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Bancarotta semplice colpa grave: la Cassazione annulla

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per bancarotta semplice, evidenziando la necessità di una motivazione rigorosa per dimostrare la colpa grave dell’amministratore che ritarda la richiesta di fallimento. La Corte ha sottolineato che il giudice di merito deve spiegare chiaramente perché la condotta rientri nella fattispecie che richiede la colpa grave (art. 217 l. fall.) anziché in quella basata sull’inosservanza di obblighi di legge (art. 224 l. fall.), non potendo la colpa grave essere desunta dal solo ritardo.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Fallimentare, Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta semplice colpa grave: quando la motivazione fa la differenza

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 38136/2024 offre un’importante lezione sulla distinzione tra le diverse forme di bancarotta e sulla necessità di una motivazione rigorosa da parte dei giudici. Il caso analizzato riguarda la bancarotta semplice per colpa grave, un reato che si configura quando un amministratore, con una negligenza macroscopica, aggrava il dissesto della società omettendo o ritardando la richiesta di fallimento. La Suprema Corte ha annullato una condanna proprio per la carenza di motivazione su questo punto cruciale, stabilendo principi chiari per la sua configurabilità.

I Fatti di Causa

L’amministratore unico di una società cooperativa, dichiarata fallita nel 2018, era stato inizialmente condannato in primo grado per bancarotta fraudolenta. In appello, la Corte territoriale aveva riqualificato i fatti, escludendo il dolo e riconoscendo una fattispecie meno grave: la bancarotta semplice per aver aggravato il dissesto astenendosi dal richiedere il fallimento, secondo l’art. 217, comma 1, n. 4 della legge fallimentare.

Tuttavia, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato. Secondo la difesa, la condotta doveva essere inquadrata nella diversa fattispecie di bancarotta semplice prevista dall’art. 224, n. 2 della legge fallimentare, legata all’inosservanza di specifici obblighi di legge. Soprattutto, la difesa contestava la mancanza di una qualsiasi motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dall’art. 217, ovvero la colpa grave.

La distinzione cruciale nella bancarotta semplice per colpa grave

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella netta distinzione tra due ipotesi di bancarotta semplice che, pur sembrando simili, poggiano su presupposti psicologici diversi:

1. Art. 217, co. 1, n. 4, l. fall.: Punisce chi aggrava il dissesto astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento. L’elemento soggettivo richiesto è la colpa grave generica, derivante da imprudenza, negligenza o imperizia di particolare entità.
2. Art. 224, n. 2, l. fall.: Punisce gli amministratori che aggravano il dissesto non ottemperando agli obblighi imposti dalla legge. In questo caso, l’elemento soggettivo è la colpa specifica, che consiste nella semplice violazione di una precisa norma di legge (ad esempio, l’art. 2447 c.c. che impone la convocazione dell’assemblea in caso di perdita del capitale sociale).

La Corte ha ribadito che, per configurare il reato di bancarotta semplice per colpa grave, non è sufficiente accertare il semplice ritardo nella richiesta di fallimento. È necessario che la condotta omissiva sia il frutto di una provata e consapevole scelta, una negligenza macroscopica che dimostri una grave noncuranza delle sorti dell’impresa.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, definendo la motivazione della sentenza d’appello “del tutto lacunosa”. Il giudice di secondo grado, pur avendo correttamente derubricato l’accusa da fraudolenta a semplice, non ha adempiuto al suo onere di spiegare adeguatamente perché la condotta dell’amministratore rientrasse nell’ipotesi della colpa grave e non in quella della colpa specifica.

In particolare, la Corte d’Appello avrebbe dovuto:

a) Spiegare le ragioni per cui la condotta era riconducibile all’art. 217 (colpa grave) piuttosto che all’art. 224 (colpa specifica), come richiesto dalla difesa.
b) Dimostrare in modo compiuto e specifico l’esistenza dell’elemento soggettivo della colpa grave, che non può essere presunta ma deve emergere da elementi concreti che vanno oltre il mero ritardo.

Senza questa analisi approfondita, la condanna risulta viziata. Pertanto, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello di Torino per un nuovo giudizio che dovrà uniformarsi ai principi di diritto enunciati.

Conclusioni

Questa sentenza è un monito fondamentale per i giudici di merito. La qualificazione di un fatto come bancarotta semplice per colpa grave richiede un’indagine accurata e una motivazione specifica sull’elemento psicologico del reato. Non basta constatare l’aggravamento del dissesto e il ritardo nella dichiarazione di fallimento; è indispensabile provare che tale ritardo sia stato causato da una negligenza di particolare entità, una vera e propria omissione consapevole e sconsiderata. In assenza di tale prova, la condotta potrebbe rientrare in altre fattispecie o addirittura non essere penalmente rilevante. La decisione riafferma il principio di legalità e la necessità di un accertamento rigoroso di tutti gli elementi costitutivi del reato, a tutela delle garanzie dell’imputato.

Qual è la principale differenza tra la bancarotta semplice ex art. 217, n. 4 e quella ex art. 224, n. 2 della legge fallimentare?
La differenza fondamentale risiede nell’elemento psicologico. L’art. 217, n. 4 richiede la “colpa grave” (una negligenza macroscopica e generica) nell’aggravare il dissesto ritardando il fallimento. L’art. 224, n. 2, invece, si basa sulla “colpa specifica”, che consiste nella violazione di precisi obblighi imposti dalla legge.

Il semplice ritardo nel richiedere il fallimento è sufficiente per configurare la colpa grave?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la colpa grave non può essere desunta dal mero ritardo. Deve essere provata in concreto, dimostrando che l’omissione della richiesta di fallimento è stata una scelta consapevole e sconsiderata da parte dell’amministratore, non una semplice negligenza.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza in questo caso?
La Corte ha annullato la sentenza perché la motivazione del giudice d’appello era “del tutto lacunosa”. Il giudice non ha spiegato adeguatamente né perché la condotta rientrasse nella fattispecie della colpa grave (art. 217) piuttosto che in quella della violazione di obblighi di legge (art. 224), né ha fornito una prova specifica e concreta della sussistenza della colpa grave stessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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