Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17236 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17236 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 09/09/1975
avverso la sentenza del 04/06/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
Lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Lette le conclusioni scritte e le successive memorie di replica, pervenute rispettivamente in data 31 gennaio e 12 febbraio 2025, del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME nell’interesse della ricorrente, la quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 17 maggio 2022 il Tribunale di Pordenone ha condannato NOME COGNOME alla pena di giustizia per il reato di bancarotta patrimoniale semplice, nella sua qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del 10 ottobre 2019 per avere determinato un aggravio del dissesto astenendosi dal richiedere tempestivamente il fallimento.
La Corte di appello di Trieste con sentenza del 4 giugno 2024 ha parzialmente riformato la pronuncia di primo grado, rideterminando la pena e confermando nel resto.
Avverso siffatta decisione ha proposto ricorso l’imputata con atto sottoscritto dal difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articolando i motivi di censura di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge con riferimento alla sussistenza della bancarotta patrimoniale semplice.
La Corte territoriale ha erroneamente ritenuto che l’imputata rispondesse della condotta contestata dal momento che la colpa grave deve essere desunta in concreto da una provata e consapevole omissione.
Va escluso il nesso di causalità e la sussistenza del reato qualora l’imprenditore abbia coltivato concreti progetti di ristrutturazione aziendale e di ripresa seppure con esiti infausti. Non è sufficiente la semplice attesa nel richiedere il fallimento per la configurabilità della fattispecie.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge processuale in ordine alla richiesta di rinnovazione dibattimentale.
La difesa lamenta la omessa motivazione dell’ordinanza di revoca delle prove testimoniali; egualmente omessa la risposta rispetto alla richiesta di rinnovazione istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen.
2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge per mancata assunzione di una prova decisiva.
Non sono stati escussi dai giudici di merito testimoni che avrebbero potuto condurre quantomeno al ragionevole dubbio in relazione alla penale responsabilità dell’imputata.
2.4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in merito all’art. 131 bis cod. pen. e al trattamento sanzionatorio.
La particolare tenuità del fatto può essere rilevata di ufficio in ogni stato e grado. Nel caso di specie il giudice di primo grado ha quantificato il danno avendo riguardo all’asserita perdita di capitale senza tenere conto del credito che la società vantava nei confronti della proprietà dell’immobile con conseguente riduzione dell’aggravamento del dissesto.
Era necessario dunque rimettere al giudice civile la quantificazione del danno e ridurre l’ammontare delle spese liquidate, riconoscendo la condizione di non punibilità di cui all’art.131 bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta nel suo complesso infondato.
1.11 primo motivo è infondato.
L’art.217, comma 1, n.4, legge fall. stabilisce che è punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell’articolo 216 della stessa legge, ha aggravato il proprio dissesto,
astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa.
1.1. Il delitto di bancarotta semplice da mancata tempestiva richiesta di fallimento mira ad evitare che l’esercizio continuato dell’impresa, anche a fronte di una situazione di obiettiva impossibilità di far fronte alle proprie obbligazioni, possa prolungare lo stato di perdita.
La giurisprudenza di questa Corte ha univocamente affermato che nel reato di bancarotta semplice, la mancata tempestiva richiesta di dichiarazione di fallimento da parte dell’amministratore della società è punibile se dovuta a colpa grave che può essere desunta, non sulla base del mero ritardo nella richiesta di fallimento, ma in concreto, da una provata e consapevole omissione (Sez. 5, n. 18108 del 12/03/2018, COGNOME, Rv. 272823; Sez. 5, n. 38077 del 15/07/2015, COGNOME, Rv. 264743; Sez. 5, n. 43414 del 25/09/2013, Pg in proc. COGNOME e altri, Rv. 257533).
Siffatta posizione non contrasta con l’orientamento secondo cui la norma incriminatrice non richiede comportamenti ulteriori che concorrano con la mancata richiesta di fallimento ed il conseguente aggravamento del dissesto, anche solo per effetto del mero proseguimento dell’attività di impresa (Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013, Viale, Rv. 254986; Sez. 5, n. 28609 del 21/04/2017, COGNOME, Rv. 270874 – 01).
La presenza nella norma dell’attributo “altra” che qualifica il grado della colpa (grave) immediatamente dopo la descrizione della condotta appena indicata ha comportato un ulteriore interrogativo: se cioè il requisito della colpa grave si riferisca solo alle altre condotte identificate come causalmente orientate all’aggravamento del dissesto, ovvero se esso connoti in realtà l’intero complesso dei fatti riconducibili alla previsione incriminatrice in esame, compresa pertanto anche la condotta di omessa o ritardata richiesta di fallimento.
Se, cioè, la gravità della colpa debba o meno ritenersi presunta laddove il fallimento non sia tempestivamente richiesto dall’imprenditore in stato di insolvenza.
Le pronunzie di questa Corte hanno escluso che possa presumersi la gravità della colpa nella ritardata richiesta di fallimento atteso che il ritardo nell’adozione di siffatta decisione da parte dell’imprenditore potrebbe essere ricollegato ” a una vasta gamma di dinamiche gestionali, che varia dall’estremo dell’assoluta noncuranza per gli effetti del possibile aggravamento del dissesto a quello dell’opinabile valutazione sull’efficacia di mezzi ritenuti idonei a procurare nuove risorse” ( Sez.5, n.18108/18 cit.).
1.2. La ulteriore circostanza per la quale il legislatore qualifichi quale «altra grave colpa» le condotte diverse da quella di ritardato fallimento non implica necessariamente che quest’ultima sia intesa datlegislatore come manifestazione tipica di colpa grave.
Piuttosto la tardiva richiesta di fallimento assume la consistenza di un’omissione penalmente rilevante solo allorquando sia oggetto di una scelta caratterizzata da colpa di livello grave.
1.3. Nel caso di specie, la Corte territoriale, ha operato corretta applicazione di questi principi.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la sentenza impugnata non ha collegato la responsabilità dell’imputata alla semplice circostanza del ritardato deposito della domanda di fallimento, ma ha individuato una serie di circostanze concrete rivelatrici di un comportamento imprudente ai fini della sussistenza della consapevole omissione come richiesta dalla giurisprudenza.
In particolare, la situazione di dissesto era già ravvisabile dall’esame della situazione contabile alla data del 30 settembre 2019; il bilancio provvisorio evidenziava un drastico calo del fatturato nell’ultimo semestre 2018, una consistente riduzione del margine operativo, la presenza di debiti esigibili per un rilevante ammontare entro l’esercizio successivo. Nel maggio 2018 infatti si era interrotto il rapporto con il principale cliente della società.
A fronte di una così evidente sofferenza patrimoniale l’imputata proseguiva nell’attività di impresa:
omettendo di pagare i canoni di locazione alla proprietaria dell’immobile senza che vi fosse alcuna prova documentale di un accordo compensativo tra il mancato pagamento dei canoni e i costi dalla Snitko sostenuti per il ripristino dell’immobile a seguito di un incendio verificatosi nell’anno 2017;
incardinando una serie di trattative alla ricerca di nuovi clienti o per la cessione delle quote ad una società (RAGIONE_SOCIALE) per svariati mesi senza alcuna garanzia di buon esito.
Si tratta di elementi, quelli ora descritti, ad avviso del collegio, da cui desumere la piena conoscenza da parte dell’imputata dello stato di decozione in cui versava l’impresa.
A fronte di siffatto oggettivo stato di crisi in cui versava la società, le iniziativ intraprese dalla imputata si caratterizzano per una assoluta sottovalutazione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, e per condotte che hanno causalmente condotto ad un aggravamento del dissesto connotate da una manifesta imprudenza.
Il secondo e il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente in ragione della stretta connessione delle censure, risultano manifestamente infondati.
La prova di cui si lamenta la mancata ammissione in sede di appello, infatti, non presenta il carattere di decisività richiesto dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen.: la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, infatti, attesa l presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. Un., n. 12602 del 17/12/2015, (2016), COGNOME, Rv. 2668200).
La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, ex art. 603, comma secondo, cod. proc. pen., è doverosa in caso di nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, salvo il limite costituito da richieste di prove vietate dall legge o manifestamente superflue o irrilevanti; diversamente, nell’ipotesi contemplata dall’art. 603, comma primo, cod. proc. pen., la rinnovazione è subordinata alla condizione che il giudice ritenga, nell’ambito della propria discrezionalità, che i dati probatori già acquisiti siano incerti e che l’incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisività (Sez. 2, n. 31065 del 10/05/2012, COGNOME, Rv. 253526; Sez. 2, n. 3458 del 01/12/2005, COGNOME, Rv. 233391).
Anche in relazione alla mancata assunzione di una prova decisiva, la violazione non può essere validamente invocata quando la finalità della richiesta probatoria consista nell’acquisizione di un ulteriore mezzo di prova al fine di giungere ad una diversa valutazione degli elementi acquisiti nell’ambito dell’istruttoria dibattimentale.
Nel caso in esame, i giudici di merito hanno motivato sulla completezza del materiale istruttorio e sull’assenza del carattere di decisività delle prove di cui la difesa ha chiesto l’acquisizione, sottolineando la valenza dimostrativa degli elementi di prova a carico ed escludendo quindi i presupposti per la rinnovazione ex art. 603 c.p.p.
Il quarto motivo di ricorso risulta manifestamente infondato alla luce del principio secondo cui, in tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all’art. 606, comma 3, c.p.p., se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, né sul giudice di merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa
causa di esclusione della punibilità (Sez. 5 , n. 4835 del 27/10/2021, dep.2022,
COGNOME, Rv. 282773)
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma in data 18 febbraio 2025
Il consi liere estensore
Il Presidente