LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Bancarotta preferenziale: quando non è distrazione?

La Corte di Cassazione annulla una condanna per bancarotta fraudolenta a carico di un amministratore che si era auto-liquidato dei crediti prima del fallimento. La sentenza chiarisce che il pagamento di debiti reali, come la restituzione di un finanziamento o del TFR, deve essere valutato come potenziale bancarotta preferenziale e non come distrazione, imponendo ai giudici una motivazione non apparente ma concreta.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Preferenziale vs Fraudolenta: la Cassazione Annulla per Motivazione Apparente

La distinzione tra bancarotta fraudolenta per distrazione e bancarotta preferenziale è una delle questioni più delicate nel diritto penale fallimentare. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 5945/2024) ha ribadito l’importanza di una motivazione rigorosa e concreta da parte dei giudici di merito, annullando una condanna proprio per l’incapacità della Corte d’Appello di spiegare perché le azioni di un amministratore costituissero distrazione e non un mero trattamento preferenziale a proprio favore.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda l’amministratore unico di una S.r.l., dichiarata fallita nel 2016. L’amministratore era stato condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta patrimoniale. L’accusa era di aver distratto dal patrimonio sociale, quando la società era già in stato di dissesto, una somma complessiva di circa 76.800 Euro.

Le operazioni contestate erano due:
1. Prelievi di cassa per circa 37.400 Euro a titolo di restituzione di un finanziamento infruttifero che lo stesso amministratore aveva precedentemente erogato alla società.
2. L’incasso di un assegno di circa 39.400 Euro a titolo di liquidazione del proprio Trattamento di Fine Rapporto (TFR).

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato sia nella valutazione dell’elemento soggettivo del reato sia, soprattutto, nella qualificazione giuridica dei fatti.

La Qualificazione del Fatto: una Sottile Linea di Confine

Il fulcro del ricorso verteva su un punto cruciale: le somme percepite dall’amministratore non erano state “distratte” (cioè sottratte illecitamente senza causa), ma rappresentavano il pagamento di crediti reali e preesistenti che egli vantava nei confronti della società. Nello specifico:

* La restituzione del finanziamento riguardava un prestito (mutuo) e non un versamento in conto capitale.
Il TFR era un credito jure proprio*, derivante dal rapporto di lavoro, liquidato tramite una polizza assicurativa di cui egli era beneficiario.

Secondo la difesa, tali operazioni, pur potendo ledere la par condicio creditorum, non potevano integrare la più grave fattispecie di bancarotta fraudolenta, bensì quella, meno grave, di bancarotta preferenziale.

Le Motivazioni della Cassazione: No a Principi Astratti, Sì all’Analisi Concreta

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendo la motivazione della sentenza d’appello “apparente” e “apodittica”. I giudici di legittimità hanno mosso due critiche fondamentali alla corte territoriale.

In primo luogo, la sentenza impugnata si era limitata a enunciare principi di diritto astratti sulla distinzione tra bancarotta preferenziale e fraudolenta, senza però calarli nel caso di specie. Non aveva spiegato perché, concretamente, la restituzione di un finanziamento e la liquidazione di un TFR dovessero essere considerate atti di distrazione anziché pagamenti preferenziali. Questa mancanza di analisi specifica, nonostante le precise sollecitazioni della difesa, ha reso la motivazione vuota e, di fatto, inesistente.

In secondo luogo, la Corte d’Appello aveva totalmente omesso di confrontarsi con un rilievo difensivo fondamentale: la circostanza che la somma relativa al TFR provenisse dalla liquidazione di una polizza assicurativa. Questo dettaglio era essenziale per qualificare il credito come iure proprio, liquido ed esigibile, e quindi per ricondurre la sua apprensione nell’alveo della bancarotta preferenziale.

La Cassazione ha quindi stabilito che non è sufficiente affermare un principio, ma è necessario dimostrare la sua applicabilità al caso concreto, rispondendo punto per punto alle argomentazioni difensive.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

La decisione in commento rafforza un principio cardine del giusto processo: l’obbligo di una motivazione effettiva e non meramente formale. Per i reati fallimentari, ciò significa che il giudice non può automaticamente qualificare come fraudolenta ogni operazione con cui l’amministratore prelevi fondi dalla società prima del fallimento.

È necessario un esame approfondito sulla natura del credito sottostante:
1. Se il pagamento estingue un debito certo, liquido ed esigibile (come un finanziamento-mutuo o il TFR), l’atto va tendenzialmente inquadrato nella bancarotta preferenziale, che punisce la violazione della parità di trattamento tra creditori.
2. Se, invece, il prelievo è privo di una causa legittima o serve a restituire versamenti che non costituivano un credito esigibile (come i versamenti in conto capitale), allora si configura la più grave ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione.

Questa sentenza impone ai tribunali di non fermarsi a una valutazione superficiale, ma di scavare nella natura dei rapporti economici tra l’amministratore e la società, garantendo che la qualificazione giuridica del fatto sia il risultato di un’analisi logica e concreta, e non di un’applicazione automatica di formule di stile.

Quando il pagamento che l’amministratore fa a se stesso prima del fallimento è bancarotta preferenziale e non fraudolenta?
Quando il pagamento serve a estinguere un debito reale, certo, liquido ed esigibile che la società aveva nei suoi confronti, come la restituzione di un finanziamento a titolo di mutuo o il pagamento del Trattamento di Fine Rapporto. In questo caso non si tratta di una sottrazione illecita di beni (distrazione), ma della violazione del principio di parità di trattamento tra i creditori.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna in questo caso?
La Cassazione ha annullato la sentenza perché la motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata “apparente”, ovvero astratta e generica. I giudici di secondo grado non avevano spiegato concretamente perché le operazioni contestate costituissero distrazione fraudolenta, ignorando le specifiche argomentazioni della difesa sulla natura dei crediti dell’amministratore.

Che differenza c’è, ai fini della bancarotta, tra la restituzione di un finanziamento-mutuo e quella di un versamento in conto capitale?
La sentenza ribadisce che il prelievo di somme per restituire un finanziamento concesso dal socio a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale, poiché si tratta di un debito esigibile. Al contrario, la restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale, che non generano un credito esigibile durante la vita della società, configura il più grave reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati