Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 33063 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 33063 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a GIULIANOVA il DATA_NASCITA
NOME COGNOME NOME NOME a BUSTO ARSIZIO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/09/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto annullare con rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di NOME COGNOME e dichiarare inammissibile il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME;
lette le conclusioni depositate dall’AVV_NOTAIO nell’interesse di NOME COGNOME, che ha chiesto accogliersi il ricorso;
lette le conclusioni depositate dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, nell’interesse del ricorrente NOME COGNOME, che anche in replica alle conclusioni della Procura AVV_NOTAIO ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Ancona, con la sentenza emessa il 12 settembre 2023, riformava parzialmente quella del Tribunale di Ascoli Piceno, che aveva ritenuto la responsabilità penale degli attuali ricorrenti in ordine ai delitti bancarotta societaria patrimoniale fraudolenta per distrazione (capo A) nonché documentale specifica (capo B).
La Corte territoriale riqualificava la condotta sub capo B), per il solo COGNOME, ai sensi dell’art. 217, comma 2, I. fall. e dichiarava l’estinzione del reato per prescrizione, mentre confermava nel resto la prima decisione.
In relazione alla fallita RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME rispondeva quale amministratore unico sino alla data del 1° marzo 2012 e NOME COGNOME quale amministratore unico da tale data alla sentenza di fallimento.
La condotta di bancarotta patrimoniale contestata consisteva nella distrazione della somma complessiva di euro 19.342,00, pari alla somma delle rate dei finanziamenti e del trattamento di fine rapporto indebitamente trattenuti dalle buste paga (a partire dal mese di ottobre 2011 sino al mese di luglio 2012) del dipendente NOME COGNOME, importi non versati alle finanziarie: in particolare euro 990.00 per le menzionate rate da ottobre 2011 a giugno 2012 ed euro 621,00 da aprile a giugno 2012; euro 17.731,00, corrispondenti alla retribuzione ed al t.f.r. trattenuti nel mese di luglio 2012 di cui euro 17.181,00 quale “rimborso prestito” ed euro 550,00 quale “rimborso prestito Ti”.
La condotta di bancarotta documentale specifica riguardava la sottrazione e l’omessa consegna di tutte le scritture contabili.
I ricorsi per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME risultano articolati rispettivamente in uno e tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il motivo proposto dal ricorso nell’interesse di NOME COGNOME lamenta violazione di legge. Richiama le due pronunce delle Sezioni Unite, ricorrenti COGNOME e COGNOME, che avevano escluso che l’omesso versamento delle trattenute potesse integrare il reato di appropriazione indebita e dunque non fosse configurabile il delitto di bancarotta contestato. Risulterebbe inoltre viziata l sentenza impugnata, anche perchè il contratto di cessione del quinto da parte del dipendente risaliva all’ottobre 2021, quindi era antecedente al marzo 2012, data del subingresso del ricorrente quale amministratore della società fallita.
Il ricorso nell’interesse di COGNOME si articola in tre motivi.
4.1 II primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 157 e 81 cod. pen., nonché 217 I. fall., oltre che vizio di motivazione, in quanto la sentenza impugnata ha omesso di dichiarare l’estinzione per prescrizione, anche per il ricorrente, quanto al reato di bancarotta documentale, riqualificato per COGNOME in bancarotta semplice.
4.2 Il secondo motivo lamenta violazione di legge, in relazione all’art. 216 I. fall. e vizio di motivazione, avendo la Corte di appello ritenuto ammissibile la costituzione di parte civile di COGNOME, dipendente della fallita, pur se lo stesso aveva ricevuto tutte le somme che aveva preteso.
Inoltre, la Corte di appello non avrebbe valutato l’estinzione per prescrizione del reato di appropriazione indebita, che doveva essere configurato in luogo della bancarotta patrimoniale.
4.3 Il terzo motivo lamenta vizio di motivazione, sempre in relazione all’art. 216 I. fall., in quanto la Corte di appello erroneamente fa riferimento alla sentenza di primo grado, travisando il contenuto della deposizione di COGNOME, che avrebbe attestato la consegna a COGNOME da parte di COGNOME della documentazione societaria, omettendo poi ogni valutazione della missiva dell’AVV_NOTAIO COGNOME, prodotta in dibattimento.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 202, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’art. 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5-duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte – ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 – con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso nell’interesse di COGNOME, in quanto inediti e versati in fatto motivi secondo e terzo, mentre il primo motivo è manifestamente infondato in quanto la distrazione è configurabile per la sottrazione di denaro destiNOME al dipendente; quanto a COGNOME, invece, fondato risulterebbe il motivo in relazione alla carenza di motivazione quanto all’amministrazione di fatto svolta dallo stesso.
AVV_NOTAIO per RAGIONE_SOCIALE ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.
AVV_NOTAIO, nell’interesse di COGNOME, ha concluso evidenziando come il delitto di bancarotta per distrazione non sia configurabile in relazione alle trattenute, in quanto, a differenza di quanto ritenuto dalla Procura AVV_NOTAIO, le stesse non sono state conferite e confuse con il patrimonio del datore di lavoro: si argomenta che non ogni omesso pagamento di t.f.r al dipendente, in caso di fallimento dell’impresa datrice di lavoro, determina una distrazione, in ordine alla quale le sentenze di merito non indicano le fonti di prova.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso nell’interesse di COGNOME è inammissibile, quello di COGNOME è infondato.
Quanto a tale ultimo ricorso, che deduce violazione di legge, deve evidenziarsi come la corretta lettura delle sentenze delle Sezioni Unite richiamate dal ricorrente esclude la configurabilità del delitto di appropriazione indebita, per l’amministratore di società che trattenga indebitamente il denaro da versare per conto del lavoratore dipendente, ma non anche la condotta distrattiva, anzi la comprova.
2.1 A ben vedere Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011, COGNOME Rv. 250974 – 01 hanno affermato che non integra il reato di appropriazione indebita, ma mero illecito civile, la condotta del datore di lavoro che, in caso di cessione di quota della retribuzione da parte del lavoratore, ometta di versarla al cessionario.
Le Sezioni Unite hanno chiarito che la regola dell’acquisizione per confusione del denaro e delle cose fungibili nel patrimonio di colui che le riceve non opera ai fini della nozione di altruità accolta nell’art. 646 cod. pen.
Non potrà, pertanto, ritenersi responsabile di appropriazione indebita colui che non adempia obbligazioni pecuniarie cui avrebbe dovuto far fronte con quote del proprio patrimonio non conferite e vincolate a tale scopo (nello stesso senso Sez. U, n. 1327 del 27/10/2004, dep. 19/01/2005, COGNOME, Rv. 229634 – 01, in relazione al mancato versamento alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE delle somme “trattenute” dal datore di lavoro sulla retribuzione del dipendente per ferie, gratifiche natalizie e festività).
E bene, illuminante a tal proposito risulta quanto Sez. U, COGNOME evidenzia al punto 10 della pronuncia – occupandosi del caso, analogo a quello in esame, di un finanziamento a un dipendente, con cessione del credito vantato dal dipendente
verso il datore di lavoro in favore della finanziaria – richiamando anche la sovrapponibile fattispecie delle trattenute da versare all’ente previdenziale, analizzata da Sez. U., COGNOME: «a cessione negoziale riguarda, anche in questo caso, una quota della retribuzione che pacificamente eccede i limiti della quota impignorabile, insequestrabile e incedibile, quindi giuridicamente indisponibile o intangibile, della retribuzione; è stata effettuata dalla dipendente all’istituto credito contestualmente alla anticipazione da parte di questo di una somma per il pagamento di un suo debito; come ogni contratto di sconto, ha comportato il trasferimento della titolarità del credito ceduto con i privilegi, le garanzie e g accessori suoi propri, in capo all’ente finanziatore contestualmente all’erogazione dell’anticipazione, indipendentemente dalla notificazione o dalla accettazione della cessione, che, avvenute, hanno semplicemente perfezioNOME la condizione di opponibilità del negozio al ceduto, rilevante ai fini della sua liberazione all’eventuale atto del pagamento. Nulla consente di distinguere perciò, come già rilevava la sentenza Li COGNOME, l’omesso pagamento al cessionario della quota di stipendio trattenuta da quanto versato a titolo di retribuzione al lavoratore, dall’omesso pagamento, integrale e parziale, della retribuzione al lavoratore. In relazione a un inadempimento di tal fatta del datore di lavoro non è possibile considerare già appartenente al patrimonio del lavoratore la somma corrispondente alla retribuzione a lui dovuta, mai uscita e separata dal patrimonio del datore di lavoro, specie quando comunque ecceda le quote intangibili, non essendo prevista ad opera dei datori di lavoro di alcun tipo la costituzione, ex lege o volontaria, di fondi o patrimoni separati deputati al pagamento delle retribuzioni, neppure ai limitati fini dell’assolvimento degli obblighi di tutela prescritti dall’a 36 Cost.. Sicché non v’è modo di configurare, allo stato della legislazione vigente, il delitto di appropriazione indebita (su tale conclusione in relazione al mancato pagamento delle retribuzioni pareva già convenire, peraltro, anche Sez. U, Silvestri)». Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
In sostanza, le Sezioni Unite chiariscono che il denaro non versato alla società finanziaria, come alla cassa previdenziale, non risulta essere già ‘altrui’, cioè del lavoratore, per la sola sussistenza dell’obbligazione – al quale è tenuto il datore di lavoro – di versare tale importo, analogamente a ciò che accade nel caso in cui non al creditore ceduto, ma allo stesso lavoratore debba essere versato lo stipendio.
Ed è altrettanto evidente che appartenendo il denaro alla società, perché mai separato dal patrimonio della società/datrice di lavoro, la sottrazione dello stesso integri la distrazione, non essendo tale denaro un bene altrui, né tantomeno un bene solo detenuto in via precaria dalla fallita.
Nello stesso senso argomentava anche Sez. U, Li COGNOME, richiamando il caso del datore di lavoro-sostituto d’imposta, sovrapponibile a quello del datore di lavoro che effettua le trattenute sulle retribuzioni per riversarle alla RAGIONE_SOCIALE, e, a maggior ragione, a quella del datore di lavoro che effettua le ritenute dei contributi previdenziali.
In ciascuno di detti casi, difatti, si è in presenza di un “accantonamento” di una somma determinata di denaro, con un fine determiNOME, da versarsi al terzo alle scadenze stabilite.
Tali ipotesi – proseguivano le Sezioni Unite – sono accomunate dalla caratteristica dell’obbligo del datore di lavoro di corrispondere al lavoratore la retribuzione al netto di “ritenute” a vario titolo effettuate (“per debito di imposta per contributi previdenziali, in forza di accordi economici o di contratti collettivi” e sono inoltre tutte egualmente connotate dalla circostanza che “il denaro oggetto dell’appropriazione è rappresentato da una quota ideale del “patrimonio” del possessore, indistinta da tutti gli altri beni e rapporti che contribuiscono a costituirlo”: «a somma trattenuta o ritenuta resta, in altri termini, nella esclusiv disponibilità del datore di lavoro-possessore, non soltanto perché non è mai materialmente versata al lavoratore, ma soprattutto perché mai può esserlo, avendo il dipendente soltanto il diritto di percepire la retribuzione al netto delle trattenute effettuate alla fonte dal datore di lavoro. Le “trattenute”, perciò, s risolvono “in una operazione meramente contabile diretta a determinare l’importo della somma che il datore di lavoro è obbligato a versare, in base ad una norma di legge o avente forza di legge, alla scadenza pattuita in conseguenza della corresponsione della retribuzione”. Al contrario, in tutti i casi trattati dal giurisprudenza e pacificamente ritenuti riconducibili all’appropriazione indebita, il denaro o la cosa mobile di cui l’agente si appropria, “non fanno mai parte ab origine del patrimonio del possessore”, ma vi entrano “ah extrinseco”, e con esso patrimonio non si confondono perché connotati da una vincolo specifico di destinazione; sicché di tali beni può dirsi che restano di “proprietà” diretta od indiretta di altri, in virtù della deroga ai principi del diritto civile in tema di acq della proprietà delle cose fungibili (Sez. 2, n. 2445 del 17/06/1977, Pomar, Rv. 137092)». Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Pertanto, il motivo è infondato, in quanto le somme destinate alla società finanziaria o all’ente previdenziale, fanno parte a tutti gli effetti del patrimoni dell’impresa fallita, cosicchè la relativa sottrazione integra una condotta distrattiva.
Quanto alla doglianza di COGNOME, pertanto, proposta sotto forma di violazione di legge, al di là dell’errato argomentare della sentenza di appello che
ha ritenuto configurabile l’appropriazione indebita, a differenza della corretta motivazione della sentenza di primo grado, risulta comunque corretta la decisione.
2.2 Deve pertanto affermarsi che integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore della società fallita che prelevi somme dalle casse sociali, pur se destinate al pagamento di un dipendente a titolo di trattamento di fine rapporto, ovvero al pagamento delle rate, conseguenti ad un contratto di finanziamento stipulato dal dipendente, in favore della società finanziaria a seguito della cessione di credito, essendo tali somme a tutti gli effetti parte del patrimonio della fallita».
2.3 Anche infondata è la doglianza relativamente alla circostanza che COGNOME, divenuto amministratore unico dal 1° marzo 2012 al fallimento, interverrebbe nella gestione della società solo dopo la stipula del contratto di finanziamento dell’ottobre 2021.
A riguardo, la Corte di appello al fol. 10, chiarisce che le rate Carifin risultavano impagate dal mese di ottobre 2011, e quelle Ge Capital dall’aprile 2012. In questo secondo caso, quindi, proprio a partire dal periodo di gestione di COGNOME, il che esclude la fondatezza dell’argomento difensivo; comunque le rate venivano lasciate innpagate fino all’agosto 2012, come anche il t.f.r. non veniva erogato all’atto del licenziamento nello stesso mese (cfr. fol 10 della sentenza impugnata).
In sostanza non rileva se al momento del sorgere della obbligazione fra il dipendente e la finanziaria l’imputato non ancora fosse ‘in carica’, in quanto decisiva è la distrazione intervenuta, nei termini descritti, nel periodo di amministrazione del COGNOME, per l’omesso rinvenimento degli importi nelle casse sociali.
Deve ribadirsi come la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita possa essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, COGNOME, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, COGNOME, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, COGNOME, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, COGNOME, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048/09 del 27 novembre 2008, COGNOME, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, Sabino, Rv. 231411).
Né tanto meno la difesa ha contestato la preesistenza dei beni nel patrimonio sociale, rappresentando che non siano intervenuti i doverosi accantonamenti degli importi, ritenuti infatti comprovati dalla sentenza di primo grado (fol. 21).
Ne consegue l’infondatezza complessiva del motivo di ricorso.
Quanto al ricorso nell’interesse di COGNOME, il primo motivo non si confronta con la motivazione della sentenza di primo grado, che in vero ha riqualificato la sola condotta di bancarotta documentale fraudolenta in semplice per COGNOME e non anche per COGNOME, cosicché non sussistevano i presupposti per dichiarare l’estinzione per prescrizione del reato.
Inoltre, venendo al terzo motivo, si richiamano risultanze probatorie che si affermano sostanzialmente travisate, ma le stesse non appaiono decisive, anche perché il motivo di ricorso non si confronta con la smentita di COGNOME alla tesi di COGNOME, in ordine alla circostanza che quest’ultimo avesse consegNOME la documentazione societaria al subentrante COGNOME, in occasione del rogito notarile. COGNOME ha del tutto escluso di poter testimoniare a riguardo, non avendo presenziato a tale atto.
Per il resto il motivo sollecita una rilettura del materiale probatorio non consentita in questa Sede, non rilevandosi nel caso di specie manifeste illogicità motivazionali.
Infine, il secondo motivo è inedito, in quanto non proposto con l’atto di appello, dal che l’inammissibilità ex art. 606 comma 3 cod. proc. pen. (così Sez. 2, n. 32780 del 13/07/2021, COGNOME, Rv. 281813; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062, in motivazione; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, COGNOME, Rv. 279903; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, COGNOME., Rv. 271869; Sez. 2 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, COGNOME, Rv. 269368).
Pertanto, i motivi non sono consentiti e il ricorso è inammissibile.
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso nell’interesse di COGNOME, con condanna alle spese processuali del ricorrente, mentre va dichiarata l’inammissibilità del ricorso nell’interesse di COGNOME, il che determina la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di NOME COGNOME, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso il 05/06/2024