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Bancarotta prefallimentare: da quando la prescrizione?

Un imprenditore, condannato per bancarotta societaria fraudolenta, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che il reato fosse prescritto. L’argomento principale era che la prescrizione per la bancarotta prefallimentare dovesse decorrere dai singoli atti illeciti e non dalla data della sentenza di fallimento. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando il principio consolidato secondo cui il termine di prescrizione per la bancarotta prefallimentare inizia a decorrere solo dal momento della dichiarazione di fallimento, consolidando un importante principio di diritto.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta prefallimentare: la Cassazione chiarisce la decorrenza della prescrizione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale in materia di reati fallimentari, specificando il momento esatto da cui decorre il termine di prescrizione per la bancarotta prefallimentare. Questa decisione è di fondamentale importanza per professionisti e imprenditori, poiché chiarisce in modo definitivo come calcolare il tempo a disposizione dell’autorità giudiziaria per perseguire tali illeciti. L’analisi del caso offre spunti essenziali sulla corretta interpretazione delle norme procedurali e sostanziali.

I fatti del caso

Un imprenditore, già condannato in primo e secondo grado per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, ha proposto ricorso per cassazione. La sua difesa si basava su diversi motivi, ma il fulcro dell’argomentazione riguardava la presunta estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Secondo il ricorrente, il termine avrebbe dovuto essere calcolato a partire dal momento in cui erano state compiute le singole condotte distrattive, anni prima della sentenza dichiarativa di fallimento.

I motivi del ricorso e le questioni procedurali

Il ricorso si articolava su più punti, ma i principali erano:
1. Violazione di legge sulla prescrizione: Il ricorrente lamentava una violazione dell’art. 157 del codice penale e del principio del tempus commissi delicti. Sosteneva che per la bancarotta prefallimentare, il reato si consuma con le singole azioni illecite e non con la successiva dichiarazione di fallimento.
2. Vizi di motivazione e dolo: Altri motivi riguardavano presunte violazioni di legge nella valutazione della prova (art. 192 c.p.p.) e la sussistenza dell’elemento psicologico del dolo.
3. Violazione del diritto di difesa: Infine, venivano invocate presunte violazioni di norme costituzionali (artt. 24 e 111 Cost.) e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (art. 6 CEDU).

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, smontando una per una le argomentazioni della difesa con motivazioni chiare e basate su una giurisprudenza consolidata.

La Corte ha innanzitutto respinto il motivo principale relativo alla prescrizione, definendolo ‘manifestamente infondato’. Ha ribadito che, secondo un orientamento assolutamente pacifico, ‘il termine di prescrizione del reato di bancarotta prefallimentare decorre dal momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e non dal momento di consumazione delle singole condotte distrattive precedenti a tale declaratoria’. La sentenza di fallimento non è solo una condizione di procedibilità, ma un elemento costitutivo del reato stesso, che rende le condotte precedenti penalmente rilevanti. Di conseguenza, il calcolo della prescrizione non poteva che partire dalla data della dichiarazione di fallimento (nel caso specifico, il 28 maggio 2013), rendendo il reato non ancora prescritto.

Per quanto riguarda gli altri motivi, la Corte li ha giudicati inammissibili per ragioni procedurali. La questione sul dolo non era stata sollevata nel precedente grado di giudizio (Corte d’Appello) e non poteva, quindi, essere proposta per la prima volta in Cassazione. Inoltre, le censure relative alla valutazione delle prove (art. 192 c.p.p.) e alla genericità dei motivi sono state respinte perché non rientrano tra i vizi di legittimità che possono essere fatti valere in Cassazione, se non in casi specifici non ricorrenti nella fattispecie. Allo stesso modo, anche i motivi relativi alla violazione dei diritti di difesa sono stati ritenuti generici e privi dei requisiti di specificità richiesti dalla legge.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un pilastro fondamentale del diritto penale fallimentare: la decorrenza della prescrizione per la bancarotta prefallimentare è ancorata alla data della sentenza di fallimento. Questa interpretazione garantisce la tutela dei creditori e la certezza del diritto, evitando che condotte illecite, spesso scoperte solo a seguito della procedura concorsuale, possano sfuggire alla sanzione penale a causa del decorso del tempo. La decisione serve anche come monito sulla necessità di formulare i ricorsi in modo specifico e di sollevare tutte le eccezioni nei gradi di merito appropriati, pena la loro inammissibilità in sede di legittimità.

Quando inizia a decorrere il termine di prescrizione per il reato di bancarotta prefallimentare?
Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, il termine di prescrizione per il reato di bancarotta prefallimentare inizia a decorrere dalla data della sentenza che dichiara il fallimento, e non dal momento in cui sono state commesse le singole condotte illecite precedenti.

È possibile presentare per la prima volta in Cassazione un motivo di ricorso non discusso in Appello?
No. La Corte ha ribadito che non è consentito proporre per la prima volta in sede di legittimità un vizio della motivazione relativo a elementi fattuali che non sono stati oggetto dei motivi di appello, in quanto tale questione doveva essere sottoposta al giudice del secondo grado.

Quali sono le conseguenze di un ricorso in Cassazione ritenuto inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie con una condanna al pagamento di tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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