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Bancarotta preferenziale: no all’appello cautelare

La Corte di Cassazione conferma una misura interdittiva per bancarotta preferenziale e per distrazione. Rigettato il ricorso di un imprenditore accusato di aver svuotato una società a favore di altre entità a lui riconducibili e di aver favorito un creditore a danno di altri, incluso il Fisco. Ritenuta l’attualità del pericolo di reiterazione del reato.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta preferenziale: la Cassazione conferma la misura interdittiva

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 43696/2024, offre importanti chiarimenti sui reati di bancarotta preferenziale e per distrazione, specialmente in relazione alla valutazione delle esigenze cautelari. Il caso analizzato riguarda un imprenditore destinatario di una misura interdittiva, accusato di aver svuotato il patrimonio di una società fallita a favore di altre aziende a lui collegate e di aver pagato un creditore a discapito degli altri. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando la validità della misura cautelare.

I fatti: il contesto della bancarotta

La vicenda giudiziaria trae origine da una serie di operazioni societarie e finanziarie ritenute illecite. Agli amministratori di una società, successivamente fallita, veniva contestato di aver commesso due distinti reati di bancarotta:

1. Bancarotta per distrazione: aver ceduto due rami d’azienda (produzione di batterie e ristorazione) a prezzi di favore a società riconducibili agli stessi amministratori. Queste operazioni avrebbero depauperato il patrimonio della società fallita, sottraendo beni preziosi alla garanzia dei creditori.
2. Bancarotta preferenziale: aver disposto il pagamento di una somma ingente (240.000 euro) a favore di una società collegata, la quale a sua volta aveva saldato il debito verso un istituto di credito, creditore chirografario. Tale pagamento è stato effettuato in violazione della par condicio creditorum, ovvero del principio di parità di trattamento, danneggiando gli altri creditori, inclusi quelli privilegiati come l’Agenzia delle Entrate.

Contro la misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali, l’indagato proponeva ricorso in Cassazione.

I motivi del ricorso e la difesa dell’indagato

La difesa dell’imprenditore si basava su tre argomenti principali:

* Vizio di motivazione: Il Tribunale del Riesame non avrebbe considerato adeguatamente le prove a discarico, tra cui una sentenza civile che aveva rigettato l’azione revocatoria promossa dall’Agenzia delle Entrate contro la cessione di uno dei rami d’azienda.
Insussistenza del fumus boni iuris*: Secondo la difesa, non vi erano gravi indizi di colpevolezza. La legittimità delle operazioni era stata, a suo dire, confermata in sede civile e il pagamento al creditore bancario era necessario per evitare un’esecuzione immobiliare.
* Carenza delle esigenze cautelari: I fatti contestati erano risalenti nel tempo (2014 e 2019), era intervenuta una transazione con la curatela fallimentare e gli indagati avevano collaborato con gli organi della procedura, dimostrando l’assenza di un pericolo attuale di reiterazione del reato.

La valutazione della Corte sulla bancarotta preferenziale e per distrazione

La Corte di Cassazione ha respinto tutte le censure difensive, fornendo un’analisi rigorosa dei presupposti per i reati fallimentari e per le misure cautelari. I giudici hanno sottolineato che, ai fini della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza in fase cautelare, è sufficiente una qualificata probabilità di colpevolezza, un parametro diverso dalla prova piena richiesta per la condanna.

In particolare, la Corte ha evidenziato come le operazioni di cessione dei rami d’azienda fossero avvenute a un valore notevolmente inferiore a quello reale e in un periodo in cui la società era già gravata da ingenti debiti fiscali. Questa sequenza di eventi, secondo i giudici, delineava un chiaro disegno criminoso volto a spogliare la società dei suoi asset patrimoniali.

Per quanto riguarda la bancarotta preferenziale, la Corte ha ribadito che pagare un creditore a danno di altri, quando l’insolvenza è già manifesta, costituisce reato, indipendentemente dalla finalità di evitare un’azione esecutiva. Tale condotta, infatti, altera l’ordine di prelazione stabilito dalla legge.

Le motivazioni della decisione

La Suprema Corte ha ritenuto infondati i motivi di ricorso con argomentazioni precise. Innanzitutto, ha stabilito che l’esito di un giudizio civile non è vincolante per il giudice penale, il quale dispone di una piattaforma probatoria più ampia e autonoma. Nel caso di specie, le indagini penali avevano fatto emergere un quadro debitorio verso il Fisco ben più grave di quello considerato in sede civile.

Sulle esigenze cautelari, la Corte ha affermato un principio cruciale: il pericolo di reiterazione del reato può essere considerato attuale anche per fatti risalenti nel tempo se persistono le condizioni che lo hanno generato. Nel caso specifico, gli indagati erano ancora titolari dei beni distratti attraverso le altre società. Questa circostanza, unita alla pendenza dei contenziosi tributari, rendeva concreto il rischio che potessero compiere nuove condotte illecite per proteggere il patrimonio dalle pretese creditorie.

Le conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento giurisprudenziale sulla valutazione rigorosa delle esigenze cautelari nei reati di bancarotta. Viene confermato che la pericolosità sociale dell’indagato non va valutata solo in base al tempo trascorso, ma anche in relazione alla sua attuale disponibilità dei beni e alla persistenza delle circostanze che potrebbero indurlo a delinquere nuovamente. La decisione sottolinea inoltre l’autonomia del giudizio penale rispetto a quello civile, ribadendo che un’apparente legittimità formale di un’operazione non esclude la sua rilevanza penale se inserita in un più ampio disegno distrattivo o preferenziale.

Una sentenza civile favorevole può escludere automaticamente la responsabilità penale per bancarotta?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che il giudice penale ha a disposizione una piattaforma probatoria più ampia. Una decisione civile, come il rigetto di un’azione revocatoria, non è vincolante nel processo penale, dove possono emergere elementi diversi e più completi.

Perché è stata confermata una misura cautelare per fatti avvenuti molti anni prima?
La misura è stata confermata perché, nonostante il tempo trascorso, il pericolo di reiterazione del reato è stato ritenuto attuale. Gli indagati risultavano ancora titolari dei beni distratti attraverso altre società e, in vista della conclusione dei giudizi tributari, avrebbero potuto compiere nuove azioni criminose.

Pagare un creditore per evitare un’esecuzione forzata costituisce bancarotta preferenziale?
Sì, secondo la sentenza, favorire un creditore (anche per evitare un’azione esecutiva) a scapito di altri, in una situazione di dissesto finanziario, integra il reato di bancarotta preferenziale. La condotta viola il principio della parità di trattamento tra tutti i creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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