Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10960 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10960 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/01/2025
In nome del Popolo Italiano
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da:
NOME COGNOME – Presidente – NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME – Relatore –
Sent. n. sez. 6/2025 UP – 08/01/2025 R.G.N. 35474/2024
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MILANO il 06/07/1959
avverso la sentenza del 10/06/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso;
udite le conclusioni dellÕavv. NOME COGNOME e dellÕavv. NOME COGNOME per lÕimputato, che hanno chiesto di accogliere il ricorso.
Con sentenza del 15 dicembre 2022, il Tribunale di Milano aveva condannato COGNOME Giorgio alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta per operazioni dolose, in relazione alla societˆ ÒAltec s.r.l.RAGIONE_SOCIALE, fallita il 20 dicembre 2012.
Con sentenza del 10 giugno 2023, la Corte di appello di Milano ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, escludendo la recidiva, riducendo ad anni tre la durata della pena principale e sostituendo la pena detentiva con la detenzione domiciliare.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato Ð nella qualitˆ, prima, di amministratore unico, poi, di presidente del consiglio di amministrazione e, infine, di liquidatore Ð avrebbe cagionato, per effetto di operazioni dolose, il dissesto della societˆ, facendola partecipare a una frode fiscale diretta ad evadere le imposte sul valore aggiunto e sul reddito, per gli anni 2008, 2009 e 2010, alla quale conseguiva una successiva pretesa erariale per 4,8 milioni di euro.
Avverso la sentenza della Corte di appello, lÕimputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di motivazione, in relazione agli artt. 110 cod. pen. e 223 legge fall.
Rappresenta che la difesa, con lÕatto di appello, aveva sostenuto che la causa del dissesto sarebbe stata la mancata nomina di un amministratore giudiziario, nellÕambito di un diverso procedimento penale a carico dellÕimputato, avente a oggetto una grossa frode fiscale finalizzata a perpetrare una sistematica evasione dellÕimposta sul valore aggiunto. In particolare, nellÕambito di quel procedimento, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como, contravvenendo allÕart. 104 disp. att. cod. proc. pen., nel disporre il sequestro dei saldi attivi dei conti correnti e degli automezzi della RAGIONE_SOCIALE, aveva omesso di nominare un amministratore giudiziario. Tale omissione, unitamente all’applicazione della misura cautelare in carcere nei confronti del presidente del consiglio di amministrazione (e socio di maggioranza della societˆ), avrebbe impedito alla RAGIONE_SOCIALE di continuare l’attivitˆ di commercio e di manutenzione di prodotti e sistemi informatici, portandola al dissesto.
Il ricorrente evidenzia che la tesi difensiva si basava sulla consulenza tecnica di parte, che aveva posto in rilievo che: l’effettivo debito erariale conseguente alla partecipazione alla frode carosello era quantificabile nella misura di euro 1.600.00,00 (inferiore al complessivo debito erariale); la societˆ era leader nel settore del commercio e della manutenzione dei prodotti e dei sistemi informatici ed aveva un fatturato che sfiorava i 50 milioni di euro. Il consulente tecnico di parte aveva sostenuto che un amministratore giudiziario avrebbe potuto convincere i rappresentanti delle banche a rinnovare gli affidamenti alla societˆ, avrebbe potuto impugnare gli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle entrate e
si sarebbe potuto avvalere di una serie di istituti di natura deflattiva che avrebbero potuto far risparmiare rilevanti risorse alla fallita.
La Corte di appello avrebbe omesso di motivare sulla questione posta dalla difesa e non avrebbe considerato che l’imputato non avrebbe potuto prevedere che il Giudice per le indagini preliminari violasse lÕart. 104 disp. att. cod. proc. pen., non nominando un amministratore giudiziario.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di motivazione.
Contesta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, sostenendo che la Corte di appello non avrebbe valutato tutti gli elementi rilevanti al fine del riconoscimento del beneficio. In particolare, non avrebbe considerato che l’importo del debito erariale correlato alla frode carosello era inferiore a quello riportato nell’imputazione e risultava in ogni caso compensato da quanto confiscato. Non avrebbe tenuto conto, inoltre, del fatto che l’imputato avrebbe cercato di salvare l’azienda, segnalando alla competente Procura della Repubblica gli errori realizzati dall’autoritˆ giudiziaria procedente.
2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di motivazione e la violazione degli artt. 20-bis cod. pen. e 56-bis e 58 legge n. 689 del 1981.
Lamenta il fatto che la Corte di appello ha sostituito la pena della reclusione con la detenzione domiciliare, anzichŽ con la meno afflittiva sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilitˆ.
Sostiene che la Corte territoriale, ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di legittimitˆ, avrebbe ancorato tale decisione unicamente ai precedenti penali e alla gravitˆ dei reati commessi, omettendo di considerare la risalenza nel tempo delle precedenti condanne e la condotta successiva alla commissione del reato oggetto del presente procedimento. In particolare, non avrebbe tenuto conto della positiva evoluzione della personalitˆ dell’imputato, riconosciuta dal Tribunale di sorveglianza di Milano, che lÕaveva ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali e che, all’esito positivo della prova, aveva dichiarato estinta la pena.
Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Esso, invero, è privo di specificitˆ estrinseca, in quanto le censure nelle quali si articola non tengono conto delle argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata.
La Corte di appello, invero, a fronte di un motivo di gravame con il quale si sosteneva che la causa del fallimento sarebbe stata la mancata nomina di un amministratore giudiziario, ha rilevato che lÕimputato non solo aveva coinvolto la societˆ nella vicenda penale della Òfrode caroselloÓ, ma aveva sistematicamente evaso il pagamento delle imposte, determinando un ingentissimo debito verso lÕerario, per milioni di euro. In tale contesto, il procedimento penale e le vicende relative al sequestro non costituivano certo eventi imprevedibili e indipendenti dalla volontˆ dellÕimputato, ma le conseguenze della sua condotta illecita. In diritto, la Corte territoriale ha poi correttamente rilevato che è sufficiente che lÕoperazione dolosa si ponga come concausa del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen.
Si tratta di una motivazione congrua in fatto e corretta in diritto.
La Corte territoriale, invero, ha fatto buon governo del principio secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della societˆ, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, COGNOME, Rv. 273337).
Quanto poi allÕincidenza della condotta dellÕimputato nella verificazione dellÕevento, ha correttamente tenuto conto del principio secondo il quale, Çin tema di fallimento determinato da operazioni dolose, non interrompono il nesso di causalitˆ tra l’operazione dolosa e l’evento fallimentare nŽ la preesistenza alla condotta di una causa in sŽ efficiente verso il dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., nŽ il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto giˆ in attoÈ. Ebbene, nel caso in esame, non pu˜ certo considerarsi illogica la valutazione dei giudici di merito che hanno ritenuto che la sistematica evasione del pagamento delle imposte, con conseguente debito erariale per milioni di euro, si sia posta, in ogni caso, come concausa che abbia contribuito al dissesto della societˆ.
Sotto altro profilo, deve essere rilevato che il sequestro del saldo attivo del conto corrente e dei beni mobili registrati non imponeva necessariamente la nomina di un amministratore giudiziario. Al riguardo, va rilevato che questa Corte, pronunciandosi sullÕart. 104-bis disp. att. cod. proc. pen., nel testo vigente allÕepoca dei fatti, ha affermato che Çin tema di sequestro preventivo, la decisione di nominare un amministratore giudiziario ai sensi dell’art. 104-bis disp. att. cod. proc. pen. per consentire la gestione e l’esercizio del complesso dei beni aziendali non è obbligatoria ma è rimessa alla sfera discrezionale del giudiceÈ (Sez. 3, n. 13041 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 255115).
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Per la consolidata giurisprudenza di legittimitˆ, nel motivare il diniego delle attenuanti generiche, è sufficiente un congruo riferimento, da parte del giudice di merito, agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, COGNOME, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244), come parimenti avvenuto nel caso in esame (cfr. pagine 14 e 15 della sentenza impugnata).
In particolare, la Corte di appello ha posto in rilievo che: il debito erariale legato alla frode carosello era comunque di rilevante importo, atteso che era pari a 1,6 milioni di euro; la condotta dell’imputato si inseriva in un contesto di frode fiscale di ampia portata, che ne accresceva il disvalore; l’imputato era gravato da precedenti penali per reati di analoga indole.
1.3. Il terzo motivo è infondato.
Va premesso che lÕart. 20-bis cod. pen. rimette lÕapplicazione delle pene sostitutive e la scelta della sanzione alla valutazione discrezionale del giudice.
Quanto all’esercizio di tale potere discrezionale, fondamentale è lÕart. 58 della legge n. 681 del 1989, significativamente intitolato: ÒPotere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutiveÓ.
La norma richiama i parametri dettati dall’art. 133 cod. pen., stabilendo che il giudice pu˜ applicare le pene sostitutive quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurino la prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati. Lo stesso articolo aggiunge poi che la pena detentiva non pu˜ essere sostituita quando sussistano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.
Questa Corte ha giˆ evidenziato che il controllo di legittimitˆ, rispetto alla decisione del giudice di merito, non pu˜ che fermarsi, secondo i principi generali che regolano il giudizio di legittimitˆ e quelli specificamente affermati in tema di trattamento sanzionatorio, alla verifica della sussistenza di una congrua motivazione che dia conto delle ragioni della decisione e della scelta della misura (cfr. Sez. 5, n. 43622 dellÕ11/07/2023, Lullo, n.m.).
Ebbene, nel caso in esame, la Corte di appello ha reso una motivazione ampia e coerente in ordine allÕesercizio del suo potere discrezionale, basata proprio sui parametri dettati dall’art. 133 cod. pen. In particolare, ha posto in rilievo: la gravitˆ del fatto; l’intensitˆ del dolo; la capacitˆ a delinquere dell’imputato, emersa non solo dai suoi precedenti penali, ma anche dalle articolate modalitˆ esecutive del fatto Ð significative di unÕaccurata e non banale pianificazione Ð e dal disinteresse rispetto allÕentitˆ del danno arrecato all’erario al ceto creditorio.
In considerazione, di tali elementi ha ritenuto che la sanzione sostitutiva che potesse determinare il minor sacrificio possibile per la libertˆ personale dell’imputato, senza pregiudicare l’esigenza di prevenire il pericolo della commissione di altri reati, fosse la detenzione domiciliare.
Si tratta di una motivazione conforme ai criteri posti dalla legge, priva di vizi logici e non un ulteriormente sindacabile in sede di legittimitˆ.
Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dellÕart. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cos’ deciso, lÕ8 gennaio 2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME