Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37195 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37195 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 25/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FIRENZE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/11/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME COGNOME Il PG conclude chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME NOME DEL FORO DI FIRENZE in qualità di sostituto processuale dell’avvocato COGNOME NOME del foro di FIRENZE nomina depositata all’odierna udienza, in difesa della parte civile COGNOME NOME QUALE RAGIONE_SOCIALE si riporta come da conclusioni scritte e deposita all’odierna udienza unitamente alla nota spese.
L’avvocato COGNOME NOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME NOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso GLYPH
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 798/2024 del 24/11/2023, dep. 09/01/2024, la Corte di cassazione, Sezione quinta penale, annullava, limitatamente alla determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari, la sentenza 03/05/2022 della Corte di appello di Firenze, dichiarando inammissibile nel resto i ricorsi, tra cui, per quanto di interesse, quello proposto da NOME COGNOME, dichiarato responsabile – quale consigliere di amministrazione della società fallita, dal 15 aprile 1998 al 10 aprile 2008, nonché di amministratore di fatto del gruppo societario di fatto “RAGIONE_SOCIALE“, del quale faceva parte anche la società “RAGIONE_SOCIALE“- del reato, commesso in concorso con COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, di bancarotta fraudolenta per distrazione in relazione alla “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita il 5 febbraio 2014. Più precisamente, i suddetti imputati sono stati ritenuti responsabili dell’avvenuta distrazione della somma di euro 2.600.000,00, mediante le operazioni collegate alla stipula di un contratto preliminare che obbligava la “RAGIONE_SOCIALE” ad acquistare da COGNOME NOME e COGNOME NOME il 70% delle quote della “RAGIONE_SOCIALE“.; operazioni prive di valide ragioni economiche ed effettuate al solo fine di attribuire al COGNOME e al COGNOME la somma di euro 2.600.000,00.
Ha proposto ricorso straordinario per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia e procuratore speciale AVV_NOTAIO, deducendo un unico articolato motivo, di seguito riassunto entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorrente, con il ricorso straordinario in esame, deduce la mancata lettura e disamina critica della prove allegate, oggetto di espresso richiamo nei ricorsi per cassazione proposti nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, in quanto poste a base di specifiche censure sub specie di carenza, manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione nonché violazione di legge, afferenti la sussistenza di pretese condizioni ostative al riconoscimento della cd. bancarotta riparata.
L’errore di fatto in cui è incorsa la Suprema Corte consiste nell’aver qualificato come non adeguatamente documentata in atti la circostanza che NOME COGNOME avesse, in epoca antecedente il RAGIONE_SOCIALE, reintegrato il patrimonio sociale in termini ampiamente eccedenti l’importo della distrazione di cui al capo A) dell’imputazione, e comunque tali da beneficiare l’intero ceto creditorio.
La decisione della Suprema Corte di Cassazione si fonda sulla negazione di un fatto, l’intervenuto abbattimento delle principali poste debitorie della fallita ad opera
di COGNOME, e non soltanto di quella in favore della Banca di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la cui sussistenza e veridicità era invece pacificamente documentata.
La principale censura prospettata dalle difese COGNOME e COGNOME, nel ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 03/05/2022, era fondata sulla ritenuta non sussistenza di tutti i requisiti della cosiddetta bancarotta riparata: la doglianza è stata respinta dal giudice di legittimità sulla base di una palese svista percettiva, ovvero dalla mancata consultazione di atti allegati o richiamati specificamente nei ricorsi proposti nell’interesse dei suddetti imputati.
Il ricorrente ripercorreva, con ampi richiami testuali, il corrispondente motivo di gravame avanzato con atto di appello dal coimputato COGNOME, il quale aveva fornito una dettagliata ed analitica illustrazione degli esborsi dal medesimo sostenuti al fine di reintegrare il patrimonio della fallita in termini ampiamente eccedenti l’importo della presunta distrazione contestata ed in epoca di circa due anni antecedente la dichiarazione di RAGIONE_SOCIALE; veniva poi richiamato integralmente il provvedimento assunto dal Tribunale di Firenze di ammissione di COGNOME al passivo fallimentare, da cui emergeva non solo l’avvenuta pacifica compensazione tra l’importo della presunta distrazione patrimoniale appostato nel bilancio della fallita quale credito vantato di COGNOME e COGNOME, con la surroga di COGNOME nel credito vantato dalla Banca nei confronti della fallita quale effetto della RAGIONE_SOCIALE di tale debito della società da parte di COGNOME, ma anche l’esistenza di rilevantissimi esborsi effettuati da COGNOME per estinguere debiti della fallita, quantomeno nei confronti di lavoratori professionisti e/o fornitori.
Dalla nota integrativa al bilancio 2012 (ultimo bilancio della fallita) risultava che la surroga e la successiva compensazione era avvenuta non solo in dipendenza dei debiti della fallita verso la Banca di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE saldati da COGNOME, ma anche «in relazione a ulteriori debiti sociali verso terzi che lo stesso COGNOME è risultato essersi accollato».
I due errori di fatto in cui è incorsa la sentenza della Quinta sezione della Corte di Cassazione attengono il primo alla ritenuta circostanza secondo la quale l’atto riparatorio posto in essere da COGNOME NOME avrebbe conAVV_NOTAIOo alla soddisfazione di un unico creditore sociale individuato nella Banca di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; il secondo errore consta nel non aver colto né adeguatamente esaminato i motivi di ricorso, interposti dall’interesse degli imputati, tendenti ad evidenziare il travisamento per omissione, da parte del giudice di appello, di elementi di prova documentale conducenti a dimostrare inequivocabilmente come COGNOME, nel corso dell’esercizio 2012, avesse provveduto a ripianare i debiti della fallita anche nei confronti di terzi. Risultava infatti provato che COGNOME, a fronte di una distrazione contestata per l’importo pari a 2,6 milioni di euro, avesse, già in chiusura dell’esercizio 2012, provveduto non solo ad azzerare il debito vantato dalla Banca di
RAGIONE_SOCIALE nei confronti della fallita, ma anche a saldare residui debiti gravanti sulla predetta per un ammontare pari a un ulteriori 1,8 milioni di euro.
Del tutto errata appare l’affermazione della mancanza di decisività della questione (affermata pagina 15 della sentenza), dal momento che dalla motivazione della stessa sentenza della Quinta Sezione si desume che la questione attinente l’avvenuto pagamento da parte di COGNOME di debiti vantati da terzi nei confronti della fallita rivestisse cruciale rilievo, avendo la Corte sostenuto il principio di diritto, non condiviso dal ricorrente, per cui non è configurabile la bancarotta riparata allorquando l’autore della distrazione abbia ripianato la posizione debitoria della società nei confronti di un unico creditore, lasciando insoddisfatti altri.
All’udienza si è svolta trattazione orale. Il Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso. Il difensore della parte civile ha chiesto di non accogliere il ricorso. L’AVV_NOTAIO ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Occorre premettere che, in base alla nota pronuncia Sez. U, n. 16103 del 27/3/2002, Basile P., Rv. 221280 – 01, l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia conAVV_NOTAIOo a una decisione diversa da quella che sarebbe stata aAVV_NOTAIOata senza di esso.
Nella richiamata decisione, è stato precisato che: 1) qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio; 2) sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie; 3) l’operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative all’accertamento dei fatti processuali, non risultando
giustificata una simile restrizione dall’effettiva portata della norma in quanto l’errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale (conf. Sez. un., 27 marzo 2002 n. 16104, COGNOME, non massimata; tra le più recenti, v. Sez. 5, n. 29240 dell’1/6/2018, COGNOME, Rv. 273193 – 01).
Il rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. non rappresenta quindi uno strumento da adoperare per ottenere mere rivalutazioni, rispetto a quanto deciso dalla Corte di legittimità: non possono trovare ingresso le censure di tipo genericamente rivalutativo pur in presenza di interpretazioni delle norme o dei contenuti delle decisioni di merito che si prestino a critiche.
Tale assetto risulta funzionale, del resto, alla necessità di tutelare – entro i limiti della ragionevolezza – lo stesso valore del giudicato, quale fonte di certezza e stabilità delle decisioni giurisdizionali.
Tanto premesso in punto di inquadramento teorico, può passarsi all’analisi specifica delle singole censure difensive.
Occorre innanzitutto rilevare come la Corte di cassazione, con la pronuncia oggetto dell’odierno procedimento, investita del ricorso proposto (anche) da NOME COGNOME avverso la sentenza del 03/05/2022 della Corte di appello di Firenze, confermativa della pronuncia di primo grado che lo aveva condannato (unitamente a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME) per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva (capo A) in relazione alla “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 5 febbraio 2014, annullava la sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari, dichiarando inammissibili i ricorsi nel resto.
COGNOME aveva articolato quattro motivi di ricorso, sinteticamente riportati alle pagg. 9-10 della sentenza di legittimità; per quanto di specifico interesse per il presente procedimento, con il primo motivo il ricorrente deduceva i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 110 cod. pen., 216, 219 e 226 legge fall., censurando l’impugnata sentenza di merito per non avere ritenuto integrata la “bancarotta riparata” a seguito del pagamento, effettuato dal coimputato COGNOME, dei debiti che la società fallita aveva nei confronti della “Banca di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” e nei confronti di fornitori e creditori.
La Corte di legittimità, con l’impugnata sentenza, rispondendo all’articolato motivo di ricorso avanzato dalla Difesa COGNOME, trattato congiuntamente ai corrispondenti motivi avanzati dai coimputati COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, lo aveva dichiarato inammissibile perché privo di specificità, in quanto reiterativo di identiche doglianze già disattese dalla Corte territoriale con motivazione giudicata corretta in diritto, congrua e completa in punto di fatto e non efficacemente avversata.
La Cassazione evidenziava in particolare che, perché la fattispecie invocata potesse operare, era necessario che l’atto riparatorio fosse stato compiuto in favore della società, cui sarebbe spettato poi decidere autonomamente circa la destinazione da imprimere alle risorse reintegrate al patrimonio sociale, che rappresenterebbe la reale e principale garanzia per le ragioni creditorie. Ogni diverso ragionamento avrebbe determinato effetti distorsivi. L’amministratore, che si fosse appropriato di risorse sociali prima del RAGIONE_SOCIALE, e avesse poi estinto il suo obbligo fideiussorio per un importo corrispondente alle somme distratte, rimarrebbe punibile avendo dirottato le risorse stesso verso uno o più creditori, a sua discrezione, infrangendo la par condicio e le eventuali regole di gradazione dei crediti.
Appare quindi chiaro come la censure, formalmente mosse alla sentenza di legittimità, si risolvano in realtà nella riproposizione delle medesime doglianze già oggetto del primo ricorso per Cassazione; doglianze che l’impugnata sentenza ha, con un percorso argomentativo effettivo ancorché sintetico, ritenuto inammissibili, in quanto prive di specificità e meramente reiterative.
La Corte di legittimità ha infatti esaminato la tematica della “bancarotta riparata”, analizzando la circostanza, deAVV_NOTAIOa nel motivo di ricorso proposto (anche) dal COGNOME (secondo la quale COGNOME aveva, già nel 2012, estinto i debiti che la fallita aveva nei confronti della “Banca di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“), ritenendo condivisibile la disamina effettuata dai Giudici di merito: evidenzia in particolare la Cassazione (pag. 14) che «la bancarotta non può ritenersi “riparata” a seguito di operazioni che, a loro volta, si pongano in contrasto con le regole che presiedono al corretto funzionamento dell’impresa collettiva e che violino la graduazione dei crediti. Tali argomentazioni, inoltre, appaiono pienamente coerenti con le ragioni poste a fondamento della bancarotta riparata, che sono legate – va ribadito – al venir meno del concreto pregiudizio per la massa dei creditori, a seguito di un atto di “senso contrario” che reintegri, nella sua effettività e integralità, il patrimonio della società dalle conseguenze negative dell’atto distrattivo»; e, riportando in quanto condivise le considerazioni rese sul punto dalla Corte territoriale, l’impugnata sentenza (pagg. 12 e 13) ricordava che «se fosse vero che il fideiussore si libera dalla responsabilità penale – derivante dagli atti distrattivi posti in essere durante la vita della società -, adempiendo, prima della dichiarazione di RAGIONE_SOCIALE, il suo obbligo verso il creditore garantito, ne conseguirebbe che il fideiussore potrebbe liberamente disporre delle risorse societarie – per l’importo della fideiussione da lui prestata – fino alla soglia del RAGIONE_SOCIALE, con l’effetto di stravolgere le regole che presiedono al funzionamento dell’impresa collettiva, le quali esigono che l’amministratore, seppur fideiussore dia alle risorse societarie la destinazione richiesta dall’oggetto sociale e non quella corrispondente alle sue necessità o ai suoi desiderata».
La Corte territoriale ha anche posto in rilievo gli effetti distorsivi, sulla garanzia patrimoniale dei creditori, che si determinerebbero, se si ritenesse fondata la tesi difensiva: «l’amministratore che si appropria di risorse sociali e, prima del RAGIONE_SOCIALE, estingua un suo obbligo fideiussorio per l’importo corrispondente alle somme distratte, dirotta le risorse sociali verso uno o più creditori, a sua discrezione, infrangendo … le regole che presiedono alla graduazione dei crediti».
Il ricorso oggi in esame non fa che riproporre, sotto forma di ricorso straordinario, il medesimo vizio di travisamento della prova, già denunciato, senza esito favorevole, con i ricorsi ordinari.
Appare allora evidente come, nel caso in esame, la decisione assunta dal Supremo Collegio non possa ritenersi viziata da errore materiale o di fatto.
Nel denunciare l’avvenuto travisamento del fatto da parte della Corte di legittimità, il ricorrente si duole in realtà della decisione che la Corte ha assunto in relazione alla corrispondente censura (di vizio di travisamento) mossa con l’originario ricorso avverso la sentenza di merito d’appello. In altre parole, ciò di cui l’odierno ricorrente si duole è dell’avvenuto travisamento del fatto e delle prove da parte della Corte territoriale di merito; e, conseguentemente, della decisione assunta dalla Corte di legittimità nel ritenere manifestamente infondato il deAVV_NOTAIOo vizio.
Occorre tuttavia affermare il principio per cui il vizio di travisamento della prova, deAVV_NOTAIOo con i motivo di ricorso originario e ritenuto infondato o manifestamente infondato dalla Corte di legittimità, non può costituire motivo di successivo ricorso straordinario per errore di fatto, ex art. 625-bis cod. proc. pen., non configurandosi in tal caso, nella decisione della Corte Suprema, alcuna errata rappresentazione percettiva degli atti (Sez. 3, n. 14509 del 31/01/2017, Romeo, Rv. 270394-01) e non essendo sindacabili eventuali suoi errori di giudizio (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686-01; v. anche, sul punto, Sez. 1, n. 17446 del 30/01/2018, COGNOME).
Ferma la necessità che le risorse distratte fossero nuovamente e tempestivamente messe a disposizione della società, nella specie il ceto creditorio non risultava neppure risarcito per intero e in forma integrale. In tali termini aveva concluso la sentenza di appello, dopo aver ritenuto non provato (alla stregua di esaustivo ed incensurabile apprezzamento) il versamento di 1.800.000 euro nei confronti di fornitori, dipendenti ed erario; osservava in particolare la Suprema Corte (pag. 15) come le censure mosse dai ricorrenti su tale ultima questione non evidenziassero alcuna effettiva violazione di legge né effettivi travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma fossero, invece, dirette a ottenere una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello. La Corte di legittimità, preso atto che i Giudici di merito avevano ritenuto non provato
(alla stregua di esaustivo ed incensurabile apprezzamento) detto versamento, osservava, come concorrente ragione di inammissibilità, che i ricorrenti non avevano adeguatamente sviluppato la tematica della decisività della questione, atteso che, con giudizio condiviso dalla Cassazione, i Giudici di merito avevano ritenuto non potesse comunque dirsi integrata la bancarotta riparata sul presupposto che i fondi distratti andassero restituiti alla società, e non partitamente ai creditori, nei termini che si sono già supra evidenziati.
Nel censurare la valutazione della Corte di legittimità in ordine alla ritenuta assenza di decisività della questione sollevata relativamente all’asserito pagamento di 1.800.000 euro, la prospettazione difensiva si risolve nella contestazione dell’affermazione della sentenza nel suo aspetto valutativo (inerente appunto la “decisività” dell’argomento), come tale estraneo all’istituto in esame.
Va tuttavia osservato come il vero punto debole dell’assunto difensivo non risieda nella carenza di decisività del preteso errore, dal momento che la censura stessa, in pratica, sottolinea niente altro che una asserita carenza valutativa, finendo inevitabilmente per invocare – anche in maniera espressa e diretta – la formulazione di un nuovo giudizio, di natura sostitutiva rispetto a quello avversato. Ci si spinge a lamentare, infatti, come la sentenza – in rapporto all’avvenuto pagamento di fornitori e creditori della fallita – abbia mancato di effettuare un più penetrante controllo, in merito alla correttezza della motivazione della sentenza di secondo grado; in tal modo, tuttavia, si invoca il compimento una operazione del tutto estranea all’alveo previsionale dell’istituto tipizzato dall’art. 625-bis cod. proc. pen.
Le censure formulate nel ricorso straordinario in esame si sostanziano quindi in rilievi che, con tutta evidenza, segnalano presunti errori che non si identificano in una fuorviata rappresentazione percettiva, con la conseguenza che le relative decisioni hanno comunque avuto contenuto valutativo, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (S. U. sentenza n. 18651 del 26-32015, rv 263686, COGNOME).
E giova, conclusivamente, ribadire che non è consentito denunziare col ricorso straordinario l’omesso scrutinio di determinate deduzioni (anche, in ipotesi, decisive) contenute in uno specifico motivo del ricorso per cassazione, il quale motivo il giudice di legittimità abbia tuttavia -non preternnesso (a cagione di svista puramente sensoriale circa la materiale esistenza in atti del mezzo di impugnazione in parola)-, bensì censito e fatto oggetto di trattazione; sicché le ridette deduzioni, sebbene la Corte non ne abbia dato esplicitamente conto, debbano reputarsi tacitamente valutate e disattese. Consegue, a guisa di corollario, l’enunciazione dell’ulteriore principio di diritto secondo il quale «esula dal ricorso straordinario ogni sindacato di legittimità, per mancanza di motivazione, sulla sentenza irrevocabile della
Cassazione», sicchè la relativa denunzia, proposta con ricorso straordinario è inammissibile (Sez 1, n. 46981 del 6/11/2013, COGNOME, n.m. sul punto).
Il ricorso deve conseguentemente essere respinto. Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile “RAGIONE_SOCIALE“, che liquida in complessivi euro 5.530,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 25/06/2024