Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37156 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37156 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 18/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE CON SEDE IN BATTIPAGLIA
avverso l’ordinanza del 23/05/2024 del TRIB. LIBERTA’ di SALERNO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG PASQUALE COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22 aprile 2024, il Tribunale di Salerno, sezione per il riesame, rigettando la richiesta di riesame avanzata dal legale rappresentante del RAGIONE_SOCIALE, confermava il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca prevista dall’art. 240 cod. pen., disposto dal Gip del medesimo Tribunale, vincolo conseguito alle condotte ascritte agli indagati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali legali rappresentanti della fallita RAGIONE_SOCIALE, così come segue:
al capo 1 della rubrica provvisoria, era contestata la bancarotta per distrazione, per avere i predetti ceduto a prezzi incongrui alla srl RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE srl RAGIONE_SOCIALE (sempre ai medesimi facenti riferimento) i due rami d’azienda (rispettivamente, di produzione di accumulatori per auto e di ristorazione) della fallita;
al capo 3, era loro ascritta l’ipotesi di bancarotta preferenziale, così descritta: avevano corrisposto, senza titolo, alla RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 240.000, somma che RAGIONE_SOCIALE aveva a sua volta versato all’istituto bancario Monte dei Paschi di Siena, creditore della fallita, preferendola agli altri creditori.
1.1. Il vincolo reale era stato apposto sui seguenti beni:
il complesso immobiliare che la fallita RAGIONE_SOCIALE aveva conferito in srl RAGIONE_SOCIALE (costituito da appartamenti, uffici e locali commerciali) con rogito notarile del 2 aprile 2014;
i beni conferiti in RAGIONE_SOCIALE a titolo di aumento di capitale in concomitanza con la cessione del ramo d’azienda inerente all’attività di ristorazione (che, nel frattempo, erano stati ceduti in locazione ad altro soggetto);
la somma di euro 240.000 indicata al capo 3 della provvisoria imputazione (vincolo apposto alle disponibilità finanziarie della RAGIONE_SOCIALE stessa ed eseguito sulla minor somma di euro 5.514,21, rinvenuta in un conto corrente bancario a questa intestato).
1.1. Il Tribunale, in risposta ai motivi addotti nella richiesta di riesame osservava quanto segue.
Dava atto dei motivi di censura esposti dalla difesa anche negli ulteriori atti e nella documentazione depositata (fra i quali si annoverava l’atto transattivo fra il fallimento e gli imputati che si impegnavano a versare 230.000 euro).
Quanto al fumus dei reati contestati (ai capi 1 e 3 della rubrica) richiamava la motivazione dell’ordinanza relativa alla diversa cautela personale, rilevando come la stessa non avesse trovato congrua smentita.
Riteneva, poi, il Tribunale che non assumesse rilievo dirimente la sentenza del Tribunale civile di Salerno che aveva rigettato l’azione revocatoria promossa dall’RAGIONE_SOCIALE avverso l’atto di cessione all’altra società beneficiata dalle distrazioni, RAGIONE_SOCIALE, del ramo d’azienda relativo alla produzione di accumulatori, posto che la decisione civile, comunque assunta fra parti diverse dall’odierna RAGIONE_SOCIALE, si era fondata sulla mancata prova, incombente su parte attrice, della anteriorità del credito erariale (non era stato prodotto il pv accertamento) rispetto al medesimo atto di cessione, mentre, diversamente, nell’odierno procedimento penale si era potuto accertare che il conferimento del ramo d’azienda in GGA era avvenuto in epoca successiva alla prima denuncia dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a carico dei prevenuti.
Quanto alla bancarotta preferenziale, il Tribunale osservava che i rilievi contenuti nella relazione del consulente della difesa, in ordine al credito di MPS nei confronti della fallita e l’atto di transazione sottoscritto da NOME con la società, attiva nel recupero crediti a cui la banca aveva quello vantato nei confronti della fallita, erano già stati congruamente affrontati dal Gip e che, comunque, restava priva di titolo e causa lo stesso versamento a GGA da parte della fallita della somma di cui si discute, ravvisandosi così, in tale prima condotta (indicata in imputazione), un’ipotesi distrattiva.
Sempre in tema di fumus commissi delicti, il Tribunale osservava ulteriormente che:
il 6 agosto 2013, la fallita, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, veniva denunciata dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per avere accumulato un debito complessivo di euro 6.807.392,23 (compresi accessori). L’accertamento era iniziato nel 2011 ed aveva riguardato le annualità dal 2007 al 2009 ed era stato integrato nel 2014;
gli amministratori della fallita (gli odierni indagati) avevano deciso, in epoca successiva ai rilievi dell’RAGIONE_SOCIALE (ai quali conseguiva il debito di cui sopra), di dismettere l’intero patrimonio della medesima;
così, il 2 aprile 2014, avevano ceduto a RAGIONE_SOCIALE, di nuova costituzione (ed a loro stessi facente riferimento direttamente o indirettamente), il ramo di azienda relativo agli accumulatori per auto, valutandolo solo 251.585 euro (somma che ne aveva determinato lo stesso capitale) nonostante lo stesso, ai sensi dell’art. 79 d.P.R. n. 602 del 1973 (per l’incanto previsto dalla normativa fiscale), fosse stato valutato nella ben maggior somma di euro 14 milioni.
anche il secondo ramo d’azienda, relativo all’attività di ristorazione, era stato conferito alla RAGIONE_SOCIALE a prezzo incongruo (a giudizio del curatore), sempre in epoca successiva alla ricordata denuncia dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Alla luce di tali premesse in fatto, il Tribunale condivideva quanto osservato dal curatore fallimentare, risultando del tutto evidente dalla ricordata successione
dei fatti: gli indagati, amministratori della fallita, dopo l’accertamento del debit fiscale (pur se ancora sottoposto all’adito giudizio tributario), avevano interamente svuotato la società tanto che, in sede fallimentare, al netto del debito fiscale ancora sottoposto a giudizio, a fronte di una massa passiva di euro 667.400,80, l’attivo era stato stimato in un importo inferiore ad euro 10.000.
Quanto all’ipotesi di bancarotta preferenziale contestata al capo 3, appariva evidente come gli indagati avessero inteso assolvere il debito verso la banca prima che quello erariale lo impedisse.
Come si è anticipato, il Tribunale osservava, inoltre che la condotta contestata a titolo di bancarotta preferenziale, così come descritta nella provvisoria imputazione, costituisse, per il primo segmento, il versamento della stessa alla RAGIONE_SOCIALE, un’ipotesi di distrazione, posto che non era stata giustificata da titolo alcuno. Irrilevante, ai fini della illiceità di tale corresponsione, era poi il succes versamento a RAGIONE_SOCIALE (o alla società a cui la banca aveva ceduto il credito)
Si ricordava infine come per la sentenza SU Coppola non avesse rilievo l’identità fra la somma appresa e quella costituente il profitto o il prezzo del reato.
Il complessivo periculum in mora era concretato dall’evidente intento, perseguito dagli indagati, di sottrarre beni e denaro alle ragioni azionate dall’RAGIONE_SOCIALE.
Propone ricorso NOME COGNOME, quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, articolando le proprie censure in sette motivi (riducibili a tre riunendo le doglianze che lamentano, sul medesimo punto, sia la violazione di legge sia il vizio di motivazione).
2.1. Così, con il primo (ed il secondo) motivo, si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata considerazione degli argomenti esposti dalla difesa nell’atto di gravame e nelle successive memorie ed alla utilizzazione di argomenti desunti da una diversa ordinanza cautelare (afferente la misura personale dell’obbligo di dimora).
Si era omesso di considerare come la documentazione depositata dalla difesa attestasse la piena legittimità del conferimento del ramo d’azienda della fallita in RAGIONE_SOCIALE.
Si era, poi, prodotta la sentenza del Tribunale civile di rigetto della domanda proposta dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di revoca del conferimento del diverso ramo d’azienda all’altra società, la RAGIONE_SOCIALE.
E si era, altresì, depositata la nota del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO da cui emergeva che i pagamenti, di COGNOME agli indagati, avvenuti nel 2018, in relazione ai quali si era ipotizzata la bancarotta preferenziale, fossero, invece, pienamente legittimi,
tanto che lo stesso Tribunale civile aveva rigettato la revocatoria richiesta dal curatore.
Tutti i ricordati dati di fatto erano stati ignorati dal Gip prima e dal Tribunal poi.
Quest’ultimo, poi, aveva risposto alle obiezioni difensive limitandosi a richiamare la motivazione della diversa ordinanza, resa, trattandosi di cautela personale, nei confronti di soggetto diverso (gli indagati e non RAGIONE_SOCIALE).
La Corte aveva violato il disposto dall’art. 292 comma 2 lett. c) bis cod. proc. pen. (vd. Cass. Rv. 282972) quando si era limitata ad osservare che la revocatoria del conferimento era stata rigettata per ragioni che attenevano la prova (mancata) dell’anteriorità RAGIONE_SOCIALE pretese dell’RAGIONE_SOCIALE rispetto all’atto dispositivo di cui si chiesta la revoca e che le osservazioni inerenti ai pagamenti preferenziali erano già state analizzate dal Gip nell’ordinanza genetica del vincolo reale, non tenendo così conto RAGIONE_SOCIALE deduzioni difensive.
2.2. Con il terzo (e quarto) motivo, si lamenta la violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine al fumus RAGIONE_SOCIALE incolpazioni provvisorie.
Il delitto di bancarotta patrimoniale, contestato al capo 1, era escluso nella sua stessa oggettività da quanto sopra rilevato in ordine al rigetto RAGIONE_SOCIALE relative azioni revocatorie ad opera del Tribunale civile. All’epoca del conferimento dei beni che ne costituivano l’oggetto, infatti, la società non aveva alcun debito nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Non si era poi tenuto conto di quanto accertato dal consulente di parte che aveva osservato come a fronte dei beni conferiti, del valore di euro 65.416,00 la fallita avesse ritratto una quota di capitale pari ad euro 75.416, e pertanto anche di maggior valore.
Quanto alla condotta descritta al capo 3 della rubrica, era, innanzitutto, evidente come al più potesse trattarsi di un’ipotesi di bancarotta preferenziale, e anche in questo caso non si era tenuto conto della opposizione degli imputati alla pretesa erariale nel relativo processo tributario.
Così non considerando affatto le produzioni difensive.
La somma in questione era stata versata al Monte dei Paschi per evitare l’esecuzione immobiliare di quello che, al tempo, era l’unico creditore (pendendo come si è detto il processo tributario in relazione alla pretesa dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE).
Del resto, la stessa Corte di cassazione aveva annullato, almeno parzialmente, la sentenza della Commissione regionale.
E gli indagati avevano, inoltre, versato al fallimento la somma di euro 230.000 a tacitazione RAGIONE_SOCIALE pretese civilistiche, un fatto anch’esso non considerato dai giudici penali.
2.3. Con il quinto (sesto e settimo) motivo, si denuncia l’assenza dell’elemento essenziale del vincolo, il periculum in mora.
Il supposto profitto di euro 240.000, in relazione al capo 3 della rubrica, era in realtà inesistente posto che la somma era confluita all’istituto bancario, tramite GGA.
Al più si era determinato un danno, per la medesima somma, al fallimento (vd. Cass. n. 31186/2023). Si erano così confusi danno e profitto (come non è consentito neppure la fungibilità del denaro in quanto tale).
Il profitto si era consolidato unicamente in capo al creditore preferito, il Monte dei Paschi.
E così per il periculum in mora doveva tenersi conto del patrimonio dell’istituto bancario, la cui palese solidità non consentiva di affermare la sussistenza del periculum in mora.
I beni immobili erano poi sottoposti ad ipoteca così da escludere, per gli stessi, ogni pericolo per la garanzia dei creditori.
2.4. Al ricorso venivano allegate la sentenza del Tribunale civile di Salerno in ordine alla revocatoria richiesta dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in danno della RAGIONE_SOCIALE e la relazione tecnica del AVV_NOTAIO COGNOME.
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha inviato requisitoria scritta con la quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Deve innanzitutto ricordarsi come l’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. consenta il ricorso per cassazione avverso la decisione del Tribunale, in tema di riesame del provvedimento di sequestro preventivo, solo per violazione di legge.
A tal proposito si è autorevolmente chiarito (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692) che il citato vizio di violazione di legge comprende sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento
o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (conforme da ultimo Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, Mannolo, Rv. 285608).
Già in precedenza, del resto, si era altrettanto autorevolmente (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710) precisato che, in tema di riesame RAGIONE_SOCIALE misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen. (conforme fra le altre Sez. 2, n. 580 del 18/01/2017, COGNOME, Rv. 269119).
Deve, inoltre, osservarsi come l’odierna RAGIONE_SOCIALE sia la RAGIONE_SOCIALE, come rappresentata, così che le argomentazioni spese nel ricorso sui capi e punti della decisione impugnata che riguardano l’altra società, la RAGIONE_SOCIALE (per la quale è stato proposto analogo ricorso, anch’esso chiamato alla odierna udienza, sostanzialmente identico al presente) non devono essere analizzate per l’evidente mancanza di interesse sul punto della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Restano pertanto da esaminare le censure relative al sequestro, a carico della medesima GGA, dei beni conferiti nella medesima con il ramo d’azienda destinato all’attività di ristorazione in considerazione della relativa ipotesi distrattiva, e de somma di euro 240.000, conseguente al ritenuto fumus della condotta illecita contestata al capo 3.
Se questo è il perimetro del presente giudizio è evidente l’infondatezza RAGIONE_SOCIALE doglianze proposte con il ricorso.
Gli odierni indagati, come amministratori della fallita, a partire dal 2014 l’avevano svuotata cedendone, per quanto riguarda la beneficiata RAGIONE_SOCIALE, il ramo d’azienda relativo alla ristorazione a prezzo che il curatore aveva considerato vile. Peraltro, da tale conferimento la fallita aveva solo tratto la proprietà RAGIONE_SOCIALE quote della società beneficiata, e, quindi, un mero capitale di rischio (evidentemente poco fruttuoso visto che non è citato dal curatore fra i cespiti realizzabili).
Del resto, tale operazione era stata progettata e conclusa in attuazione del medesimo disegno che aveva portato gli odierni indagati a cedere anche l’altro ramo d’azienda, quello per accumulatori per auto, di ben maggiore valore, sempre a favore di una società, corna la GGA, a loro riconducibile, sempre al fine si
sottrarne il patrimonio alle ragioni dei creditori (non la sola RAGIONE_SOCIALE avendo il curatore riferito di una massa passiva di quasi 700.000 euro al netto del debito erariale).
Del tutto irrilevante, poi, ai fine di contestare la rilevanza penale di tal condotta distrattiva era il giudicato civile del Tribunale di Salerno sull’azione revocatoria sia perché pronunciato in una controversia fra parti diverse (l’RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) dall’attuale RAGIONE_SOCIALE, sia perché fondata su un deficit probatorio, per un verso non presente nel giudizio penale (ove si è accertato che il conferimento del ramo d’azienda è avvenuto in epoca precedente alla prima denuncia dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) e per l’altro privo di concreto rilievo, posto che l’azione revocatoria civile è destinata a salvaguardare il solo credito del richiedente, mentre la condotta contestata assume rilievo penale per il solo fatto che abbia determinato un depauperamento del patrimonio della fallita (in pregiudizio di tutti i creditori della stessa).
Non esiste pertanto la invocata conseguenzialità fra il ridetto giudicato civile e l’accertamento dell’ipotesi penale, di bancarotta patrimoniale, contestata.
Doveva poi osservarsi come, nel caso di specie, sussistano quegli “indici di fraudolenza” che la giurisprudenza di questa Corte richiede per potersi definire come distrattiva la cessione, a prezzi incongrui, di parte del patrimonio di un’azienda.
Si è infatti affermato (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgarannella, Rv. 270763), in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passiv rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa.
Gli indagati, infatti, dopo che l’RAGIONE_SOCIALE aveva loro contestato, nel 2013, gli addebiti fiscali, invece di accantonare in bilancio i fondi che sarebbero serviti ad assolvere l’eventuale (perché sottoposto al giudizio tributario) debito, decidevano di svuotarla, a favore, anche, di una società, quale RAGIONE_SOCIALE, a loro facente riferimento. Così da rendere evidenti, pur se allo stato degli atti ed al solo fine della verifica del fumus commissi delicti, la sussistenza degli elementi,
oggettivo e soggettivo, dell’ipotizzato delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Quanto alla condotta ascritta ai prevenuti al capo 3 della provvisoria rubrica, deve prendersi atto come il Tribunale del riesame ne abbia considerato solo il primo segmento, il versamento dei 240.000 euro dalla fallita alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, qualificandolo come ipotesi distrattiva, così diversamente qualificando l’originaria ipotesi di bancarotta preferenziale (a favore del creditore RAGIONE_SOCIALE).
Una diversa qualificazione della condotta che non costituisce una non consentita immutazione dell’accusa visto che la stessa era già perfettamente contenuta e contemplata nell’originaria imputazione, sulla quale poi, essendo stata formulata dal Tribunale per il riesame, la difesa ha potuto esercitare i propri diritt nell’odierna sede di legittimità, come, in effetti, è accaduto.
Dovendosi solo precisare che tale diversa qualificazione del fatto resta confinata al presente procedimento incidentale.
Si è infatti affermato che, in tema di misure cautelari personali, il giudice, sia in sede di applicazione della misura che in sede di riesame o di appello, può modificare la qualificazione giuridica attribuita dal pubblico ministero al fatto fermo restando che l’eventuale modifica non produce effetti oltre il procedimento incidentale (Sez. 2, n. 9948 del 23/01/2020, Rv. 279211; Sez. 6, n. 42936 del 23/09/2021, COGNOME, Rv. 282259; Sez. 6, n. 16020 del 13/03/2019, Calanna, Rv. 275602).
Si è poi precisato come sia consentita la riqualificazione della condotta contestata a titolo di bancarotta preferenziale in quella, più grave, di bancarotta patrimoniale purchè, ancora una volta, non si finisca per contestare un fatto storico diverso da quello contestato, per la trasformazione radicale della fattispecie concreta nei suoi elementi essenziali (Sez. 5, n. 37461 del 22/09/2021, Ciotoracu, Rv. 281930), come si è visto non essere avvenuto nell’odierno caso concreto.
Del resto, quanto alla concreta condotta contestata, la somma di euro 240.000 era stata conferita in GGA senza titolo alcuno, costituendo così tale ingiustificata dazione una condotta distrattiva.
A tal proposito si osserva che RAGIONE_SOCIALE ha ben dimostrato di non essersi limitata a riversare la somma al creditore, ma ha invece raggiunto con il medesimo (la società a cui RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto il credito) un accordo transattivo, e, quindi non per la somma intera, dovendosi così ritenere che si fosse trattenuta il residuo.
Quanto al periculum in mora a fronte dell’evidenziata ipotesi distrattiva cade l’argomento sviluppato sul presupposto che MPS – il soggetto beneficiato
dalla bancarotta preferenziale – disponga di un patrimonio tale da escludere in nuce l’impossibilità del recupero di quanto illecitamente corrisposto dalla fallita.
Al complessivo rigetto del ricorso segue la condanna della società RAGIONE_SOCIALE al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Così deciso, in Roma il 18 settembre 2024.