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Bancarotta Riparata: la Cassazione annulla condanna

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per bancarotta fraudolenta, accogliendo il motivo sulla cosiddetta ‘bancarotta riparata’. Il caso riguardava la distrazione di beni immobili poi restituiti alla società prima del fallimento. La Suprema Corte ha stabilito che i giudici di merito devono verificare se la restituzione, anche se imposta da un tribunale, abbia effettivamente reintegrato il patrimonio sociale, annullando il danno ai creditori. L’annullamento ha riguardato anche la posizione di un consigliere non operativo per la bancarotta documentale.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Riparata: la Cassazione apre alla non punibilità se il patrimonio è reintegrato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaperto il dibattito sulla Bancarotta Riparata, un istituto di grande rilevanza nel diritto penale fallimentare. Con la sentenza n. 26115 del 2024, i giudici hanno annullato con rinvio una condanna per bancarotta fraudolenta, sottolineando come la reintegrazione del patrimonio sociale prima della dichiarazione di fallimento possa escludere la sussistenza stessa del reato, anche se avvenuta a seguito di una decisione del giudice civile. La pronuncia offre anche importanti spunti sulla responsabilità degli amministratori senza deleghe.

Il caso: distrazione di beni e condanna per bancarotta

La vicenda processuale ha origine dalla condanna inflitta nei primi due gradi di giudizio al presidente del consiglio di amministrazione e a un consigliere di una S.r.l., dichiarata fallita diversi anni dopo i fatti contestati. Al presidente veniva imputata sia la bancarotta fraudolenta distrattiva, per aver trasferito un cospicuo patrimonio immobiliare a un’altra società del gruppo, sia quella documentale. Al consigliere, invece, era contestata solo la bancarotta documentale.

La difesa del presidente aveva sempre sostenuto che il trasferimento degli immobili fosse avvenuto circa dieci anni prima del fallimento, quando la società era pienamente operativa e in salute, e che, in ogni caso, l’intero patrimonio era stato restituito alla società due anni prima della sentenza di fallimento, a seguito di un’azione civile che aveva accertato la simulazione dell’operazione. Si trattava, secondo la difesa, di un caso di Bancarotta Riparata.

La questione della Bancarotta Riparata

Il punto cruciale della decisione della Cassazione riguarda proprio l’istituto della Bancarotta Riparata. I giudici di merito avevano escluso questa possibilità, sostenendo che la restituzione dei beni non fosse stata volontaria, ma imposta da una sentenza civile, e che, inoltre, i beni avessero perso valore nel tempo.

La Suprema Corte ha censurato questo ragionamento, definendolo ‘congetturale’. Secondo la Cassazione, ai fini della configurabilità della Bancarotta Riparata, l’elemento decisivo non è la volontarietà della restituzione, ma l’effettiva e integrale reintegrazione del patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica della dichiarazione di fallimento. Se tale reintegrazione avviene, il pericolo di lesione per gli interessi dei creditori viene meno e, con esso, l’offensività della condotta. Il fatto che un giudice civile abbia ordinato la restituzione non è di per sé ostativo, ma anzi certifica il rientro dei beni nel patrimonio sociale.

La posizione dell’amministratore senza deleghe

Un altro aspetto fondamentale della sentenza riguarda la posizione del consigliere senza deleghe operative, condannato per bancarotta documentale. La Corte di Cassazione ha accolto il suo ricorso, annullando la sentenza. I giudici hanno ribadito un principio fondamentale: la responsabilità penale di un amministratore non operativo non può derivare dalla mera posizione ricoperta o da una generica ‘omessa vigilanza’.

È necessario, invece, che l’accusa provi la sua ‘effettiva conoscenza’ delle condotte illecite (in questo caso, la cattiva tenuta delle scritture contabili da parte del presidente) e la sua volontà di avallarle con la propria inerzia. La responsabilità sorge solo se, di fronte a segnali inequivocabili di irregolarità, l’amministratore senza deleghe, pur potendo intervenire, omette di farlo. Mancando questa prova, la condanna risulta illegittima.

le motivazioni

Nelle motivazioni, la Suprema Corte ha chiarito che il reato di bancarotta fraudolenta è un reato di pericolo concreto. L’offesa tipica consiste nella messa a rischio degli interessi dei creditori. Quando un’azione di segno contrario, come la restituzione integrale dei beni, annulla completamente il pregiudizio prima che il fallimento venga dichiarato, l’elemento materiale del reato viene meno. I giudici del rinvio dovranno quindi svolgere un ‘concreto accertamento’ per verificare se la retrocessione degli immobili abbia effettivamente avuto un ‘seguito con l’effettivo rientro dei beni nel patrimonio della società fallita’ e se tale reintegra possa ‘considerarsi integrale rispetto alle pregresse distrazioni’.

Per quanto riguarda l’amministratore senza deleghe, la Corte ha sottolineato come la sentenza d’appello avesse fondato la responsabilità su un presupposto errato, ovvero che egli fosse gravato dell’onere della tenuta delle scritture contabili. La sua posizione di mero consigliere, privo di deleghe operative, escludeva tale obbligo. La motivazione della condanna è stata quindi ritenuta carente, non avendo dimostrato la concreta consapevolezza dell’illecito da parte sua.

le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, rinviando il processo a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio. Per il presidente, il nuovo esame dovrà concentrarsi esclusivamente sulla possibilità di applicare l’istituto della Bancarotta Riparata. Per il consigliere, dovrà essere rivalutata da capo la sua responsabilità per la bancarotta documentale, applicando i più rigorosi principi in materia di responsabilità dell’amministratore senza deleghe. Questa sentenza rappresenta un importante punto di riferimento per gli operatori del diritto, riaffermando il principio di offensività nel diritto penale fallimentare.

Quando la restituzione di beni distratti può escludere il reato di bancarotta?
La restituzione può escludere il reato se configura una ‘bancarotta riparata’, ovvero un’attività di integrale reintegrazione del patrimonio della società che avviene prima della dichiarazione di fallimento. Tale reintegrazione deve essere effettiva e totale, in modo da annullare completamente il pregiudizio per i creditori e, di conseguenza, l’offensività della condotta.

La restituzione dei beni deve essere volontaria per configurare la bancarotta riparata?
No, la sentenza chiarisce che l’elemento decisivo è il risultato, cioè l’effettiva e integrale reintegrazione del patrimonio, non la volontarietà dell’atto. Pertanto, anche una restituzione imposta da una sentenza del giudice civile può essere idonea a configurare la bancarotta riparata, se ripristina pienamente la garanzia patrimoniale per i creditori.

Qual è la responsabilità penale di un amministratore senza deleghe nella bancarotta documentale?
La sua responsabilità non è automatica e non deriva dalla semplice carica ricoperta. Per affermare la sua colpevolezza, è necessario fornire la prova della sua effettiva conoscenza delle condotte illecite (es. la mancata tenuta delle scritture contabili) e della sua volontà di avallarle con la propria inerzia, omettendo di intervenire pur avendone il potere. In assenza di tale prova, l’amministratore non può essere ritenuto responsabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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