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Bancarotta preferenziale: dolo e continuità aziendale

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un amministratore condannato per bancarotta preferenziale e impropria da false comunicazioni sociali. La sentenza conferma che il rimborso dei propri finanziamenti, anche se finalizzato a sostenere l’operatività aziendale, integra il reato di bancarotta preferenziale quando avviene in uno stato di insolvenza conclamata, violando la par condicio creditorum. I bilanci falsificati, inoltre, hanno consentito la prosecuzione dell’attività, aggravando il dissesto.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Fallimentare, Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta preferenziale: salvarsi non giustifica il danno altrui

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17219/2025, affronta un caso emblematico di bancarotta preferenziale e impropria, offrendo chiarimenti cruciali sulla linea sottile che separa la gestione della crisi aziendale dalla condotta penalmente rilevante. La pronuncia ribadisce un principio fondamentale: l’intento di garantire la continuità aziendale non può mai giustificare pagamenti che favoriscono se stessi o alcuni creditori a discapito della massa creditoria, soprattutto quando lo stato di insolvenza è già evidente.

I Fatti del Caso

Un amministratore di una società a responsabilità limitata, dichiarata fallita nel 2015, veniva condannato in primo e secondo grado per diversi reati fallimentari. Le accuse principali riguardavano:
1. Bancarotta preferenziale: per aver disposto il rimborso di finanziamenti che lui stesso aveva erogato alla società, di fatto preferendo sé stesso come creditore rispetto a tutti gli altri.
2. Bancarotta impropria da false comunicazioni sociali: per aver falsificato i bilanci degli anni precedenti al fallimento, nascondendo la reale situazione debitoria e patrimoniale. Tra le operazioni contestate figuravano la fittizia compensazione di debiti previdenziali, la capitalizzazione di un software autoprodotto di valore incerto e l’omessa svalutazione di ingenti crediti verso la Pubblica Amministrazione.

L’amministratore ricorreva in Cassazione, sostenendo che le sue azioni erano animate dall’unico scopo di superare una crisi di liquidità temporanea e salvare l’impresa, in attesa di cospicui pagamenti dovuti dallo Stato.

L’Analisi della Cassazione sulla Bancarotta Preferenziale

Il ricorrente basava la sua difesa su un punto centrale: l’assenza del dolo specifico. A suo dire, i rimborsi a proprio favore erano un mero passaggio di denaro necessario a disporre della liquidità sui propri conti personali per poter pagare le spese aziendali urgenti, come gli stipendi dei dipendenti. L’obiettivo non era danneggiare gli altri creditori, ma assicurare la sopravvivenza dell’azienda.

La Corte Suprema ha respinto categoricamente questa tesi. La giurisprudenza citata dalla difesa, che in alcuni casi esclude il dolo quando i pagamenti sono volti a salvaguardare l’attività, si riferisce a ipotesi diverse, come il saldo di fornitori strategici essenziali per la produzione. Nel caso di specie, il pagamento era diretto all’amministratore stesso, che si poneva in una posizione di vantaggio rispetto agli altri creditori (tra cui l’Erario) in un momento in cui il dissesto era già conclamato.

Il Legame tra Falso in Bilancio e Aggravamento del Dissesto

Anche le censure relative alla bancarotta da false comunicazioni sociali sono state ritenute infondate. La Cassazione ha sottolineato come il ricorso mirasse a una nuova valutazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità. Le corti di merito avevano logicamente e adeguatamente motivato la falsità delle appostazioni di bilancio:
* La compensazione con il debito INPS era basata su fatture da emettere inesistenti.
* La capitalizzazione del software non era supportata da alcuna prova del suo valore effettivo o della sua funzionalità.
* L’omessa svalutazione di un credito verso la P.A. (pagato poi per meno della metà) non poteva essere considerata una mera valutazione discrezionale, ma una rappresentazione non veritiera della realtà patrimoniale, data l’elevata incertezza sull’incasso.

La Corte ha ribadito che queste falsificazioni non sono state ininfluenti. Al contrario, hanno permesso alla società di continuare a operare e ad accumulare debiti, mascherando uno stato di erosione totale del patrimonio. Ciò ha integrato il nesso di causalità tra la condotta illecita e l’aggravamento del dissesto.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, sottolineando che l’elemento soggettivo nella bancarotta preferenziale non richiede l’intenzione di danneggiare gli altri creditori, essendo sufficiente la volontà di avvantaggiarne uno con la consapevolezza della situazione di insolvenza e la conseguente accettazione del rischio (dolo eventuale) di ledere gli altri. L’alterazione della par condicio creditorum è il nucleo del reato. Per quanto riguarda la bancarotta impropria, la sentenza ha evidenziato come la condotta di falso in bilancio abbia avuto un impatto causale diretto sull’aggravamento del dissesto, consentendo la prosecuzione di un’attività d’impresa ormai priva di basi economiche sane. La Corte ha quindi dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusioni

La decisione in esame costituisce un importante monito per gli amministratori di società in crisi. L’intenzione di salvare l’azienda, per quanto lodevole, non può mai tradursi in azioni che violano i principi fondamentali del diritto fallimentare, come la parità di trattamento dei creditori. La gestione della crisi richiede trasparenza e correttezza, soprattutto nella redazione dei bilanci, che devono rappresentare in modo veritiero la situazione patrimoniale. Pagamenti preferenziali e bilanci ‘abbelliti’ non solo non risolvono i problemi, ma espongono gli amministratori a gravi responsabilità penali.

Pagare un proprio credito verso la società in crisi per garantirne la continuità operativa costituisce bancarotta preferenziale?
Sì. Secondo la sentenza, il rimborso di un finanziamento dell’amministratore a sé stesso, in una situazione di conclamato dissesto della società, integra il reato di bancarotta preferenziale. Questo perché tale pagamento viola la parità di trattamento tra i creditori (par condicio creditorum), avvantaggiando l’amministratore a danno della massa creditoria, a prescindere dalla finalità di sostenere l’attività aziendale.

Quando una valutazione di bilancio, come la mancata svalutazione di un credito, diventa un reato di false comunicazioni sociali?
Una valutazione diventa reato quando l’amministratore si discosta consapevolmente dai criteri normativi o tecnici, senza fornire adeguata giustificazione, e in modo idoneo a indurre in errore i destinatari del bilancio. Nel caso specifico, non svalutare un credito di cui era altamente incerta la riscossione è stato considerato un’esposizione di fatti non rispondenti al vero, e non una mera valutazione discrezionale, data la grave difficoltà economica della società e la sostanziale inesigibilità del credito.

L’intenzione di salvare l’azienda può escludere il dolo nel reato di bancarotta preferenziale?
No. La Corte ha chiarito che l’elemento soggettivo del reato consiste nella volontà di avvantaggiare un creditore, accettando la possibilità di danneggiarne altri (dolo eventuale). La finalità di salvaguardare l’attività sociale non è una scriminante, specialmente quando il pagamento preferenziale è a favore dell’amministratore stesso e avviene in un quadro di insolvenza già manifesto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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