Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17219 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17219 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 19/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CARMAGNOLA il 21/07/1975 avverso la sentenza del 01/07/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione, COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 10 luglio 2024 la Corte di appello di Torino ha confermato la pronuncia del Tribunale cittadino dell’8 febbraio 2022 con la quale Barolo NOME NOME era stato condannato alla pena di giustizia, nella qualità di componente del Consiglio di amministrazione e amministratore unico dall’anno 2010 della società RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Torino del aprile 2015:
-per il reato di bancarotta preferenziale, riqualificando la originari contestazione di bancarotta distrattiva per i fatti di cui al primo capoverso;
-per il reato di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali per i fatti di cui al quarto capoverso in essi assorbiti i fatti di cui al secondo e quint capoverso;
per il reato di bancarotta semplice documentale per i fatti di cui al terzo capoverso.
Con l’aggravante di avere cagionato un danno di rilevante gravità.
Avverso la decisione della Corte di Appello ha proposto ricorso l’imputato, attraverso il difensore di fiducia, articolando i motivi di censura di seguito enunciat nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta preferenziale.
La sentenza impugnata ha trascurato che l’imputato, socio della società, aveva costantemente versato danaro nelle casse della società con l’obiettivo di evitare l’insolvenza della stessa e che i ciclici rimborsi ricevuti dalle casse socia erano legati al pagamento di spese aziendali anticipate attraverso conti personali con la previsione che sarebbero arrivati pagamenti certi da parte dello Stato.
La Corte territoriale ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui al fine della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta preferenziale non sarebbe necessario il dolo specifico di danneggiare gli altri creditori, ma sarebbe sufficiente la consapevolezza dell’imminente stato di insolvenza e la scelta arbitraria di soddisfare alcuni creditori a scapito di altri.
Siffatta ricostruzione, lamenta la difesa, è frutto di una erronea interpretazione dell’elemento soggettivo della fattispecie di bancarotta fraudolenta preferenziale.
Il dolo specifico è caratterizzato dalla intenzione di favorire uno o più creditori in danno della intera massa (Sez.5, n.54465/2018). Non è necessario che il pregiudizio sia direttamente voluto dal soggetto attivo, ma che ne sia accettata l’eventualità secondo lo schema tipico del dolo eventuale.
Il ricorrente richiama recenti pronunzie di questa Corte (Sez.5, n.29874/2021; Sez.5, n.4814/2024) che hanno escluso il dolo specifico della bancarotta preferenziale quando il pagamento effettuato in favore dei creditori sia volto in via esclusiva o prevalente alla salvaguardia dell’attività sociale e fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente prevedibile.
Nel caso di specie l’imputato era ricorso alla restituzione dei finanziamenti unicamente per consentire ai propri conti personali di disporre della provvista sufficiente per il pagamento dei debiti sociali nell’attesa che lo Stato pagasse gli ingentissimi crediti maturati negli anni. In particolare, egli aveva agito pe soddisfare le richieste dei lavoratori dipendenti.
2.2. Con il secondo motivo è stato dedotto vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla sussistenza della bancarotta impropria derivante da false comunicazioni sociali.
Nel caso in esame all’imputato è contestato di avere esposto fatti non corrispondenti al vero nei bilanci al 31 dicembre 2007 e al 31 dicembre 2008, così aggravando il dissesto della società.
Secondo la Corte territoriale l’assenza di prove documentali a sostegno di alcuni dei crediti iscritti in bilancio (prestazioni erogate in favore delle Procure dell Repubblica per lo svolgimento di attività di intercettazione ambientale) unitamente alla rettifica tardiva delle scritture contabili e lo storno della compensazione con i debito INPS costituirebbero indici univocamente rivelatori di una condotta dolosa volta a mascherare la reale situazione della società.
In realtà, lamenta la difesa, la prova della effettività dei crediti potev assicurarla unicamente il curatore.
2.2.1. Quanto poi alla falsificazione del bilancio al 31 dicembre 2008 in relazione al debito previdenziale, la sentenza appare contraddittoria:
in data 20 dicembre 2008 gli amministratori inserivano con effetti solo contabili la scrittura “INPS c. Contributi INPS fatture da emettere 200.000” in questo modo riducendo il debito ai soli fini contabili;
in data 31 dicembre 2008 gli amministratori inserivano agli effetti economici una seconda scrittura contabile tale da inficiare il bilancio di esercizio recante dicitura “fatture da emettere- ricavi per prestazioni di servizi 400.000.”
La Corte territoriale ha ritenuto la fittizietà dei ricavi per prestazioni di serv solo per 200.000, 00 euro.
Tuttavia, in relazione ad un’altra operazione contabile relativa all’esercizio precedente, la dicitura “fatture da emettere- ricavi per prestazioni di servizi” non è stata considerata una esposizione fittizia, quanto piuttosto prestazione realmente effettuata che però per la sua peculiare natura si svolge a cavallo di più esercizi.
2.2.2. La difesa lamenta vizio di motivazione quanto al secondo profilo di falsificazione del bilancio relativo alla capitalizzazione – quale immobilizzazione materiale – di un software GPS autoprodotto dalla società, capitalizzato nel bilancio al 31 dicembre 2007 per un valore di 281.779,00 euro.
La sentenza impugnata ha fondato l’assunto sulle indicazioni della consulenza del Pubblico Ministero secondo cui il software in questione non si era mai tradotto in ricavi diretti o indiretti, né si rappresentavano possibilità future in tal senso.
Secondo la difesa la pronuncia ha però pretermesso plurime fonti di prova documentali e dichiarative che testimoniano nello stesso periodo il valore de! software e la necessità di indicarlo in bilancio.
2.2.3. Quanto all’omesso accantonamento dell’importo di circa 93.000,00 euro al Fondo Svalutazione crediti, la sentenza impugnata ha considerato siffatta
circostanza non come esposizione di fatti non rispondenti al vero, ma quale risultato di una valutazione e dunque al confine della rilevanza penale.
La sentenza ha erroneamente interpretato la norma alla luce delle indicazioni delle SS.UU. n. 22474 del 31/03/2016, ric. COGNOME, dal momento che nel caso di specie la condotta è omissiva consistendo nel non avere svalutato il credito verso la P.A. – ammontante a 943.204,00 euro – del 10°/0. Nelle note integrative al bilancio vi era una espressa indicazione di proposte transattive. Non si spiega però quale criterio normativamente previsto avrebbe imposto la svalutazione atteso che gli amministratori non potevano essere certi del pagamento e del pagamento dello stesso entro l’esercizio successivo. Del resto, la P.A. pagò meno della metà del credito complessivo.
2.2.4. Se si esclude ai fini della imputazione lo storno dei 200.000,00 euro di fatturato per il debito INPS, le false indicazioni non supererebbero la soglia di punibilità prevista dalla norma civilistica e non si potrebbe ritenere integrata la bancarotta impropria che richiede la sussistenza del reato presupposto delle false comunicazioni sociali.
2.2.5. Infine, la Corte territoriale ha omesso di motivare quanto alla sussistenza del nesso di causalità tra tali fatti e la verificazione o l’aggravamento del dissesto.
La sentenza impugnata ha riconosciuto che le cause del dissesto sono da rinvenire nelle gravi difficoltà che la società ha incontrato nell’incassare i credi maturati nei confronti della pubblica Amministrazione a seguito del mutamento dei quadro normativo delle spese di giustizia con la necessità del ricorso al credito bancario e all’apporto finanziamento soci: la parte più significativa del debito si era formata negli anni 2008/2009 e l’aggravamento del dissesto aveva riguardato solo gli interessi. Appare errata la conclusione della sentenza impugnata laddove ravvisa nella condotta di falso in bilancio la causa dell’aggravio del dissesto pari a 700.261,98 euro.
Sotto l’aspetto soggettivo la difesa evidenzia altresì la assenza di qualsivoglia competenza contabile dell’imputato che svolgeva ruoli operativi di ausiliario di Polizia giudiziaria.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza dell’ipotesi di bancarotta semplice patrimoniale e di bancarotta fraudolenta documentale generica (tenuta irregolare delle scritture contabili contabilizzando ricavi per prestazioni di servizi per 382.127 euro e mancata richiesta del fallimento) ritenute assorbite nella fattispecie di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali.
Il motivo, dedotto nella ipotesi in cui fosse accolta la censura relativa alla insussistenza della bancarotta impropria, censura la sussistenza della colpa grave
che la Corte territoriale ha erroneamente ravvisato nella prosecuzione dell’attività di impresa in uno stato di crisi conclamata senza correttivi e senza alcuna prospettiva realistica di risanamento. Quanto all’elemento oggettivo la stessa sentenza afferma che la prosecuzione dell’attività ha prodotto un aggravamento del dissesto se non limitatamente agli interessi; inoltre è emerso dall’istruttoria dibattimentale che l’incasso del credito pubblico e le prospettive di risanamento erano concrete.
La censura investe anche la ulteriore condotta ritenuta assorbita nella bancarotta impropria e relativa alla irregolare tenuta delle scritture contabili i ragione non solo della assenza totale di prova sul punto, ma anche della sussistenza di prova contraria atteso che lo stesso consulente NOME ha affermato che la contabilità era stata tenuta in modo corretto.
2.4 Con il quarto motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione della condizione di non punibilità di cui all’art.131 bis cod. pen. per la condotta di bancarotta semplice documentale (omessa tenuta delle scritture contabili a far data dal marzo 2013).
Si tratta di reato formale e di pericolo presunto: la mancata tenuta delle scritture è coincisa con la cessazione di fatto di qualsivoglia attività commerciale; l’assenza di lesione o di concreta messa in pericolo del bene protetto dalla norma avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a riconoscere la particolare tenuità del fatto al caso in esame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1 II primo motivo di ricorso è manifestamente infondato non confrontandosi con le indicazioni di questa Corte in punto di bancarotta preferenziale e con i contenuti della sentenza impugnata.
1.1. Contrariamente a quanto sostenuto nel motivo di ricorso, la Corte territoriale, con motivazione non manifestamente illogica né contraddittoria, ha chiarito che (p.11 e ss.):
-la circostanza, non contestata, secondo la quale l’imputato ha arbitrariamente deciso quali debiti saldare – inclusi i rimborsi personali- con la giustificazione di garantire la continuità aziendale, non consente di escludere la natura preferenziale dei pagamenti effettuati;
la condotta dell’imputato anche se apparentemente mossa da intenzioni favorevoli alla continuità aziendale, ha compromesso la regolarità dei pagamenti, violando il principio di equità tra i creditori e la conseguente alea rispetto all futura restituzione.
Non può dubitarsi, pertanto, della sussistenza del delitto di bancarotta preferenziale nell’ipotesi, come quella in esame, di rimborsi di spese anticipate dall’amministratore, con una gestione promiscua di fondi personali ed aziendali.
1.2. Il ricorrente non contesta la condotta nella sua materialità, quanto piuttosto l’assenza dell’elemento soggettivo ed in particolare il dolo specifico di favorire alcuni creditori in danno degli altri.
In tema di bancarotta preferenziale, l’elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo lo schema del dolo eventuale (Sez. 5, n. 54465 del 05/06/2018, M., Rv. 274188; Sez. 5, n. 16983 del 05/03/2014, Liori, Rv. 262904).
Il dolo specifico, nella fattispecie in esame, è costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione della eventualità di un danno per gli altri. L’offesa non consiste, dunque, nell’indebito depauperamento del patrimonio del debitore, ma nell’alterazione dell’ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori.
L’evento “giuridico” è rappresentato dalla minore percentuale riservata ai creditori a causa degli avvenuti pagamenti o dal fatto che il creditore favorito dai titolo di prelazione simulato lo abbia fatto valere in sede di riparto dell’atti fallimentare.
“La ragione dell’incriminazione va, pertanto, reperita sul piano della giustizia distributiva del sacrificio che avvince tutti i creditori di uno stesso debito in stato d’insolvenza, il quale, cioè, versi in una situazione tale da giustificare presunzione di incapienza del patrimonio e quindi di lesione dei diritti dei creditori” (Sez.5, n.16983 del 5/03/2014, cit.).
1.3.11 ricorrente impropriamente valorizza e richiama le medesime sentenze di questa Corte nella parte in cui affermano che la finalità di recare un eventuale danno per gli altri non è ravvisabile allorché il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale ed il risultat di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile.
Siffatte pronunzie riguardano ipotesi affatto diverse: ipotesi in cui le somme restituite siano state impiegate per evitare il fallimento e non per rimborsare il socio della sua esposizione personale che comunque deve necessariamente concorrere con quella di tutti gli altri creditori.
Diversa, quindi, è la situazione in concreto realizzatasi nel caso in esame:
l’imputato, per effetto dei pagamenti in questione, ha leso l’ordine di soddisfazione dei creditori previsto dalla legge, in relazione all’esistenza di altr creditori privilegiati e chirografari rimasti impagati. La sentenza di primo grado specifica che, in base alla relazione ex art. 33 L. fall. nonché delle dichiarazioni
rese dal curatore fallimentare, vi erano rilevanti debiti tributari rimasti no soddisfatti;
-i pagamenti risultano essere stati effettuati a partire dall’anno 2007 allorquando la situazione di dissesto della società era già conclamata e non poteva essere ignorata dal ricorrente, tanto più se si considera la concorrente consapevole sottoscrizione di bilanci falsi per l’esercizio 2008, proprio per celare la diffic situazione patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE;
le risorse oggetto di restituzione all’imputato potevano essere utilizzate per pagare debiti sociali, senza alcuna necessità di transitare sui conti personali di quest’ultimo.
1.4. Queste considerazioni consentono di escludere il contrasto ravvisato dal ricorrente tra la motivazione della sentenza impugnata e la giurisprudenza di questa Corte richiamata.
Il secondo motivo, articolato in plurime censure relative alla configurabilità del delitto di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali, è anch’esso manifestamente infondato.
Nel suo complesso il motivo è volto ad una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. (S.U. n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944).
2.1. Le false appostazioni nel bilancio 2008 riguardano:
!a compensazione del debito INPS per l’importo di 200.000,00 euro con fatture da emettere per crediti inesistenti per un ammontare di oltre 400.000 euro;
la mancata svalutazione dei crediti verso la P.A.;
la valutazione del software GPS autoprodotto, capitalizzato nel bilancio al 31/12/2007 per un valore di euro 281.779,00 laddove nel bilancio al 31/12/2006 era stato capitalizzato per euro 312.112,00.
2.1.1. Con riferimento alla prima delle false indicazioni, la censura non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata immune da vizi logici (p.12) che, attraverso la ricostruzione dell’operazione contabile, ha chiarito che il conto “fatture da emettere” alla chiusura dell’esercizio 2008 sia stato “gonfiato” del valore di 200.000,00 euro per ridurre fittiziamente il debito nei confronti dell’Ente previdenziale così da consentire alla società fallita di incrementare artificiosamente il risultato di esercizio di un importo pari a 200.000,00 euro.
In particolare:
le fatture da emettere non sono state correttamente appostate in quanto per l’anno 2008 non sono stati emessi i relativi documenti;
il debito verso l’INPS è stato ridotto artificiosamente attraverso una compensazione illegittima con fatture da emettere inesistenti.
Nell’esercizio successivo, infatti, nessuna fattura veniva emessa rispetto all’ulteriore importo di 200.000,00 euro utilizzato per ridurre l’esposizione verso l’INPS.
L’operazione di storno del debito di 200.000 euro verso l’INPS, sulla base di fatture da emettere e quindi di crediti costituisce una falsa rappresentazione del bilancio, in mancanza di documentazione contabile adeguata; tale operazione non può qualificarsi mero errore contabile, quanto piuttosto un artificio in violazione dell’art. 2426 cod. civ., che altera sensibilmente la rappresentazione della situazione richiesta dall’art. 2423 cod. civ. secondo cui “Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio”.
Né coglie nel segno l’obiezione difensiva in base alla quale la medesima operazione, con riferimento all’ attività svolta nell’anno 2007, è stata ritenuta realmente esistente. Infatti, se per l’anno 2007 la sussistenza dei crediti è stata dimostrata attraverso la produzione documentale fornita, lo stesso non è avvenuto con riferimento all’ anno 2008.
Sul punto la censura implica una rivalutazione delle risultanze probatorie in via esclusiva, riservata al giudice di merito, e come tale inammissibile in questa sede.
La sentenza si è uniformata ai principi fissati dalle Sezioni unite di questa Corte secondo cui il reato di false comunicazioni sociali, previsto dall’art. 2621 cod. civ., nel testo modificato dalla legge 27 maggio 2015, n. 69, è configurabile in relazione alla esposizione in bilancio di enunciati valutativi, se l’agente, i presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, se ne discosti consapevolmente e senza fornire adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni. (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv, 266803).
2.1.2. Con riferimento alla mancata svalutazione del credito verso la P.A. di 943.204 euro, anche in tal caso la censura si presenta volta ad una rivalutazione nel merito di argomentazioni immuni da vizi poste a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità nella sentenza impugnata.
La Corte territoriale (p.14 e ss.) ha in primo luogo ribadito che, anche a seguito delle modifiche normative dell’art.2621 cod. civ., l’omessa svalutazione dei crediti rientra nella sfera di punibilità del reato di falso da comunicazioni social (SU. 22474/2016, cit.).
È quanto si verifica nel caso in cui crediti in condizione di sostanziale inesigibilità totale o parziale siano indicati in bilancio al valore di realizzo in luo dell’iscrizione “secondo il presumibile valore di realizzo” prescritto dall’art.2426 n.8 cod. civ.
Nel caso di specie la difesa ha sostenuto che nella nota integrativa di bilancio vi era indicazione che la società transigesse scontando una percentuale del 10% rispetto al credito pattuito, ma la sentenza impugnata ha evidenziato l’assenza totale di indicazioni in tal senso nella documentazione presentata.
Va altresì evidenziato che il pagamento effettivo fu inferiore al 50% e che l’amministratore ha l’obbligo di operare svalutazioni adeguate, applicando le regole contabili imposte dalla normativa ed in base alle circostanze concrete, che nel caso di specie dimostravano una grande incertezza di ricevere i pagamenti.
2.1.3 Quanto infine al software autoprodotto, la censura si presenta manifestamente infondata non confrontandosi con le esaustive argomentazioni in fatto delle sentenze dei giudici di merito:
al momento della redazione del bilancio al 31/12/2007 occorreva tenere conto sia del fatto che negli anni precedenti il software in questione non si era mai tradotto né in ricavi indiretti né in ricavi diretti, secondo quanto affermato da consulente del PM, sia del fatto che non era emerso alcun elemento concreto tale da far ritenere ancora sussistenti effettive possibilità di trarre ricavi dall’util dello stesso, nulla dicendo al riguardo le note integrative, che avrebbero dovuto indicare con precisione i criteri utilizzati dagli amministratori per valutare i ben immateriali, al fine di far sì che l’iscrizione riflettesse il valore effettivo del tale situazione avrebbe pertanto imposto, in applicazione dei principi contabili OIC 24 e OIC 9, l’integrale svalutazione del valore del software al bilancio al 31/12/2007, anche in considerazione della situazione di forte difficoltà economica in cui la società già si trovava all’epoca.
Le risultanze probatorie hanno permesso di escludere l’effettiva esistenza e funzionalità del software, né l’esistenza di studi o documenti che ne documentassero l’originalità o novità e le spese di sviluppo che ne avrebbero giustificato un valore di 300.000 euro; oltre alle dichiarazioni del teste COGNOME i punto di mancanza di brevetto, carenza di caratteri di novità o di originalità, lo stesso curatore fallimentare non lo ha rinvenuto, né lo ha valorizzato in sede di vendita fallimentare.
La censura si limita a riportare stralci della deposizione testimoniale di COGNOME richiedendo una rivalutazione delle acquisizioni processuali senza tuttavia lamentare un vero e proprio travisamento della prova dichiarativa.
Va comunque a tal riguardo, per completezza espositiva, ricordato che nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, è inammissibile ex art. 606, comma 3, cod.
proc. pen., il motivo fondato sul travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, che sia stato dedotto per la prima volta con il ricorso per cassazione, poiché in tal modo esso viene sottratto alla cognizione del giudice di appello, con violazione dei limiti del “devolutum” ed improprio ampliamento del tema di cognizione in sede di legittimità. (Sez. 6, n. 21015 del 17/05/2021, Africano, Rv. 281665 – 01)
Anche per questi ulteriori motivi la censura si rivela manifestamente infondata.
2.1.4. Manifestamente infondata l’ultima censura contenuta nel secondo motivo di ricorso quanto al vizio di motivazione in relazione al nesso causale tra le condotte contestate e il dissesto.
Anche sul punto la censura non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata e di quella di primo grado che hanno evidenziato come la scelta di proseguire l’attività sociale nonostante la totale erosione del patrimonio con l’ulteriore elemento specializzante di avere reso possibile tale prosecuzione attraverso le condotte di falso in bilancio prima descritte, ha senz’altro comportato un aggravamento del dissesto che si era già manifestato nell’anno 2007, allorquando la società viveva una situazione di insolvenza strutturale con debiti rilevanti verso l’Erario.
La Corte di appello ha altresì motivato la sussistenza, in termini di condicio sine qua non e non di astratta idoneità, del nesso di causalità tra le false rappresentazioni di bilancio e l’aggravamento del dissesto, avendo dette falsificazioni consentito, la prosecuzione dell’attività.
Va peraltro evidenziato che il reato di bancarotta impropria da reato societario sussiste anche quando la condotta illecita abbia concorso a determinare solo un aggravamento del dissesto già in atto della società. (Sez. 5, n. 29885 de! 09/05/2017, COGNOME, Rv. 270877)
Quanto, infine alla censura in punto di elemento psicologico in capo al ricorrente in relazione alla sua qualifica di ausiliario di polizia giudiziaria pe lavoro svolto nella società (trascrizione di intercettazioni), il dolo richiede un volontà protesa al dissesto intesa non quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico. (Sez. 5, n. 50489 del 16/05/2018, Nicosia, Rv. 274449 – 01; Sez. 5, n. 42257 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 260356; Sez. 5, n. 23091 del 29/03/2012, COGNOME, Rv. 252804).
3.11 terzo motivo è inammissibile per carenza di interesse, poiché la sua trattazione presume logicamente l’accoglimento del secondo motivo.
4. L’ultimo motivo, relativo alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art.131 bis cod. pen. alla bancarotta documentale semplice per
l’omessa tenuta delle scritture contabili obbligatorie per legge, si rivela generico.
La sentenza impugnata ha valorizzato la complessiva gravità della vicenda processuale che ha coinvolto il ricorrente e, con argomentazione logica, ha tratto
da tale circostanza la mancanza di tenuità ed occasionalità della condotta.
La censura, a fronte di siffatto percorso motivazionale, è generica perché fa ieva su altri e diversi aspetti, qualik
– e-
-ssazione dell’attività commerciale.
Il motivo non si confronta con la giurisprudenza di questa Corte che ha chiarito che l’assenza dei presupposti per l’applicabilità della causa di non punibilità
dev’essere motivata con riferimento alle concrete modalità di estrinsecazione del fatto e non con riguardo agli elementi che già integrano la condotta tipica (Sez. 4,
n. 58261 del 29/11/2018, NOME Rv. 274910).
L’art. 131 bis cod. pen., difatti, tanto nella formulazione antecedente quanto in quella successiva alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 1, cligs,
150/2022, intende per l’appunto riferirsi alla connotazione storica della condotta, essendo in questione non la conformità al tipo, bensì l’entità della complessiva situazione reale, irripetibile, e quella del suo disvalore, ricavabile da tutti elementi di fatto concretamente realizzati dall’agente dovendosi considerare, in relazione alle modalità della condotta e all’esiguità del danno o del pericolo, se l’offesa sia di particolare tenuità (ferma restando la non abitualità del comportamento).
Orbene, la sentenza impugnata si è attenuta ai principi di cui innanzi, poiché la motivazione è logica e non contraddittoria, nella parte in cui valorizza la vicenda complessivamente grave e rappresentata da molteplici violazioni della legge fallimentare.
5.Alla inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Consegue altresì, a norma dell’art. 616 cod proc. pen. l’onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso, nella misura di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 19 marzo 2025 Il consigliare estensore