Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25429 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25429 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato STATI UNITI d’AMERICA il 03/12/1970
avverso la sentenza del 24/09/2024 della Corte d’appello di Roma Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; imputato, avv. NOME COGNOME che ha
Letta la memoria del difensore de ll’ insistito nell’accoglimento dei ricorsi.
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Frosinone del 6 ottobre 2023, ha assolto COGNOME Michelangelo dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale perché il fatto non sussiste e, riqualificato il fatto di bancarotta fraudolenta documentale ai sensi de ll’art. 217 legge fall., confermando le ulteriori statuizioni, lo ha condannato alla pena di anni due di reclusione, con le già concesse circostanze attenuanti generiche equivalenti alla circostanza aggravante contestata, e con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il Tribunale aveva condannato l’imputato per i fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione, documentale, preferenziale e di bancarotta semplice di cui all’art. 217 comma 1, nn. 3) e 4) legge Fall., in qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE fallita il 12 ottobre 2020, e di cui era socio unico la società RAGIONE_SOCIALE entrambe riconducibili a gruppo imprenditoriale della famiglia COGNOME.
La Corte di appello ha assolto l’imputato dall a condotta distrattiva, contestata con riferimento alla somma superiore a due milioni di euro non sussistendo prova della disponibilità di tale somma, in quanto frutto di una falsa appostazione in bilancio; ha diversamente qualificato la condotta di falsificazione delle scritture contabili realizzata con una falsità ideologica ( tramite indicazione nello stato patrimoniale attivo di ‘risconti’, con l’annotazione di dati non rispondenti al vero) , ritenendola rimproverabile all’imputato a titolo di mera negligenza, come bancarotta semplice documentale; ha confermato la condanna dell’imputato per il fatto di essersi astenuto dal richiedere il fallimento della società, aggravandone il dissesto, sottolineando che il medesimo avrebbe avuto il dovere di chiedere il fallimento dato che, già nel 2016, la società non era in grado di onorare i propri debiti, determinando un aggravamento per gli anni successivi; ha confermato, infine, la condanna in relazione ai pagamenti preferenziali eseguiti dall’imputato, in favore della societ RAGIONE_SOCIALE ( socio unico della società fallita) e altra società collegata ‘RAGIONE_SOCIALE ( collegata alla medesima famiglia COGNOME), in epoca prossima al fallimento.
L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del suo difensore, avv. NOME COGNOME
2.1. Con primo motivo denuncia violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 125 e 546 cod.proc.pen. Deduce la nullità della sentenza impugnata per contrasto tra dispositivo e motivazione stante la mancanza, nel dispositivo, della dicitura ‘conferma nel resto’ . La mancata espressa indicazione della conferma delle ulteriori statuizioni della sentenza
impugnata impedirebbe di ritenere che ‘l’accertamento di responsabilità’ sia confermato.
2.2. Con secondo motivo denuncia violazione di legge e di vizio di motivazione in relazione all’art. 217 Legge Fall. in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo della fattispecie della bancarotta semplice documentale, nonostante la conformità delle appostazioni in bilancio alla normativa vigente ratione temporis. Deduce che anche dalla deposizione della teste COGNOME risulterebbe che la società si era adeguata alla riforma del decreto sui bilanci di cui al d.lsg. n. 139 del 2015 e che, pertanto, le sanzioni e gli interessi tributari, maturati fino al 2016 ovvero fino alla data di modifica della legge contabile sul Bilancio, andavano correttamente inseriti nella ‘sezione straordinaria’ o nei ‘risconti’ mentre solo dal 2016, in poi, le sanzioni e le imposte dovevano, come di fatto avvenuto nel caso di specie, essere inseriti nei costi ed in particolare nei ‘costi indeducibili’ in quanto sanzioni aventi una natura civilistica-afflittiva, ancorché di tipo tributario. La Corte non avrebbe dovuto ‘derubricare’ il fatto di reato bensì escludere qualsivoglia artificio contabile idoneo a ‘gonfiare’ l’attivo , applicando in via diretta le nuove disposizioni.
2.3. Con terzo motivo denuncia i nosservanza o erronea applicazione dell’art. 216 Legge Fall. in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi, oggettivo e soggettivo, del reato di bancarotta preferenziale di cui al capoverso 3) della imputazione, anche sotto il profilo della mancata applicazione dell ‘ ipotesi di cui all’art. 217 bis l egge fall. in forza della pendenza della procedura concordataria prima della intervenuta dichiarazione di fallimento. Deduce che la Corte di appello aveva omesso di spiegare le ragioni del convincimento della natura preferenziale dei pagamenti, non avendo proceduto neanche alla valutazione in punto di anteriorità o meno dei crediti medesimi rispetto alla domanda concordataria; la sentenza di appello avrebbe dovuto sanare il vuoto della sentenza di primo grado che non aveva argomentato rispetto a tale circostanza, non indagando sulla natura dei crediti e neppure sul momento della loro insorgenza. L ‘art. 217 bis Legge Fall. prevede, inoltre, una esenzione da responsabilità penale nelle ipotesi di pagamenti eseguiti in esecuzione del concordato e richiama l’insegnamento di questa Corte che esclude la configurabilità del reato allorchè il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente alla salvagua rdia dell’attività sociale o imprenditoriale.
2.4.Con quarto motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione a ll’art. 216 Legge Fall.in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi, oggettivo e soggettivo, del reato di bancarotta semplice da aggravamento del dissesto di cui al capoverso 4) della imputazione.
Deduce inesistenza, anche grafica, della motivazione in relazione alla suddetta ipotesi e rileva la mancanza dell’elemento soggettivo in quanto: la sentenza di primo grado aveva posto a fondamento della condanna, almeno sotto il profilo soggettivo, quegli stessi fatti che sono stati oggetto di riforma dalla Corte di appello; la sentenza impugnata ha motivato la condanna facendo riferimento ad ‘artifici contabili’ posti in essere dall’imputato, nonostante gli stessi fossero stati smentiti, essendo stato, invero, l’imputato assolto dalla bancarotta per distrazione ed essendo stata la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale diversamente qualificata come bancarotta documentale semplice. Sotto il profilo oggettivo, inoltre, deduce che, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 182 sexies Legge Fall., dal deposito della domanda di concordato vengono meno le norme civilistiche che impongono la ricapitalizzazione di impresa, e che anche la Corte di appello avrebbe omesso di valutare l’incidenza contabile e fiscale dell’effetto esdebitatorio del concordato. La Corte avrebbe dovuto tanto escludere un qualsivoglia obbligo, tantomeno anteriore, di ricapitalizzazione, non tanto e non solo poiché le norme civilistiche inerenti la ricapitalizzazione non si applicavano, a mente dell’art. 182 sexies , ‘almeno’ fino all’omologa del concordato, ma soprattutto perché l’effetto es d ebitatorio conseguente, appunto, all’omologa, costituisce, in termini civilistici e di bilancio una sopravvenienza attiva che, in contabilità, incide, in via diretta sul patrimonio netto; la consulente di parte aveva affermato che il patrimonio netto, come desumibile dai bilanci depositati e prodotti anche in sede di domanda di ammissione al concordato, era positivo per 934 mila euro nel 2016, per 809 mila euro nel 2017, positivo per 780 mila euro nel 2018, diventando negativo solo nel 2019: momento in cui la società depositava la domanda di concordato. Non vi erano, dunque, a dispetto di quanto ritenuto dalla Corte di Appello, elementi per abbattere sin dal 2015 o dal 2016 il patrimonio netto; il proscioglimento per il presunto e contestato a mmanco ‘di cassa’ doveva fare ritenere insussistenti anche gli elementi da cui ritenere che il prevenuto avrebbe potuto rappresentarsi sin dal 2015 o dal 2016 differenze di cassa sostanziali.
2.5. Con quinto motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 133 cod.pen. stante il mancato contenimento della pena nei limiti minimi di legge, oltre che in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante contestata anche successivamente all’assoluzione per i fatti di bancarotta distrattiva, contestati originariamente per una somma superiore ai due milioni di euro.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi. Il difensore de ll’imputato ha depositato memoria con la quale ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato pur dovendo procedersi alla rettifica del dispositivo della sentenza impugnata nei termini che seguono.
1. Secondo l’insegnamento di questa Corte il principio della prevalenza del dispositivo sulla motivazione può subire delle deroghe nel caso in cui la motivazione consenta di ricostruire la reale volontà del giudicante (cfr. ex plurimis sez. 2, n. 3186 del 28/11/2013 dep. 23/01/2014 , Rv. 258533; conf. sez. 5, n. 7427 del 26.9.2013 dep. 2014, Rv. 259029).
In particolare, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali, il carattere unitario della sentenza, in conformità al quale l’uno e l’altra, quali sue parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l’applicazione del principio generale della prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volontà decisoria del giudice; invero, laddove nel dispositivo ricorra un errore materiale obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione è meramente apparente, con la conseguenza che è consentito fare riferimento a quest’ultima per determinare l’effettiva portata del dispositivo, individuare l’errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti, giacché essa, permettendo di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà del giudice, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni fondanti la decisione, se, dall’esame della motivazione, sia chiaramente ricostruibile il procedimento seguito dal giudice ( Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep.2019, Rv. 275690 -01; Sez. 6, n. 24157 del 01/03/2018, Rv. 273269 -01; Sez. 2, n. 13904 del 09/03/2016, COGNOME, Rv. 266660 relativa a fattispecie in cui si è ritenuta la possibilità di procedere a rettifica anche nel caso di errore materiale relativo all’indicazione della pena nel dispositivo).
Nel caso in esame la volontà della Corte territoriale sulla conferma della sentenza di primo grado, in punto di responsabilità relativamente ai capi non oggetto di indicazione di specifica riforma in sede di appello, è desumibile, con inequivoca e giuridica pregnanza, dal percorso argomentativo della sentenza impugnata che, nella determinazione del quantum di pena da infliggere, ha considerato come reato più grave il delitto di bancarotta preferenziale, oltre che dalla esaustiva motivazione spesa relativamente alla sussistenza del reato de quo, trattandosi di dati univoci da cui desumere la
volontà di confermarne il giudizio di penale responsabilità con conseguente limitazione della riforma della sentenza di primo grado alle sole specifiche statuizioni contenute nel dispositivo.
IL motivo difensivo è, pertanto, infondato, pur essendo necessario procedere ad una rettifica del dispositivo della sentenza impugnata nel senso che dopo le parole ‘ alle condizioni di legge’ deve leggersi ‘conferma nel resto’.
2. Il secondo motivo è infondato.
Dalla sentenza impugnata risulta che, secondo la deposizione del curatore fallimentare, nei bilanci dal 2015 al 2019, sono stati indicati nello stato patrimoniale attivo ‘risconti’ relativi non a imposte e sanzioni future (da pagare nell’esercizio successivo), ma a imposte e sanzioni relative a periodi precedenti. La Corte territoriale ha correttamente ritenuto che tali importi non potessero essere inseriti nello stato patrimoniale come ‘risconti’ , potendo ricomprendere tale voce soltanto i costi il cui pagamento si realizza (dal punto di vista finanziario) nell’anno, ancorché relativi, anche solo in parte, all’anno successivo. In contabilità i risconti attivi rappresentano, invero, quote di costi che hanno avuto manifestazione finanziaria nel corso dell’esercizio in chiusura o in precedenti esercizi, ma sono di competenza di uno o più esercizi successivi. Il risconto rappresenta una quota di costo o di ricavo non ancora maturata, ma che ha già avuto la sua manifestazione finanziaria.
La rilevazione dei ratei e dei risconti si rende necessaria per il rispetto del principio della competenza, principio cardine nella redazione del bilancio. Esso viene richiamato espressamente dal codice civile all’art. 2423 bis, comma 1, punto 3, secondo cui ‘Nella redazione del bilancio le componenti positive e negative di reddito devono essere rilevate per la quota maturata nell’esercizio, a prescindere dalla loro manifestazione finanziaria”.
Dalla superiore definizione deriva l’impossibilità di imputare le imposte dei periodi precedenti alla voce “Risconti attivi” in quanto spesa già maturate e riconducibile al periodo in cui sono state effettivamente sostenute o sono dovute.
2.1.La doglianza difensiva, incentrata sulla deposizione della teste COGNOME attestatrice del piano concordatario, è, pertanto, infondata.
Nel corso del giudizio, è stata raccolta, invero, la deposizione della teste la quale, secondo quanto risulta dalla sentenza di primo grado e ribadito dalla sentenza impugnata, ha affermato che, fino all’entrata in vigore del D.lgs. n. 139 del 2015, ‘le sanzioni tributarie e i relativi interessi maturati fino al 2016 dovevano essere annotati nella sezione dei risconti’, ammettendo, tuttavia, che,
per gli anni successivi, come quelli che vengono in rilievo nel caso di specie, a seguito della nuova normativa, ‘dovevano essere annotati nella voce costi indeducibili’.
La difesa non tiene conto della motivazione spesa dalla Corte territoriale, su analoga doglianza veicolata attraverso l’atto di appello, che ha tenuto conto della deposizione della teste sottolineando, tuttavia, che «nei bilanci da 2015 al 2019 sono presenti nello stato patrimoniale attivo risconti (…) per euro 236.555 ( al 31.12.2015), euro 160.177 ( al 31.12.2016), euro 141.925 ( al 31.12.2017), euro 276.214 ( al 31.12.2018), euro 254.241 ( al 31.12.2019) relativi, però non a imposte e sanzioni future, ma a imposte e sanzioni relativi a periodi precedenti» ( pag.8 della sentenza impugnata) e che la non corretta imputazione di tali importi, alla luce della normativa vigente al momento di redazione degli stessi bilanci, ne ha c omportato un’alterazione per un importo rilevante, attraverso voci non correttamente configurate, dal punto di vista contabile.
Con motivazione immune da vizi, la corte territoriale ha ritenuto, pertanto, che la condotta dell’imputato, consistita nell’indicare nell’attivo del bilancio voci che tali non erano, è frutto di una tenuta irregolare delle scritture, rimproverabile, quanto meno, a titolo di negligenza, che ha sortito l’effetto di impedire la ricostruzione delle vicende e del patrimonio societario.
