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Bancarotta preferenziale: fondi personali e dolo

Un imprenditore, dopo il fallimento, ottiene un prestito personale garantito dalla pensione e lo usa per pagare alcuni creditori. La Cassazione conferma la sua condanna per bancarotta preferenziale, stabilendo che anche l’uso di fondi personali per favorire certi creditori a danno della massa è reato. L’ignoranza della dichiarazione di fallimento è stata considerata irrilevante.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta preferenziale: quando usare fondi personali diventa reato

L’uso di fondi personali per pagare debiti pregressi può sembrare un’azione lecita, ma cosa succede se chi effettua i pagamenti è un imprenditore fallito? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito che tale condotta può integrare il grave reato di bancarotta preferenziale, anche se i fondi provengono da un finanziamento personale e non direttamente dal patrimonio aziendale. Questo caso offre spunti cruciali sul confine tra gestione del debito personale e responsabilità penale nel contesto di una procedura fallimentare.

I fatti del caso: un finanziamento personale dopo il fallimento

Un imprenditore, titolare di un’impresa individuale dichiarata fallita, si trovava in una situazione finanziaria difficile. Per far fronte a un precedente finanziamento e ad altri debiti personali, decideva di richiederne uno nuovo, pari a circa 29.000 euro. A garanzia di questo prestito, cedeva un quinto della propria pensione, un bene che, secondo la legge fallimentare, non rientra nel patrimonio da liquidare a favore dei creditori.

Con la somma ottenuta, l’imprenditore estingueva i debiti personali, avvantaggiando di fatto i creditori che li avevano erogati. Questa operazione, tuttavia, non passava inosservata. La Procura contestava all’uomo il reato di bancarotta, ritenendo che avesse violato il principio della par condicio creditorum, ovvero la parità di trattamento che deve essere garantita a tutti i creditori nell’ambito di una procedura fallimentare.

La difesa dell’imputato: fondi personali e ignoranza del fallimento

La difesa dell’imprenditore si basava su due argomenti principali:
1. Natura personale dei fondi: Poiché il finanziamento era stato ottenuto a titolo personale e garantito da un bene non aggredibile dai creditori del fallimento (la pensione), le somme non sarebbero mai potute confluire nella massa fallimentare. Di conseguenza, il loro utilizzo per pagare debiti personali non avrebbe danneggiato gli altri creditori.
2. Mancanza di dolo: L’imprenditore sosteneva di non essere a conoscenza della sentenza che dichiarava il suo fallimento. Pertanto, agendo in buona fede, non avrebbe avuto l’intenzione di commettere un illecito.

Inoltre, la difesa lamentava il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante del danno di speciale tenuità.

L’analisi della Corte sulla bancarotta preferenziale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno smontato le argomentazioni difensive con un ragionamento chiaro e lineare. Il punto centrale della decisione è che, per configurare la bancarotta preferenziale, non è rilevante la provenienza dei fondi, bensì l’effetto della condotta. Pagando alcuni creditori, l’imprenditore ha alterato la parità di trattamento, sottraendo risorse che, seppur ottenute personalmente, avrebbero potuto essere comunque destinate alla procedura fallimentare, a beneficio di tutti i creditori.

I giudici hanno specificato che il finanziamento, sebbene richiesto a titolo personale, avrebbe potuto essere comunicato e trasferito alla procedura, garantendo così una più equa distribuzione delle risorse. L’azione dell’imprenditore ha invece creato una preferenza ingiustificata, concedendo ad alcuni creditori un’immediata liquidità a danno della massa.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha fondato la sua decisione su diversi pilastri giuridici. In primo luogo, ha ribadito che la conoscenza della dichiarazione di fallimento non è un requisito necessario per la sussistenza dei reati di bancarotta postfallimentare. La sentenza di fallimento è un presupposto oggettivo del reato, non un elemento che deve essere conosciuto dall’imputato. Ad ogni modo, nel caso di specie, esistevano prove che l’imprenditore fosse stato informato (raccomandate, convocazioni).

Per quanto riguarda le circostanze attenuanti generiche, la Corte ha ricordato che, a seguito della riforma del 2008, la sola incensuratezza non è più sufficiente per la loro concessione. È necessaria la presenza di elementi positivi che giustifichino una riduzione della pena, elementi che i giudici di merito non hanno riscontrato.

Infine, è stata respinta anche la richiesta di applicazione dell’attenuante per danno di speciale tenuità. I giudici hanno valutato non solo l’importo distratto, ma lo hanno confrontato con l’enorme passivo fallimentare (250.000 euro) a fronte di un attivo quasi inesistente (1.500 euro), concludendo che il danno arrecato alla massa dei creditori non poteva in alcun modo essere considerato di lieve entità.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale del diritto fallimentare: la tutela della par condicio creditorum è un bene giuridico di primaria importanza. L’imprenditore dichiarato fallito ha il dovere di astenersi da qualsiasi atto che possa favorire un creditore a scapito degli altri. La pronuncia chiarisce che anche l’utilizzo di somme ottenute a titolo personale può integrare il reato di bancarotta preferenziale se l’effetto finale è quello di violare la parità di trattamento. La provenienza del denaro diventa secondaria rispetto al danno arrecato alla collettività dei creditori, che vengono privati della possibilità di concorrere equamente sul patrimonio del debitore.

Utilizzare un prestito personale per pagare alcuni debiti dopo il fallimento è reato?
Sì, secondo la sentenza, tale condotta integra il reato di bancarotta preferenziale. Non rileva la provenienza personale dei fondi (in questo caso, un finanziamento garantito dalla pensione), ma l’effetto dell’azione, che consiste nel favorire alcuni creditori a danno della massa creditoria, violando la parità di trattamento.

È necessario essere a conoscenza della dichiarazione di fallimento per essere condannati per bancarotta?
No, per i delitti di bancarotta postfallimentare, la dichiarazione di fallimento è un presupposto oggettivo del reato, ma non è richiesta la sua effettiva conoscenza da parte dell’imputato. L’illecito si configura per il solo fatto di compiere atti di distrazione o preferenza dopo che il fallimento è stato dichiarato.

La fedina penale pulita è sufficiente per ottenere le attenuanti generiche?
No. La Corte ha ribadito che, a seguito della riforma legislativa del 2008, il solo stato di incensuratezza dell’imputato non è più un elemento sufficiente per la concessione delle circostanze attenuanti generiche. Il giudice deve motivare la concessione sulla base di elementi e circostanze di segno positivo, che nel caso di specie non sono stati ravvisati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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