Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1677 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1677 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nata a CAVA DE’ TIRRENI il 07/11/1959 avverso la sentenza del 23/05/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per l’imputata, che ha chiesto di
accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 23 maggio 2024 dalla Corte di appello di Salerno, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno, che aveva condannato NOME alla pena di anni tre di reclusione, per i reati di
bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” e alla ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE, entrambe fallite.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputata, nella qualità di socia illimitatamente responsabile della “RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE” e di titolare della ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE“, concorso con COGNOME NOME, avrebbe distratto: 1) un terreno di proprietà della società fallita, avendolo ceduto alla “RAGIONE_SOCIALE, per il prezzo di euro 24.686,64; 2) la somma di euro 45.000,00, proveniente da conti correnti della società fallita, e la somma di euro 38.000,00, proveniente da conti correnti della ditta individuale fallita, entrambe versate in favore della suddetta “RAGIONE_SOCIALE“; 3) l’intero capitale sociale della “RAGIONE_SOCIALE“, posseduto da entrambi i concorrenti nel reato nella misura del 50%, ceduto a diversi soggetti (fra i quali, i dipendenti della fallita e della “RAGIONE_SOCIALE“, i cui soci sono NOME Salvatore e COGNOME NOME al valore nominale di euro 120.000,00, nel periodo di decozione e in epoca prossima alla dichiarazione di fallimento, in tal modo distraendo anche la conseguente quota di partecipazione nella “RAGIONE_SOCIALE” (partecipata dalla RAGIONE_SOCIALE nella misura dell’80°/0 del capitale sociale); 4) la somma di euro 92.775,88, quale credito vantato dalla società fallita nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE“; 5) la somma di euro 89.219,95, quale credito vantato dalla fallita “RAGIONE_SOCIALE” nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE di Ferrara RAGIONE_SOCIALE“; 6) la somma di euro 1.012.165,77, corrisposta dalla fallita RAGIONE_SOCIALE per lavori straordinari realizzati su un immobile di proprietà della “RAGIONE_SOCIALE” (sito in Cava de’ Tirreni e concesso in affitto alla predetta ditta individuale pe l’esercizio dell’attività), indicata nei bilanci alla voce “Lavori straordinari su beni terzi”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’imputata, inoltre, sempre in concorso con NOME COGNOME, avrebbe sottratto, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, il libro dei cespiti ammortizzabili e il libro degli inven delle fallite, mai depositati presso la cancelleria fallimentare del Tribunale di Salerno.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputata ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di motivazione.
Con una prima censura, sostiene che la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe illogica o comunque apparente, in quanto priva di
argomentazioni idonee a far conoscere l’iter logico giuridico seguito per la decisione.
Al riguardo, rappresenta che: la sentenza impugnata «è stata redatta per relationem rispetto alla sentenza di primo grado»; la difesa, tuttavia, aveva censurato la sentenza del Tribunale proprio per mancanza di motivazione, sostenendo che il giudice di primo grado si era «limitato a individuare i singoli elementi di condotta contestati agli imputati, senza operare alcuna valutazione degli stessi né sotto il profilo della riferibilità soggettiva, all’uno piuttosto all’altro imputato, né sotto il profilo della fraudolenza delle singole condotte distrattive».
Ebbene, sostiene la ricorrente, nonostante le evidenti lacune della sentenza di primo grado, la Corte di appello si sarebbe «limitata esclusivamente a ritenere ampiamente condivisibile sia l’analitica ricostruzione dei fatti che l’ampia motivazione posti a fondamento della decisione di prime cure».
Con una seconda censura, la ricorrente contesta il riferimento fatto dai giudici di merito alle «nozioni» di “gruppo societario” e di “società collegate”.
La ricorrente sostiene che i giudici di merito avrebbero desunto la sussistenza di un “gruppo societario” esclusivamente dalla circostanza che le diverse operazioni oggetto di imputazione erano avvenute tra società la cui titolarità era formalmente o informalmente attribuita a NOME e NOME
Con riferimento all’altra «nozione», la ricorrente sostiene che i giudici di merito, riconoscendo il collegamento tra le società in questione, sarebbero caduti in evidente contraddizione. E, infatti, per effetto del collegamento della società fallita con le società “RAGIONE_SOCIALE” e la RAGIONE_SOCIALE dovrebbe sicuramente escludersi la natura distrattiva delle operazioni contestate, atteso che la RAGIONE_SOCIALE‘, all’epoca dei fatti, era un’impresa leader nel suo settore, il cui bilancio era attivo per oltre nove milioni di euro. Risulterebbe pertanto, smentita l’impostazione accusatoria, secondo la quale le operazioni contestate sarebbero state realizzate in una situazione di forte passività della fallita.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di motivazione.
La ricorrente contesta la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ritiene irrilevante, rispetto allo stato di decozione della società, il sequestr per equivalente disposto, nel 2008, dal Tribunale di Pisa ai danni dell’imputata.
In particolare, contesta i due argomenti con i quali la Corte di appello ha ritenuto infondato il motivo di gravame basato sul suddetto sequestro, ossia la circostanza che la situazione debitoria della fallita fosse pregressa rispetto al provvedimento di sequestro e quella che il sequestro era stato poi revocato nel 2009.
In ordine alla prima circostanza, la ricorrente evidenzia che ciò che rileva non è la mera preesistenza di una situazione di debito, ma, piuttosto, la condizione di sofferenza della società, che sicuramente non si sarebbe venuta a determinare in assenza del sequestro in questione.
Quanto all’altra circostanza, la ricorrente sostiene che la Corte di appello non avrebbe tenuto conto del fatto, emerso anche dalla deposizione del curatore fallimentare, che il dissequestro, sebbene disposto nel luglio 2009, era stato eseguito solo nel giugno 2011. L’entità del sequestro, per una somma superiore ai due milioni di euro, aveva «inevitabilmente aggravato la situazione di dissesto già esistente, rendendo la situazione irreversibile».
2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di motivazione.
Con una prima censura, relativa alla presunta operazione distrattiva realizzata con la cessione del terreno alla “RAGIONE_SOCIALE“, sostiene che la sentenza impugnata sarebbe illogica poiché si baserebbe esclusivamente sul fatto che la cessione del terreno era stata effettuata per l’importo di euro 24.000,00, ritenuto non congruo dai giudici di merito. La valutazione di incongruità, però, non sarebbe supportata da alcun elemento dal quale poter desumere il reale valore del bene oggetto di cessione. In assenza di qualsiasi accertamento sul valore del bene, a parere della ricorrente, non si potrebbe affermare la natura distrattiva dell’operazione, non potendosi escludere neppure che il terreno ceduto sia stato addirittura sopravvalutato.
Con una seconda censura, relativa alle somme di euro 45.000,00 e di euro 38.000,00 versate in favore della “RAGIONE_SOCIALE“, la ricorrente sostiene che la natura distrattiva di tale operazione sarebbe stata basata sul “collegamento” che i giudici di merito avrebbero riconosciuto tra le società coinvolte in tali operazioni. Tanto premesso, il ricorrente ribadisce la censura più generale esposta nell’ambito del primo motivo di ricorso, ribadendo che i giudici di merito, nel momento in cui avevano riconosciuto il suddetto collegamento, avrebbero dovuto trarne le conseguenze sia per i profili negativi che per quelli positivi e, in particolare avrebbero dovuto tenere conto che, per effetto del collegamento tra la “RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE” e la “RAGIONE_SOCIALE“, la fallita poteva avvalersi del supporto di quest’ultima società, che, all’epoca dei fatti, era un’impresa leader nel suo settore, il cui bilancio era attivo per oltre 9 milioni d euro. Risulterebbe, pertanto, smentita l’impostazione accusatoria, secondo la quale le operazioni contestate sarebbero state realizzate in una situazione di forte passività della fallita.
Con una terza censura, relativa alla cessione dell’intero capitale sociale della “RAGIONE_SOCIALE“, posseduto da entrambi gli imputati nella misura del 50%, la ricorrente lamenta la mancanza di un’adeguata motivazione, in ordine alla
natura distrattiva di tale operazione. Sostiene che, in ogni caso, dovrebbe escludersi la natura distrattiva dell’operazione in questione, atteso che essa aveva ad oggetto vicende relative a imprese diverse da quelle che erano fallite. L’operazione in questione, infatti, non riguardava né la “RAGIONE_SOCIALE” né la “RAGIONE_SOCIALE“.
Con una quarta censura, relativa alla presunta operazione distrattiva realizzata mediante l’omessa riscossione del credito vantato dalla ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE“, alla data della sentenza dichiarativa di fallimento, nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE Ferrara RAGIONE_SOCIALE“, la ricorrente lamenta la mancanza di qualsiasi motivazione in ordine alla natura distrattiva dell’operazione e in particolare l’assenza di qualunque argomentazione in relazione al «dato temporale» dei crediti in questione, che avrebbe rilievo determinante, atteso che l’omessa riscossione del credito potrebbe assumere valenza distrattiva solo quando siano decorsi i termini di legge per poter procedere al recupero.
Con una quinta censura, relativa alla somma corrisposta dalla RAGIONE_SOCIALE per lavori straordinari realizzati sull’immobile di proprietà della “RAGIONE_SOCIALE” concesso in affitto alla predetta ditta individuale, la ricorrente lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla natura distrattiva di tale operazione, sostenendo che i giudici di merito non si sarebbero confrontati con l’ipotesi che i lavori di ristrutturazione, alla cessazione del contratto, avrebbero potuto determinare un ritorno economico a favore della fallita e, in particolare, la maturazione di un credito, in ragione dei lavori eseguiti.
I giudici di merito non avrebbero neppure verificato l’ipotesi che la società fallita, a fronte dell’esecuzione dei lavori, fosse stata esonerata dalla corresponsione del canone di locazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata, limitatamente alla bancarotta fraudolenta per distrazione, deve essere annullata con rinvio, essendo parzialmente fondati il primo e il terzo motivo di ricorso.
1.1. Va premesso che, «in tema di giudizio di appello, è legittima la sentenza motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado nel solo caso in cui il complessivo quadro argomentativo fornisca una giustificazione propria del provvedimento e si confronti con le deduzioni e con le allegazioni difensive provviste del necessario grado di specificità» (Sez. 2, n. 18404 del 05/04/2024, COGNOME, Rv. 286406; Sez. 3, n. 37352 del 12/03/2019, Marano, Rv. 277161).
Ebbene, nel caso in esame, la Corte territoriale, a fronte di un atto di appello con il quale erano state specificamente contestate le singole operazioni distrattive, si è limitata a ribadire le affermazioni contenute nella sentenza di primo grado, aggiungendo delle generiche asserzioni di infondatezza delle tesi difensive.
Va posto in rilievo che le argomentazioni della sentenza di primo grado erano state sottoposte a critica dall’appellante, con specifiche deduzioni, che sono rimaste completamente prive di risposta.
È rimasta, invero, priva di effettiva risposta la deduzione con la quale la difesa aveva contestato la natura distrattiva della cessione alla “RAGIONE_SOCIALE” del terreno di proprietà della società fallita, per il prezzo di euro 24.686,64. Al riguardo, l difesa, con l’atto di appello, aveva posto in rilievo che: dall’istruttoria, era emerso che non era stato effettuato alcun accertamento per stabilire il valore del terreno oggetto di cessione; in assenza di tale verifica, risultava completamente priva di prova la tesi accusatoria, secondo la quale il prezzo di acquisto di euro 24.686,64 sarebbe non congruo.
Ebbene, a fronte di tali argomentazioni, la Corte di appello non ha chiarito come l’operazione in questione potesse assumere valore distrattivo, in assenza di qualsiasi accertamento in ordine alla presunta incongruità del prezzo di acquisto del terreno.
Analogamente, completamente prive di risposta sono rimaste le deduzioni relative alla cessione dell’intero capitale sociale della “RAGIONE_SOCIALE“, posseduto dai concorrenti nel reato nella misura del 50%. Con l’atto di appello, la difesa aveva posto in rilievo che tale operazione aveva a oggetto vicende che non riguardavano le fallite.
Ebbene, la Corte di appello ha di fatto ignorato le osservazioni difensive, non chiarendo neppure se abbia ritenuto tale operazione distrattiva del patrimonio delle fallite oppure del patrimonio personale dei correi, responsabili in qualità di soci illimitatamente responsabili di una società in nome collettivo e titolari della ditta individuale.
La motivazione si presenta incompleta anche con riferimento alle restanti censure relative alla natura distrattiva delle altre operazioni contestate, atteso che la Corte di appello avrebbe dovuto rispondere anche a esse, seppure al solo fine di dimostrarne la genericità o l’infondatezza.
Si rende, pertanto, necessario l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla bancarotta fraudolenta per distrazione, con rinvio alla Corte di appello di Napoli per un nuovo esame, che dovrà avere a oggetto le censure specificamente mosse dall’appellante a ciascuna delle operazioni distrattive contestate.
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Va premesso che le argomentazioni censurate dalla ricorrente costituivano parte della motivazione con la quale la Corte di appello ha rigettato la richiesta della difesa di rinnovare l’istruttoria dibattimentale, per acquisire l’ordinanza emessa dal Tribunale di Pisa, relativa all’annullamento parziale di un sequestro per equivalente disposto a carico degli imputati.
La Corte di appello ha ritenuto irrilevante l’acquisizione del provvedimento, ai fini dell’accertamento della responsabilità penale, atteso che la documentazione era finalizzata a dimostrare una circostanza già oggetto di ampia deduzione difensiva. La Corte d’appello, nell’ambito di tale motivazione, ha evidenziato che: la rinnovazione dell’istruttoria in appello, in base alla giurisprudenza di legittimit costituiva istituto di carattere eccezionale, al quale poteva farsi ricorso esclusivamente quando il giudice di secondo grado riteneva di non poter decidere allo stato degli atti; nel caso in esame, sussistevano tutti gli elementi per decidere allo stato degli atti.
Aveva altresì rilevato che lo stato di dissesto della società era stato ammesso dalla stessa imputata ed era stato da lei attribuito ai costi elevati di gestione e agl elevati interessi applicati dagli istituti di credito.
Nell’ambito di tale motivazione, la Corte di appello ha evidenziato anche che la difesa, nel rappresentare la rilevanza del sequestro rispetto allo stato di decozione della società, aveva omesso di rappresentare che il sequestro era stato successivamente annullato, con ordine di restituzione dei beni, con provvedimento del 20 maggio 2009.
Così ricostruita la motivazione della sentenza di secondo grado, risulta evidente la scarsa rilevanza delle censure contenute nel secondo motivo di ricorso, atteso che le vicende del sequestro costituivano un profilo secondario di una più ampia motivazione relativa al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria. Rigetto che trovava la ragione determinante nel carattere eccezionale della rinnovazione dell’istruttoria in appello e nella mancanza dei presupposti per l’accoglimento dell’istanza.
Sotto altro profilo, va rilevato che, in ogni caso, le argomentazioni contenute nel secondo motivo di ricorso, assumono scarsa rilevanza, atteso che, per la giurisprudenza di legittimità, «ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività» (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804). I fatti di distrazione, invero, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi,
anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza.
Essendo parzialmente fondati il primo e il terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata, limitatamente alla bancarotta fraudolenta per distrazione, deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Napoli per un nuovo esame, che avrà a oggetto le censure specificamente mosse dall’appellante a ciascuna delle operazioni distrattive contestate.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.
Così deciso, il 1’8 ottobre 2024.