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Bancarotta per distrazione: trattenute non versate

Due amministratori di una società fallita sono stati condannati per bancarotta per distrazione per non aver versato le trattenute dalla busta paga di un dipendente, destinate al rimborso di un finanziamento e al TFR. La Cassazione ha confermato che tali somme, non essendo mai uscite dal patrimonio aziendale, ne fanno parte a tutti gli effetti. La loro mancata destinazione al creditore costituisce una distrazione di beni societari e non un’appropriazione indebita di denaro altrui. Il ricorso di un amministratore è stato rigettato, l’altro dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta per Distrazione: le Trattenute in Busta Paga Fanno Parte del Patrimonio Aziendale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33063/2024, ha fornito un chiarimento cruciale sulla qualificazione giuridica delle somme trattenute dalla busta paga di un dipendente e non versate ai legittimi destinatari. Questa pronuncia stabilisce un principio fondamentale: tali somme non costituiscono denaro ‘altrui’ ma sono a tutti gli effetti parte del patrimonio dell’impresa. Di conseguenza, il loro mancato versamento in caso di fallimento integra il reato di bancarotta per distrazione e non quello di appropriazione indebita.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dal fallimento di una società a responsabilità limitata. Due amministratori, succedutisi nel tempo, sono stati accusati di aver distratto una somma complessiva di circa 19.342 euro. Questo importo derivava dalle trattenute effettuate sulla busta paga di un dipendente, destinate al pagamento delle rate di un finanziamento e al suo Trattamento di Fine Rapporto (TFR), ma mai versate alla società finanziaria creditrice o al lavoratore stesso. A ciò si aggiungeva l’accusa di bancarotta documentale per la sottrazione o l’omessa consegna delle scritture contabili.
La Corte d’Appello aveva confermato la responsabilità degli amministratori per la bancarotta patrimoniale, mentre aveva riqualificato e dichiarato prescritta la bancarotta documentale per uno di essi. Entrambi gli imputati hanno quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo, tra le altre cose, che l’omesso versamento delle trattenute dovesse essere qualificato come appropriazione indebita (reato meno grave e potenzialmente prescritto) e non come bancarotta per distrazione.

Il Principio di Diritto sulla Bancarotta per Distrazione

La Corte di Cassazione ha rigettato la tesi difensiva, basando la sua decisione su un consolidato orientamento delle Sezioni Unite. Il punto centrale della questione è la natura giuridica del denaro trattenuto dal datore di lavoro. Secondo la Suprema Corte, quando un’azienda trattiene una quota dello stipendio di un dipendente (per contributi, imposte, o cessione del quinto), quella somma non acquista una sua autonomia, non diventa ‘denaro altrui’ semplicemente perché destinata a un terzo.
Il denaro, essendo un bene fungibile, si confonde con il patrimonio di chi lo possiede. La somma trattenuta rimane nella piena disponibilità dell’azienda e si mescola con le altre liquidità. L’obbligo di versarla a terzi è, appunto, un’obbligazione, un debito, ma non trasforma quel denaro in un bene di proprietà di altri che l’azienda si limita a custodire. Di conseguenza, non si può parlare di appropriazione indebita, che presuppone l’appropriazione di un bene ‘altrui’. Si configura invece la bancarotta per distrazione, poiché l’amministratore sottrae risorse che appartengono al patrimonio sociale, violando il vincolo di destinazione e depauperando l’attivo a danno dei creditori.

La Responsabilità dell’Amministratore Subentrante

Un altro aspetto rilevante affrontato dalla Corte riguarda la responsabilità dell’amministratore subentrato nella gestione dopo la stipula del contratto di finanziamento da parte del dipendente. L’imputato sosteneva di non poter rispondere di un’obbligazione sorta prima del suo incarico. La Cassazione ha respinto anche questa argomentazione, chiarendo che il momento rilevante per la consumazione del reato di distrazione non è quello in cui sorge l’obbligazione, ma quello in cui le somme vengono effettivamente sottratte alla loro destinazione. Poiché i mancati pagamenti erano proseguiti anche durante il suo mandato, la distrazione si era concretizzata nel periodo della sua amministrazione, rendendolo pienamente responsabile della condotta illecita.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione richiamando le sentenze delle Sezioni Unite (Orlando e Li Calzi), che hanno chiarito la distinzione tra mero illecito civile e reato di appropriazione indebita. Le Sezioni Unite hanno specificato che il denaro destinato a terzi, come nel caso delle trattenute previdenziali o per finanziamenti, resta nel patrimonio del datore di lavoro. La condotta omissiva del datore di lavoro che non versa tali somme è un inadempimento di un’obbligazione pecuniaria. Tuttavia, quando questa condotta avviene nel contesto di un’impresa poi dichiarata fallita, l’atto di sottrarre quel denaro dal patrimonio sociale per finalità diverse da quelle dovute (o per non destinarlo affatto) assume la connotazione penale della distrazione. Questo perché tale azione diminuisce la garanzia patrimoniale su cui i creditori fallimentari possono fare affidamento. La prova della distrazione, inoltre, può essere desunta anche dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della corretta destinazione dei beni che si trovavano nel patrimonio sociale.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza consolida un principio di estrema importanza pratica per gli amministratori di società. Le somme trattenute in busta paga non sono un deposito fiduciario di denaro altrui, ma una componente del patrimonio aziendale con una specifica destinazione. La loro mancata erogazione ai legittimi destinatari, in un contesto di insolvenza, non è un semplice inadempimento, ma una grave condotta distrattiva che integra il reato di bancarotta patrimoniale. Questa decisione ribadisce la severità con cui l’ordinamento tutela l’integrità del patrimonio sociale come garanzia per i creditori, sanzionando penalmente gli amministratori che lo depauperano, anche attraverso l’omissione di pagamenti dovuti.

L’omesso versamento delle somme trattenute dalla busta paga di un dipendente per un finanziamento costituisce appropriazione indebita o bancarotta per distrazione?
Secondo la Corte di Cassazione, tale condotta integra il reato di bancarotta per distrazione. Questo perché il denaro trattenuto non è considerato ‘altrui’, ma parte integrante del patrimonio della società. La sua sottrazione, quindi, danneggia la garanzia patrimoniale dei creditori.

Perché il denaro trattenuto non è considerato ‘altrui’ ma parte del patrimonio aziendale?
Il denaro è un bene fungibile che, una volta entrato nella disponibilità della società, si confonde con il resto del patrimonio aziendale. L’obbligo di versarlo a un terzo è un’obbligazione, ma non trasferisce la proprietà del denaro finché il versamento non viene materialmente eseguito. Fino a quel momento, le somme restano di proprietà della società.

Un amministratore subentrato dopo la stipula del finanziamento risponde della distrazione se l’omissione dei pagamenti avviene durante il suo mandato?
Sì. La Corte ha chiarito che il reato di distrazione si perfeziona nel momento in cui le somme vengono sottratte alla loro destinazione, non quando sorge l’obbligo di pagamento. Pertanto, se i mancati versamenti avvengono durante il mandato di un amministratore, egli è responsabile della distrazione, indipendentemente da quando sia stato stipulato il contratto di finanziamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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