3.Il terzo motivo è manifestamente infondato, oltre che sotto alcuni profili inedito.
Va rilevata la manifesta infondatezza della deduzione difensiva -legata alla mancata applicazione delle previsioni di cui all’art. 217 bis Legge Fall.secondo cui «Le disposizioni di cui all’articolo 216, terzo comma, e 217 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all’articolo 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis »- in quanto nella fattispecie in esame il concordato non è stato approvato e, dunque, i pagamenti non sono intervenuti in esecuzione di un concordato preventivo come prevede la norma appena richiamata. Si tratta, inoltre, di deduzione specifica inedita, in quanto non oggetto di devoluzione attraverso l’atto di appello . E’ priva di pregio anche l’ulteriore sottolineatura data alla sussistenza dei crediti, oggetto del contestato pagamento, in quanto non considera che, per integrare il reato di bancarotta fraudolenta preferenziale, è necessario che il pagamento estingua un debito effettivo, certo ed esigibile e della cui esistenza l’imprenditore deve fornire prova; diversamente, non si verificherebbe un trattamento diseguale dei creditori, con conseguente violazione della ‘ par condicio creditorum ‘ bensì una
distrazione dei beni (Sez. 5, n. 29431 del 06/07/2006, COGNOME, Rv. 235216, secondo cui “integra il delitto di bancarotta per distrazione la condotta dell’imprenditore che provveda al pagamento di un credito fittizio o comunque non afferente alla gestione sociale, considerato che grava sul fallito l’obbligo giuridico di fornire dimostrazione della destinazione dei beni acquisiti al suo patrimonio”).
La censura difensiva pone, inoltre, il tema del mancato scrutinio dell’elemento soggettivo del reato che è stato desunto dalla considerazione del fatto che i pagamenti sono stati effettuati in favore di terzi creditori riconducibili alla famiglia COGNOME ( essendo la RAGIONE_SOCIALE società della famiglia COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE socio unico della fallita ( pag.11). Al riguardo va ribadito che, in tema di bancarotta preferenziale, l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione della eventualità di un danno per gli altri, secondo lo schema del dolo eventuale ( Sez. 5, n. 592 del 04/10/2013, dep. 2014, Rv. 258713 -01; Sez. 5,n. 31894 del 26/06/2009, Rv. 244498). E in tale cornice si inquadra il coerente percorso argomentativo dei giudici di merito che, proprio alla luce della necessità di sottrarre i beni personali all’esecuzione degli altri creditori, hanno individuato la primaria finalità dell’agente.
4. IL quarto motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha confermato il percorso logico motivazionale seguito dai primi giudici, con motivazione priva di discrasie, sottolineando che l’imputato, esponendo in bilancio negli anni 2015-2018 attività inesistenti ed omettendo di chiedere il fallimento, ha integrato la fattispecie contestata, in quanto « già dal 2016 la società non era in grado di onorare i propri debiti e che il patrimonio netto era negativo per euro 956.368,00» (pag.9), rilevando, inoltre, che il dissesto si è aggravato negli anni successivi a causa del prolungamento dell’ attività imprenditoriale. Le deduzioni difensive non sono idonee a disarticolare l’impianto motivazionale della sentenza impugnata in quanto omette, peraltro, di considerare che l’assoluzione per la bancarotta distrattiva risulta legata all’accertata falsità del bilancio ovvero sul presupposto che i dati riportati in bilancio siano frutto di ‘artifici contabili’ .
IL quinto motivo è inammissibile in quanto la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, anche nella fissazione della pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di
cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, COGNOME, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, COGNOME, Rv. 245596). Nel caso in esame, la sentenza impugnata, con riferimento alla misura della pena complessiva inflitta all’imputato, contenuta – per altro – entro limiti inferiori alla media edittale, ha fatto buon governo della legge penale e dato conto delle ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalità, l’esercizio del potere discrezionale ex art. 132 cod. pen. della Corte di meritoavendo fatto riferimento all’esecuzione di pagamenti preferenziali a fronte di un rilevante passivo fallimentare ( essendo i debiti accertati dalla sentenza dichiarativa di fallimento superiori ad un importo di cinque milioni di euro) oltre che all’entità dell’aggravamento del dissesto .
In conclusione il ricorso deve essere rigettato ed il dispositivo della sentenza impugnata deve essere rettificato, per le ragioni suindicate nel senso che dopo le parole ‘ alle condizioni di legge’ deve leggersi ‘ conferma nel resto’. Il ricorrente va condannato, altresì, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rettificato il dispositivo della sentenza impugnata nel senso che dopo le parole “alle condizioni di legge” leggasi altresì “conferma nel resto’, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 07/05/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME