di bancarotta documentale, già riqualificato in bancarotta semplice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso proposto nell’interesse dell’imputato NOME NOME è infondato.
1.2.E’ infondato il primo motivo che lamenta l’omesso proscioglimento dell’imputato, ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen.. La difesa si duole del difetto di motivazione della sentenza in ordine alla mancata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., ritenendone sussistere i presupposti per il concomitante concorrere di due circostanze: avendo la Corte di appello diversamente qualificato la condotta contestata come bancarotta fraudolenta documentale in termini di bancarotta semplice; ed essendo intervenuta, nelle more del giudizio di appello, una modifica dell’art. 131 bis cod.pen. per effetto del d.lgs. n. 150 del 2022 che ha reso applicabile l’istituto a reati punti con pena detentiva «non superiore nel minimo a due anni», modificando il criterio precedente che riservava l’applicazione della causa di esclusione della punibilità ai reati puniti con pena «non superiore nel massimo a cinque anni».
Nel giudizio di appello, la questione non risulta essere stata posta- in relazione alla possibile e prevedibile riqualificazione della contestata bancarotta fraudolenta documentale in bancarotta semplice.
La giurisprudenza di questa Corte è univoca nel ritenere che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod.pen., non può essere dedotta per la prima volta in cassazione se la parte non l’ha invocata prima, laddove la norma fosse già in vigore al momento della presentazione dell’appello o delle conclusioni di secondo grado, ostandovi il disposto di cui all’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen., non gravando, peraltro, sul giudice di merito, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità (Sez. 2, n. 21465 del 20/03/2019, Sennmah, Rv. 275782; Sez. 3, n. 23174 del 21/03/2018, COGNOME, Rv. 272789; Sez. 5, n. 57491 del 23/11/2017, COGNOME, Rv. 271877; Sez. 3, n. 19207 del 16/03/2017, COGNOME, Rv. 269913; Sez. 7, Ordinanza n. 43838 del 27/05/2016, COGNOME, Rv. 268281; Sez. 6, n. 20270 del 27/04/2016, COGNOME, Rv. 266678). La suddetta regola non può subire eccezioni per il fatto che il reato originariamente contestato, la bancarotta fraudolenta documentale, non consentisse detta formula definitoria perché punito con pena superiore nel massimo a quella prevista dall’art. 131 bis, comma 1, cod. pen.
dovendosi rilevare che la parte avrebbe ben potuto anche articolare una richiesta di riqualificazione del reato addebitato agli imputati in bancarotta semplice, soprattutto alla luce della modifica della norma intervenuta nel corso del giudizio di appello.
Una diversa opzione ermeneutica avrebbe l’effetto ( inammissibile) di imporre al Giudice di merito un dovere motivazionale sostanzialmente illimitato, non essendo evidentemente sostenibile che l’obbligo motivazionale debba estendersi, d’ufficio e senza alcuno stimolo di parte, a tutte le alternative decisorie che possano prospettarsi sulla scorta di una riqualificazione in melius disposta in sentenza ( Sez. 5, n. 2727 del 13/12/2019, Rv. 278557 – 01).
1.3.E’, altresì, infondata la doglianza posta a fondamento del secondo motivo – con la quale si prospetta una violazione del diritto al contraddittorio in relazione all’intervenuta riqualificazione giuridica (in melius) della condotta, effettuata dalla Corte di appello.
Una lettura unitaria degli artt. 516,519,520 e 521 cod. pen. impone di ritenere che: mentre le modifiche fattuali devono essere formalmente contestate all’imputato, prima della sentenza del giudice, e, ove sia il giudice a riscontrare la diversità del fatto al momento della deliberazione della sentenza, deve disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero; viceversa, in ipotesi di diversa qualificazione giuridica del fatto, non è imposto al giudice l’onere di darne preventiva informazione all’imputato, essendo possibile che la riqualificazione giuridica avvenga direttamente con la pronuncia della sentenza ( essendo previsto un onere di preventiva informazione soltanto per questa Corte ai sensi dell’art.611, comma 1 sexies, inserito dall’art. 35, comma 1, lett, a), n.2) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, e successive modifiche).
1.4. La Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza 11 dicembre 2007, COGNOME contro Italia, ha censurato tale assetto asimmetrico che accomuna il mutamento in iure dell’imputazione a quello in facto, sotto il profilo delle garanzie difensive da riconoscere all’imputato ai sensi dell’art. 6, paragrafi 1 e 3, lettere a) e b), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), considerando, in particolare, come il diritto dell’accusato ad essere informato del contenuto dell’accusa rappresenti una condizione essenziale dell’equità del processo e debba comprendere non solo la conoscenza dei motivi dell’accusa, ossia dei fatti materiali che gli vengono attribuiti, ma anche, e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti, ponendo l’accento sull’importanza della informazione e sulla opportunità che gli imputati abbiano avuto di esercitare i loro diritti di difesa su questo punto in maniera concreta ed effettiva (ex plurimis anche Corte EDU,
sentenza 7 novembre 2019, COGNOME contro Georgia; sentenza 15 gennaio 2015, COGNOME contro Slovenia; sentenza 24 luglio 2012, D.M.T. e RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.I. contro Bulgaria; sentenza 3 maggio 2011, NOME contro Grecia).
Nel caso COGNOME, tuttavia particolare, la riscontrata violazione dell’art. 6, paragrafi 1 e 3, lettere a) e b), CEDU era stata ritenuta in relazione ad una riqualificazione del fatto – da corruzione semplice (art. 519 cod. pen.) a corruzione in atti giudiziari (art. 519-ter cod. pen.) – operata, “a sorpresa” dalla Corte di cassazione direttamente con la sentenza definitiva, senza, dunque, che l’imputato avesse avuto alcuna possibilità di interloquire su tale diversa possibile qualificazione giuridica della sua condotta: situazione alla quale il legislatore risulta oggi avere ovviato, come detto, con la previsione contenuta nel comma 1 sexies dell’art. 611 cod.proc.pen., inserito dall’art. 35,connma 1, lett. a) n 2), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150.
1.5. A partire dalla sentenza COGNOME, la Corte Costituzionale è intervenuta sul tema ritenendo inammissibili le relative questioni, di volta in volta sollevate con riferimento, agli artt. 3, 24, 111, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., rilevando, dapprima con la sentenza n. 103 del 2010 e successivamente con la sentenza n. 192 del 2020, come le eccezioni sollevate tendessero ad ottenere una pronuncia additiva non costituzionalmente obbligata, in materia riservata alla discrezionalità del legislatore e sottolineando, infine, come l’omologazione del sistema ai dicta della giurisprudenza europea debba ritenersi affidata all’attività interpretativa della giurisprudenza nazionale ordinaria.
1.6. Secondo il prevalente insegnamento di questa Corte, è possibile che l’informazione in ordine alla diversa qualificazione giuridica del fatto sia anche non preventiva, purchè prevedibile e che possa essere effettuata direttamente in sentenza senza essere causa di nullità, in quanto l’imputato può difendersi impugnando la decisione ( Sez. 4, n. 49175 del 13/11/2019; Sez. 6, n. 49054 del 23/06/2017).
In particolare, è stato ritenuto che, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, non è configurabile la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia, conformemente all’art. 111 Cost. e all’art. 6 CEDU, come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile.
La prevedibilità in concreto del diverso nomen iuris della condotta ascritta e la mancanza di pregiudizio per le prerogative della difesa definiscono il perimetro entro il quale deve mantenersi il rapporto tra accusa e sentenza nei termini consentiti dall’art. 521 cod. proc. pen., dovendosi escludere la violazione del principio di correlazione «qualora il nucleo essenziale del fatto contestato non abbia subito un significativo mutamento e la possibilità di una diversa
qualificazione giuridica sia stata nota o, comunque, prevedibile per l’imputato e non abbia determinato in concreto alcuna lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da tale modifica scaturiscono» (Sez. 3, n. 18146 del 10/03/2021, A., Rv. 281608 – 01) e a condizione che «l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione» (Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2014, COGNOME, Rv. 261052 – 01; Sez.6, n. 11956 del 13/03/2017, Rv.269655; pure Sez. 4, n. 49175 del 13/11/2019, D., Rv. 277948 – 01). Di contro, è prospettabile una lesione dei diritti della difesa solo quando sia configurabile «un concreto e non meramente ipotetico regresso sul piano dei diritti difensivi, attraverso un mutamento della cornice accusatoria che abbia effettivamente comportato una novazione dei termini dell’addebito tali da rendere la difesa menomata proprio sui profili di novità che da quel mutamento sono scaturiti» (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264438 – 01).
1.7. In definitiva non è fondata la doglianza legata alla prospettazione di una possibile violazione del principio del fair trial così come declinato dall’art. 6 CEDU. Anche per la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in definitiva, è possibile e consentita la riqualificazione giuridica del fatto quando non risulti la necessità di disporre una rinnovazione totale o parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che: a) sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata; b) la riqualificazione giuridica non comporti una modifica “in peius” del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione; c) il condannato sia stato messo in grado di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto (Sez. 2, n. 38049 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260585; Sez. 2, n. 2884 del 16/1/2015, COGNOME, Rv. 262285; Sez. 4, n. 23186 del 13/4/2016, COGNOME, Rv. 268995; Sez. 2, n. 39961 del 19/7/2018, COGNOME, Rv. 273922).
Tutte le superiori condizioni sono rispettate nel caso in esame, in cui la Corte territoriale ha proceduto ad una riqualificazione giuridica della condotta ritenendola integrare la fattispecie di bancarotta semplice documentale, anziché quella di bancarotta fraudolenta documentale, tenuto conto della materialità della condotta che rende “prevedibile” la diversa, e meno grave, qualificazione giuridica come possibile epilogo decisorio rispetto all’iniziale accusa. Invero, nel rispetto della regola di sistema desumibile dalla pronuncia della Corte EDU COGNOME c. Italia del 11 dicembre 2007 ( in tema di correlazione tra accusa e sentenza), la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non ha determinato alcun vulnus delle prerogative difensive né alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, essendo rimasto consentito all’imputato di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione, ed avendo, infine, la diversa qualificazione
giuridica GLYPH comportato, GLYPH in GLYPH definitiva, GLYPH un GLYPH trattamento GLYPH in GLYPH melius (Sez. 5, n. 36157 del 30/04/2019, Rv. 277403 – 01; Sez. 5, n. 19380 del 12/2/2018, Adinolfi, Rv. 273204; Sez. 2, n. 17782 del 11/4/2014, COGNOME, Rv. 259564; Sez. 3, n. 2341 del 7/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 25413). Infine, il ricorso non ha neppure indicato quale concreto pregiudizio sarebbe stato subìto dalla linea di difesa.
1.8.Non è fondata neppure la doglianza concernente la presunta nullità della sentenza impugnata, per contrasto della stessa con l’affermazione contenuta nella sentenza della Corte di Giustizia dell’U.E. del 9.11.2023, BK (causa C175/22) secondo cui «l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13/UE deve essere interpretato nel senso che osta a una giurisprudenza nazionale che consente a un giudice che si pronuncia nel merito di un procedimento penale di adottare una qualificazione giuridica dei fatti contestati diversa da quella inizialmente adottata dal pubblico ministero senza informare tempestivamente l’imputato della nuova qualificazione prospettata in un momento e in condizioni che gli consentano di predisporre efficacemente la propria difesa e, pertanto, senza offrire a tale persona la possibilità di esercitare i diritti della difesa in mod concreto ed effettivo in relazione a tale nuova qualificazione»; essendo stata, inoltre, ritenuta non rilevante la circostanza che «detta qualificazione non sia tale da comportare l’applicazione di una pena più severa rispetto al reato per il quale la persona era inizialmente perseguita» (punto n.50). La medesima sentenza afferma, anche, tuttavia, che « una norma nazionale che consente a un giudice che si pronuncia nel merito di un procedimento penale di riqualificare il reato non è idonea, di per sé, a mettere in discussione la presunzione di innocenza garantita all’articolo 3 della direttiva 2016/343, o l’imparzialità di tale giudice ai sens dell’articolo 47, secondo comma, della Carta, e ciò neanche qualora la nuova qualificazione sia stata adottata di sua iniziativa» ( punto 55) e che «gli articoli 3 e 7 della direttiva 2016/343 nonché l’articolo 47, secondo comma, della Carta devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che consente a un giudice che si pronuncia nel merito di un procedimento penale di adottare, di propria iniziativa o su proposta dell’imputato, una qualificazione giuridica dei fatti contestati diversa da quella inizialmente adottata dal pubblico ministero, purché tale giudice abbia tempestivamente informato l’imputato della nuova qualificazione prospettata, in un momento e in condizioni che gli hanno consentito di predisporre efficacemente la propria difesa, e abbia quindi offerto a tale persona la possibilità di esercitare i diritti della difesa in modo concreto ed effettivo in relazione alla nuova qualificazione così adottata » (punto 61). Il giudizio sulla conformità del diritto nazionale alla direttiva europea viene incentrato sulla possibilità offerta alla persona “di esercitare i diritti della difesa Corte di Cassazione – copia non ufficiale
modo concreto ed effettivo in relazione alla nuova qualificazione così adottata” e tale conclusione rinvia all’insegnamento consolidato di questa Corte secondo cui «quando il fatto venga diversamente qualificato dal giudice di appello senza che l’imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, la garanzia del contraddittorio – prevista dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 CEDU così come interpretato dalla Corte EDU – resta comunque assicurata dalla possibilità di contestare la diversa definizione mediante il ricorso per cassazione e, qualora la nuova qualificazione dell’addebito abbia inciso sulle strategie difensive, l’imputato dovrà essere restituito nella facoltà di esercitare pienamente il diritto di difesa, anche attraverso la proposizione di richieste di prova rilevanti in relazione al diverso contenuto dell’accusa » (Sez. 2, n. 47413 del 17/10/2014, Grasso, Rv. 26096001).
Nel caso in esame, peraltro, la difesa si è limitata a prospettare, in termini astratti, un contrasto tra la sentenza impugnata e la sentenza della Corte Giustizia dell’U.E. del 9.11.2023, BK (causa C-175/22) senza evidenziare al contempo una specifica e concreta lesione delle prerogative difensive.
1.9. D’altra parte la stessa Corte di Giustizia dell’U.E., con sentenza del 13.6.2019, COGNOME, C-646/17 aveva, in precedenza, considerato che la nozione di equità de/procedimento concerne l’esame del procedimento penale considerato nel suo complesso, alla luce delle specifiche caratteristiche e circostanze del caso, sicché non tutti gli eventi che si verificano nell’ambito di un procedimento penale comportano una violazione dell’equità del procedimento. Pur rappresentando gli specifici obblighi di cui alla direttiva 2012/13/UE una specifica espressione di come debba essere garantita l’equità del procedimento, tuttavia l’articolo 6, paragrafo 4 o altre disposizioni della direttiva non potrebbero essere interpretate in modo così estensivo da ammettere il riesame di ogni singolo aspetto della procedura penale, anche se distante dallo specifico obbligo sancito dalla stessa direttiva 2012/13/UE, in quanto, in tal modo, la stessa direttiva cesserebbe di essere uno strumento di armonizzazione minima di specifici elementi dei diritti della difesa., con il rischio di aprire al riesame di qualsiasi profilo della procedura penale nazionale.
1.10. È inammissibile la doglianza posta dal difensore a fondamento del terzo motivo di ricorso, concernente la mancata ammissione dell’imputato al rito abbreviato dal momento che la doglianza non si confronta la motivazione esaustiva spesa, sul punto, dal Tribunale ( condivisa dalla Corte territoriale) secondo cui la richiesta di rito abbreviato condizionato- previa produzione di copiosa documentazione oltre che esame di un testimone- avrebbe di fatto determinato una vera e propria attività istruttoria “in nulla difforme, per complessità e tempi, da quella ordinaria del giudizio dibattimentale”. I rilievi difensivi non colgono nel segno dovendosi ribadire l’insegnamento di questa Corte secondo cui se
l’imputato chiede di procedere con giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria, il Giudice accoglie l’istanza solo se “l’integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili” (art. 438 c.p.p., comma 5) ( Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Rv. 259932 – 01)
2.È infondato anche il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato NOME COGNOME.
2.1.È inammissibile il primo motivo di ricorso con cui si censura vizio di motivazione in ordine all’elemento soggettivo richiesto per la fattispecie di bancarotta semplice e alla mancata applicazione dell’art.131 bis cod.pen. La Corte territoriale ha confermato la condanna del ricorrente per il delitto di bancarotta distrattiva in relazione alle somme incassate dalla società fallita, a titolo di compenso per contratti di locazione di immobili, diversamente qualificando la condotta consistita nell’omissione della tenuta dei libri e scritture contabili per la insussistenza di elementi da cui inferire che l’imputato avesse agito con il fine di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, ritenendola integrare una bancarotta semplice, in quanto sorretta dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture.
È principio giurisprudenziale incontestato che la bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono per il diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo: ai fini dell’integrazione della bancarotta semplice (art. 217, comma secondo, I. fati.), l’elemento soggettivo può indifferentemente essere costituito dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, dì tenere le scritture, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale prevista dall’art. 216, comma primo, n. 2, I. fall., l’elemento psicologico deve essere individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende dei patrimonio dell’imprenditore (Sez.5, n. 32051 del 24/6/2014, rv 260774; sez. 5, 21872 del 25/3/2010). L’elemento differenziale consiste, quindi, nella consapevolezza, o meno, dell’agente che l’irregolare tenuta della contabilità determinerà l’impossibilità di ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari, ovvero renderà la ricostruzione notevolmente più difficoltosa, e nell’accettazione di tale eventualità. L’indagine dell’interprete va focalizzata, quindi, sulla volontà dell’agente(Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, dep. 2019,Rv. 27463001;Sez. 5, n. 11390 del 09/12/2020,dep. 2021, Rv. 280729 – 01).
Nel caso in esame, tuttavia, la doglianza difensiva tende ad ottenere una non consentita rivalutazione nel merito e mira a scardinare la tenuta del
ragionamento probatorio seguito dai Giudici di merito; inoltre è legata al presupposto che la condotta non abbia impedito la ricostruzione della situazione economico-patrimoniale della società, senza, tuttavia, considerare che la sentenza impugnata ha evidenziato la dichiarazione del curatore fallimentare sulla difficoltà di ricostruzione della situazione patrimoniale della società fallita ( nonostante l’emissione di fatture), sul mancato transito delle somme incassate quali canoni di locazione sui conti della società oltre che sull’instaurazione di un giudizio civile nei confronti del medesimo ricorrente per il recupero delle somme.
Relativamente alla ulteriore doglianza difensiva concernente la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod.pen. si rinvia a quanto detto al par. 1.2.
2.2. È infondato il secondo motivo di ricorso con cui si deduce vizio di violazione di legge per la mancata instaurazione del contraddittorio prima della riqualificazione della condotta in bancarotta semplice documentale dovendosi richiamare, sul punto, quanto già considerato al par. 1.3., sulla base dell’insegnamento di questa Corte in ordine alla possibilità di una diversa qualificazione giuridica del fatto anche non preventiva, purchè prevedibile e non in peius, effettuata direttamente in sentenza, in considerazione della facoltà riconosciuta all’imputato di difendersi impugnando la decisione ( Sez. 4, n. 49175 del 13/11/2019; Sez. 6, n. 49054 del 23/06/2017).
2.3. Deve ritenersi inammissibile il terzo motivo di ricorso con cui si chiede la derubricazione della condotta di bancarotta distrattiva in bancarotta preferenziale. La sentenza impugnata ha ricostruito le circostanze fattuali sulle quali poggia la contestazione mettendo in evidenza che l’imputato ha incassato personalmente alcuni canoni in relazione ad immobili concessi in locazione a terzi, dalla società fallita, e sottolineando che- nonostante il medesimo possa avere ritenuto di avere diritto a tali somme in relazione a compensi dovutigli come amministratore delegato e pur sussistendo con la società fallita un contratto di consulenza legale – la condotta realizzata integra la fattispecie contestata in quanto era mancata una delibera della società che autorizzasse i terzi a versare i canoni nelle mani dell’imputato e ciò era avvenuto in un contesto temporale in cui era evidente lo stato di dissesto della società che, nel 2014, aveva dovuto deliberare la copertura delle perdite attingendo alle riserve e al capitale, passato da euro 1.000.000,00 a poco più di euro 38.000,00. La sentenza impugnata ha fatto applicazione del principio secondo cui «integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, perché, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in
quanto, sebbene certo nell'”an”, non è determinato anche nel “quantum” (Sez. 5, Sentenza n. 30105 del 05/06/2018, Rv. 273767; si vedano anche Sez. 5, Sentenza n. 17792 del 23/02/2017, Rv. 269639; Sez. 5, Sentenza n. 50836 del 03/11/2016, Rv. 268433; Sez. 5, Sentenza n. 46959 del 27/10/2009, Rv. 245399) » ( Sez. 5, n. 3191 del 16/11/2020, Rv. 280415 – 01).
Inoltre, « configura il delitto di bancarotta per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale, la condotta del socio amministratore di una società di persone che prelevi dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti dal medesimo vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, senza l’indicazione di elementi che ne consentano un’adeguata valutazione, atteso che il rapporto di immedesimazione organica che si instaura tra amministratore e società, segnatamente di persone (oltreché di capitali, alla luce di Sez. U. Civ. n. 1545 del 2017, Rv. 642004-03), non è assimilabile né ad un contratto d’opera né ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato che giustifichino di per sé il credito per il lavoro prestato, dovendo invece l’eventuale sussistenza, autonoma e parallela, di un tale rapporto essere verificata in concreto attraverso l’accertamento dell’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti all’immedesimazione organica» (Sez. 5, n. 1410 del 12/02/2020, Rv. 279103-01).
La sentenza di primo grado, peraltro, ha rilevato che la somma di euro 17.000 rimasta priva di titolo giustificativo era stata calcolata “al netto del giustificato” ovvero tenendo conto della giustificazione dell’imputato di averla trattenuta a titolo di rimborso spese, per come da medesimo dichiarato in sede di esame.
2.2.In ordine agli ulteriori rilievi, sulla mancanza di prova di un impoverimento patrimoniale della società conseguente alla condotta dell’imputato, va ribadito l’insegnamento di questa Corte secondo cui «Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento.»( Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, Rv. 262741 – 01). Inoltre, «la condotta sanzionata dall’art. 216 legge fall. – e, per le società, dall’art. 223, comma 1 – non è quella di avere cagionato lo stato di insolvenza o di avere provocato il fallimento, bensì quella di depauperamento dell’impresa, consistente nell’averne destinato le risorse ad impieghi estranei all’attività dell’impresa medesima. La fattispecie è disegnata come reato di pericolo e, più propriamente, reato di pericolo concreto; l’imprenditore deve considerarsi sempre tenuto ad evitare l’assunzione di condotte tali da esporre a possibile pregiudizio le ragioni dei creditori, non nel senso di doversi astenere da comportamenti che abbiano in sè margini di potenziale perdita economica, ma da quelli che comportino diminuzione patrimoniale senza trovare giustificazione nella fisiologica gestione dell’impresa (Sez. 5, n. 38325de1
03/10/2013, Rv. 260378; e per un’ampia disamina del problema Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017 COGNOME e altro, Rv. 27076301)» ( Sez. 5, n. 18517 del 22/02/2018, Rv. 18517). Stante la dichiarata natura di reato di pericolo della bancarotta distrattiva, risulta assertiva l’affermazione relativa al mancato dispiegarsi del rischio del depauperamento del patrimonio sociale tenuto conto, dal punto di vista della materialità della condotta, dell’avvenuta sottrazione di una somma non certo esigua ( pari a più di 17 mila euro) avvenuta in un momento in cui si era già palesato lo stato di dissesto, Per tali ragioni, la prognosi postuma di concreta messa in pericolo del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, non è esclusa dall’entità della somma sottratta, che pure avrebbe potuto, in astratto, essere idonea a sostenere una parte dei debiti della fallita con i terzi. Peraltro, sarebbe irrilevante la prospettazione di una dimensione di particolare tenuità della condotta, in quanto preclusa dall’editto sanzionatorio previsto per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, anche dopo l’entrata in vigore della più favorevole disciplina dell’art. 131-bis cod. pen. (ad opera del d.lgs. n. 150 del 2022), calibrata su un limite minimo di pena (e non più, come in precedenza, sul massimo) non superiore ai due anni, limite da cui il delitto di cui all’art. 216 I. fall. esorbita.
È, inoltre, infondata l’affermazione concernente la sussistenza di un automatico rapporto tra l’asserita esiguità della somma contestata come distratta e la mancanza di dolo del reato; dolo che, invece, proprio per la concreta pericolosità della condotta, ancorchè di non particolare entità, è configurabile nella sua forma generica data dalla consapevole, mera volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/3/2016, Passarelli, Rv. 266805), senza necessità, peraltro, di consapevolezza dello stato d’insolvenza e dello scopo di recare pregiudizio ai creditori, come invece sembra prospettare il ricorrente.
2.3. È, infine infondato l’ultimo motivo di ricorso con cui la difesa si duole della erronea applicazione dell’art. 168, comma 1, n. 2 cod. pen. in relazione all’intervenuta revoca del beneficio della sospensione condizionale concessa con sentenza della medesima Corte di Appello del 24/10/2017, irrevocabile dal 11/01/2019.
L’art. 168, comma 1 n. 2, cod. pen., prevede la revoca di diritto della sospensione condizionale della pena nel caso di condanna sopravvenuta rispetto alla concessione del beneficio ma che scaturisca da condotte illecite tenute dal medesimo soggetto in epoca antecedente rispetto alla erogazione della pena condizionalmente sospesa. In tale evenienza, laddove la seconda condanna relativa a fatti commessi anteriormente cumulata alla pena condizionalmente già
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sospesa, conduca al superamento delle soglie di ammissibilità al beneficio, si dovrà disporre la revoca della già disposta sospensione condizionale.
La revoca del beneficio risulta disposta dalla Corte di appello essendo il reato oggetto dell’odierno giudizio commesso “in un momento precedente a quello in cui la sentenza della Corte di appello di Perugia che lo aveva condannato alla pena di un anno di reclusione è divenuta definitiva” e, al momento della revoca, la condanna (oggi divenuta irrevocabile) risulta intervenuta nel quinquennio dal passaggio in giudicato della sentenza che ha corittesso il beneficio.
Nella fattispecie in esame ricorre il presupposto dell’anteriorità del reato successivamente giudicato da valutarsi con riferimento alla data in cui diviene irrevocabile la sentenza che concede il beneficio, e non a quella di commissione del reato al quale essa si riferisce (ex multis, Sez. 1, n. 607 del 10(12/2015, dep. 2016, Loiero, Rv. 265724; Sez. 1, n. 35563 del 10/11/2020, Salamina, Rv. 280056). L’interpretazione letterale dell’art. 168, comma 1) n. 2) cod.pen.,in particolare il mero richiamo ad “un’altra condanna per un delitto anteriormente commesso” induce a ritenere, peraltro, non necessario che la condanna per il reato anteriormente commesso sia irrevocabile già nel momento in cui viene dichiarata la revoca.
Diversamente opinando, si rischierebbe di giungere non solo ad incertezze applicative circa il periodo di “osservazione”, ma anche ad ingiustificate disparità di trattamento, giacché la revoca della sospensione condizionale della pena o l’estinzione del reato ex art. 167 cod. pen. non dipenderebbero più solo dalla volontà del soggetto interessato, ma sarebbero ancorate alla minore o maggiore celerità di definizione del processo per il secondo reato.
In conclusione entrambi i ricorsi devono essere rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10/09/2024.